Alberto Menziani, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 1, primavera 1985
L’apologista modenese monsignore Giuseppe Baraldi (1778-1832)
1. Premessa
Se il 1789 francese segna il momento in cui la Rivoluzione prende ad aggredire sul terreno dei fatti le nazioni rimaste cattoliche dopo la Pseudo-Riforma, il Risorgimento rappresenta indiscutibilmente il periodo in cui tale aggressione si volge all’Italia, a determinare il passaggio istituzionale dall’Antico Regime all’ordine Nuovo rivoluzionario.
Peraltro, la parte migliore del clero e del laicato cattolico italiani vive gli anni risorgimentali con lucida consapevolezza della intima natura della lotta mossa ai Troni e all’Altare, grazie anche, e soprattutto, ai puntuali interventi del Magistero pontificio. Quest’ultimo poi — chiusasi dopo il 1870, in Italia, la fase della «guerra guerreggiata» — con la promulgazione di testi specifici esplicita e articola la dottrina sociale e delinea un ampio progetto di generale restaurazione dell’ordine socio-politico, ormai quasi dovunque compromesso dai progressi della Rivoluzione, vasto programma che vivifica e ispira per quasi un quarantennio un movimento cattolico italiano nel suo complesso particolarmente agguerrito e vivace.
Ma la prospettiva di una reconquista — della quale pure molte e importanti premesse erano state poste — sfumano quando ancora il nuovo secolo sta muovendo i primi passi. Infatti, nonostante i Pontefici non cessino di richiamare all’impegno per la ricostituzione della societas christiana, il modernismo sociale democristiano prende a inquinare sempre più in profondità il movimento cattolico italiano, oggettivamente paralizzandone lo slancio (l); e con la prima guerra mondiale è giocoforza accantonare ogni progetto di restaurazione politico-sociale in Italia per fronteggiare i rinnovati assalti della Rivoluzione, che dal generale sconvolgimento accompagnatosi al conflitto trae nuova forza e alimento.
Nemmeno i Patti Lateranensi valgono a rifare dell’Italia uno Stato cattolico. Con gli accordi del 1929, infatti, non si ha che una «conciliazione», cioè il ritrovamento di un modus vivendi tra la Chiesa — che accetta di seppellire la Questione Romana — e uno Stato che, pure continuando esplicitamente a fondarsi sulla tradizione risorgimentale, accetta di «venire integrato dal Cattolicismo», per riprendere la espressione usata da Benito Mussolini parlando della Conciliazione alla Camera il 13 maggio 1929. «Lo Stato Fascista — egli dice espressamente — rivendica in pieno il suo carattere di eticità: è Cattolico, ma è Fascista, anzi soprattutto, esclusivamente, essenzialmente Fascista. Il Cattolicismo lo integra, e noi lo dichiariamo apertamente, ma nessuno pensi, sotto la specie filosofica o metafisica, di cambiare le carte in tavola» (2).
Se la Conciliazione procura indubbi vantaggi al Pontefice e alla Chiesa italiana — provata da quasi un secolo di aperta persecuzione (3) —, non bisogna però dimenticare che la sistemazione conseguita con il Concordato disarma «l’ostilità non mai sopita del popolo cattolico contro il nuovo Stato moderno e accentratore» (4) e, anzi, demotiva il laicato cattolico dal riprendere nella sua specificità il progetto dell’»instaurare omnia in Christo», del resto oggettivamente ostacolato dalla pretesa del regime fascistico di risolvere nel partito la dimensione politica della vita italiana.
Di conseguenza, «durante il ventennio fascista, tra la gerarchia ecclesiastica e la base» non cresce «nessuna élite integralmente cattolica» (5).
Così il modernismo sociale democristiano può assumere, nel dopoguerra, la rappresentanza politica dei cattolici, cancellando quasi il ricordo stesso della necessità di fondare lo Stato sulla morale sociale cristiana, e offuscando la memoria della lotta in passato sostenuta perché su tale fondamento continuassero prima e riprendessero poi a poggiare i civili ordinamenti d’Italia.
Per contribuire alla ripresa di tale lotta, occorre anche prendere conoscenza dei «veri operai della restaurazione sociale» (6), che di essa furono protagonisti, e tra loro va senz’altro annoverato il modenese monsignore Giuseppe Baraldi.
2. I progressi della Rivoluzione alla fine del secolo XVIII
Giuseppe Baraldi nasce il 1° novembre 1778, in Modena, dal letterato Paolo Baraldi — segretario della locale università — e da Luigia Carandini, «di decaduta. ma onesta famiglia» (7).
Il panorama sul quale il piccolo Giuseppe si trova a volgere lo sguardo è dei più sconfortanti. François-Marie Arouet de Voltaire e Jean-Jacques Rousseau sono morti da pochi mesi, «lasciando in funesto retaggio […] uno spirito di mortale indifferenza, di sfrenata libertà e di impudente irreligione» (8). L’illuminismo in filosofia; il giansenismo, che sempre si rinnova nell’ambito ecclesiastico nonostante le ripetute condanne papali; le tendenze assolutistiche e giurisdizionalistiche dei principi e dei governi
contagiano così gravemente il corpo sociale degli Stati cattolici — ducato di Modena compreso — da rendere inevitabile l’ormai prossima rivoluzione.
Nonostante ciò, la formazione di Giuseppe Baraldi è solidamente tradizionale e cristiana. Vi contribuiscono, in primo luogo, naturalmente i genitori, «conjugi d’antica fede in tempi di Religione perseguitata, e di inconcussi principj in un quasi universale abberramento delle opinioni» (9).
All’opera della famiglia si affianca ben presto quella di altri educatori: don Stanislao Sighicelli e il gesuita Leonida Piani. Il primo (10) assume la guida spirituale del giovanissimo Giuseppe e gli scolpisce profondamente nell’animo «il fine eterno a cui da Dio è stato creato l’uomo» (11). Dal secondo, un erudito faentino chiamato a coltivare il vivace ingegno dell’adolescente, quest’ultimo mutua non solo l’amore per gli studi classici, ma anche i primi fondamenti di una rigorosa concezione filosofico-politica, per la quale, tra l’altro, si rende necessario «non voler mai pace col Giansenismo, […] fonte di tutti i mali che allagano la terra, e […] educatore di tutti i mostri che ne fanno sì crudo scempio» (12).
Infine, nell’ambito di una carriera scolastica culminata nella laurea in filosofia conseguita presso l’ateneo modenese nel 1795 a meno di diciassette anni, Giuseppe Baraldi ha modo di arricchire la propria formazione, venendo a contatto con figure di studiosi eminenti non solo per scienza ma anche per fede religiosa, come, per esempio, l’insigne matematico Paolo Ruffini: «quel Ruffini che per gli studj profondi […] costantemente cercò la vera Sapienza, Iddio; e per l’esercizio luminoso delle più rare virtù presentò in sé la vera idea del filosofo cristiano» (13).
3. L’ingresso nello stato ecclesiastico
Alla luce di quanto sopra illustrato in ordine alla formazione umana e cristiana di Giuseppe Baraldi non fa meraviglia che la vocazione religiosa — manifestata in lui assai per tempo — abbia potuto rafforzarsi e confermarsi sino a indurlo ad abbracciare effettivamente lo stato ecclesiastico. Nel 1796 il diciottenne Giuseppe riceve così la tonsura, e il 20 settembre 1801 è ordinato sacerdote.
Il giovane prete manifesta immediatamente una profonda spiritualità, particolarmente incentrata da un lato sulle devozioni alla Madonna e al Sacro Cuore di Gesù, e dall’altro sul culto per san Francesco di Sales, assunto a modello di vita sacerdotale.
Quello del combattimento spirituale non è peraltro l’unico campo nel quale il chierico modenese si impegna fino dai primordi della propria vita ecclesiastica: essi sono, anzi, contrassegnati anche dall’intensificarsi di una non mai abbandonata attività di studio, che la porta all’approfondimento, in particolare, della storia ecclesiastica e della teologia. In quest’ultima branca delle scienze sacre Giuseppe Baraldi elegge significativamente a maestri per la teologia dogmatica san Roberto Bellarmino e per quella morale sant’Alfonso Maria de’ Liguori, cioè i maggiori difensori della ortodossia cattolica contro gli errori sparsi dai protestanti e dai filosofi dell’»epoca dei lumi».
Oltre che nella preghiera e nello studio, le zelo sacerdotale del sacerdote Baraldi ben presto si dispiega anche in una feconda attività pastorale, diretta soprattutto alla formazione dei giovani. Menta di essere ricordato che, a partire dal 1804, egli entra nel novero di coloro che predicavano presso l’oratorio di San Luigi, aperto nel 1797 in Modena e nel quale «in tempi sì calamitosi per la Religione. molta nobile e civile gioventù si raccoglieva tutti i giorni festivi, e prima d’assistere alla celebrazione de’ sacri misteri ascoltava da valente banditor evangelico la parola del Signore» (14).
4. La Rivoluzione investe il ducato di Modena
Gli anni che vedono Giuseppe Baraldi impegnato con entusiasmo nelle prime esperienze di vita ecclesiastica e sacerdotale sono, peraltro, anche gli stessi in cui il morbo rivoluzionario, da tempo in incubazione, dopo essersi manifestato con virulenza in Francia dilaga anche in Italia al seguito delle armate napoleoniche. Modena e il suo ducato sono fra le prime vittime di tale morbo: a seguito delle vicende connesse alla prima campagna di Napoleone Bonaparte nella penisola, il dominio estense viene abbattuto e gli Stati che lo formavano entrano a fare parte, nell’ottobre del 1796, della Repubblica Cispadana.
Giuseppe Baraldi non manca di rilevare lo specifico nesso di causalità che intercorre tra i tanti e tanto gravi errori così ampiamente diffusisi nella seconda metà del Settecento e i grandi avvenimenti politici di cui è spettatore. «Uno spirito di falsa filosofia — si legge nel suo Compendio storico della Città e Provincia di Modena dai tempi della Romana Repubblica sino al MDCCXCVI — sin dalla metà del secolo XVIII avea cominciato a penetrare anche in Italia, e la Religione ebbe a provarne i più luttuosi effetti, che ricaddero poi sugli Stati tutti all’epoca della Rivoluzione francese. Molte novità religiose e fatali agl’interessi stessi de’ Principi e de’ Popoli cominciarono ad aver voga anche in Italia, e fu tale l’arte e l’intrigo degli empi, che anche Principi buoni e ben intenzionati vi prestarono incautamente il loro braccio, e potentemente cooperarono alla mina universale» (15).
Purtroppo, gli anni tumultuosi a cavallo del secolo non offrono a Giuseppe Baraldi solo la opportunità di meditare sul carattere di «processo» con il quale è solito svilupparsi il fenomeno rivoluzionario. La Rivoluzione, infatti, resa audace dai propri trionfi, attacca frontalmente la Chiesa cattolica e la morale da questa professata, manifestando così le proprie intime finalità. «Anche nel piccolo Ducato ora praticamente in mano ai Francesi, la lotta […] alla Chiesa» raggiunse «dimensioni ed eccessi mai conosciuti» (16); ovunque «innondavano […] empie dottrine, dirette a bandire la Religione e Dio, a disfrenare le più malvage passioni e levare in trionfo in vizio» (17).
Di fronte a un tale stato di cose, Giuseppe Baraldi effettua una scelta di campo ben precisa (18), che investe tutta la sua attività di sacerdote, di educatore e di letterato. Così, «se […] pregava egli dal cielo […] convertimento e perdono a quegli sciagurati, che sì fieramente […] perseguivano [la Chiesa], ubbidiente insieme alla […] sentenza di Lei, che questi snaturati figli come membra corrotte e corrompitrici allontanava dal suo seno […], astenevasi di coscienza dalla pubblica preghiera per loro» (19). Giuseppe Baraldi si dedica inoltre, in quegli anni, a un incessante, dispendioso e anche pericoloso lavoro di acquisizione e di diffusione, specie tra la «ecclesiastica gioventù», delle opere de’ più valorosi apologisti contro gli errori predominanti» (20); né le ormai riconosciute capacità letterarie del sacerdote modenese vengono in alcuna occasione messe al servizio del dominatore Napoleone: anzi, «invitato a comporre canzoni per celebrare le profane feste del potente Persecutore, rispondeva egli colle parole degli ebrei seduti e piangenti sui fiumi di Babilonia» (21).
Peraltro, la scelta di campo di cui ho parlato non rimane per il sacerdote Baraldi priva di conseguenze, e gli costa, in particolare, la completa rinuncia per lunghi anni a quel cursus honorum, che pareva invece destinato a percorrere fino da quando, nell’agosto del 1796 — ancora giovanissimo chierico —, il duca Ercole III lo aveva chiamato alla carica di sottobibliotecario nella locale università. Chiuso, infatti, dopo pochi mesi, quell’ateneo a seguito della invasione francese, e perduto anche il posto di maestro di grammatica e di retorica nel seminario di Modena in conseguenza dell’accanirsi della Rivoluzione contro «que’ sacri asili» (22), Giuseppe Baraldi deve ritirarsi a vita privata. Solo dopo il 1808 la crescente fama di letterato gli procurerà dal Regno Italico l’ufficio di secondo bibliotecario presso la biblioteca estense.
5. L’ordine apparentemente ristabilito: la Restaurazione
Nel biennio 1814-15 gli sforzi pluridecennali delle potenze conservatrici europee sono finalmente coronati da successo: con la presa di Parigi, del 31 marzo 1814, e con la battaglia di Waterloo, del 18 giugno 1815, la Francia napoleonica viene definitivamente battuta. Anche Modena viene liberata, e anzi, fino dal 21 gennaio 1814, cade in mano del re di Napoli Gioacchino Murat — nell’occasione unitosi alle potenze alleate contro l’impero rivoluzionario —, per venire poi consegnata a Francesco IV, legittimo erede degli Estensi (23).
Alle vicende di quei mesi Giuseppe Baraldi partecipa appassionatamente, non solo celebrando con entusiasmo la caduta di Napoleone Bonaparte quale opera della Provvidenza divina (24), ma anche rendendo diretta testimonianza della propria solidarietà con i perseguitati a causa del Vangelo: nella specie gli ecclesiastici che, dopo avere patito le carceri napoleoniche, potevano ora tornarsene a Roma. Questi ultimi, spesso bisognosi di abiti o di denaro, al loro passaggio per Modena venivano provveduti del necessario e trovavano alloggio «presso nobili e civili famiglie che a gara si disputavano la consolazione di albergare quegl’illustri confessori della fede» (25): e ciò per opera di una società (26) costituitasi allo scopo nella ristabilita capitale ducale, che aveva quali suoi animatori appunto Giuseppe Baraldi, don Luigi Reggianini e Luigi Ponziani (27).
Peraltro, le speranze di pace e di ricostruzione di un ordine sociale veramente cristiano, aperte dai grandi avvenimenti cui ho fuggevolmente accennato, vengono ben presto deluse, e la occasione offerta dalla Restaurazione clamorosamente mancata. Come è noto, la Restaurazione si risolve, infatti, non già in «una reazione consapevole tesa a eliminare le cause dello Rivoluzione, ma piuttosto [in] una nuova edizione del dispotismo illuminato» (28), con tutte le incongruenze e le contraddizioni proprie di questo tipo di regime: incongruenze e contraddizioni destinate, del resto, a esplodere nuovamente nel giro di pochi anni.
Tuttavia non manca, nel panorama europeo, qualche parziale eccezione alla situazione sopra ricordata, e una di queste è certamente rappresentata dal ristabilito ducato di Modena.
Fino dal momento in cui espone per la prima volta ai modenesi il proprio Piano di governo, Francesco IV infatti affermava: «[…] raccomandiamo in primo luogo all’Altissimo Noi stessi riuniti ai nostri cari sudditi, acciò si degni […] accordarci la grazia di conservare un inviolabile attaccamento ai principi della nostra santa Religione Cattolica, ed osservare fedelmente i suoi precetti, come le basi sulle quali crediamo che debba essere stabilita ogni umana Società» (29). Per quanto in realtà il duca richiamasse in vigore alcuni degli istituti regalistici introdotti nello Stato nella seconda metà del ’700 — e primo fra tutti il Codice del 1771, «informato ai criteri del giurisdizionalismo e ai principii della Chiesa gallicana» (30) —, il costante sforzo del sovrano e del successore Francesco V di adeguare la politica estense agli ideali sopra ricordati, valse in definitiva a fare del ducato una «eco sufficientemente fedele» della monarchia tradizionale (31).
Per la prima volta, dunque, Giuseppe Baraldi si trova a vivere in un ambiente che va riorganizzandosi intorno ai princìpi da lui professati ed egli non manca, del resto, di portare il suo fattivo contributo al processo di restaurazione sociale avviato negli Stati di Modena.
Così, instaurata per iniziativa del principe la consuetudine che «in ogni domenica dell’anno scolastico» venisse tenuto «un sacro discorso […] alla fioritissima scolaresca dell’università» (32), ecco che Giuseppe Baraldi accetta di essere tra gli oratori.
Però, la sua azione si esplica soprattutto nel campo accademico ed educativo. Chiamato nel 1820 a occupare, presso la università di Modena, la cattedra di etica speciale, voluta da Francesco IV e «diretta a mostrare l’indissolubilità della religione cristiana dalla morale sociale» (33), nel 1825, quando si riorganizza l’ateneo modenese, al sacerdote viene affidato l’insegnamento del diritto canonico, nel quale «fu egli lontano da quelle giansenistiche dottrine del regalismo», che, «spogliando la Chiesa de’ […] suoi diritti per farne in apparenza dono al trono, servono in fatto alla causa dell’irreligione ed all’abbattimento del trono istesso […]» (34).
6. Gli anni della piena maturità.
Le Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura
I tre lustri che intercorrono tra il 1815 e il 1830 segnano il periodo della piena maturità religiosa, artistico-letteraria e filosofico-politica di Giuseppe Baraldi, il quale dispiega in questi anni un’attività prodigiosamente intensa e singolarmente feconda.
Ovviamente lo impegna a fondo, anzitutto, il ministero sacerdotale, sia per le varie ore quotidianamente dedicate «a quel segreto apostolato che è la fedele amministrazione del sagramento della Penitenza» (35); sia per l’assistenza spirituale ogni giorno prestata alle insegnanti e alle oltre trecento ospiti della Pia Congregazione delle Figlie di Gesù — istituto sorto nel 1818 in Modena per iniziativa del già ricordato don Luigi Reggianini (36) —; sia, infine, per le opere di misericordia, nelle quali Giuseppe Baraldi largamente si adopera soprattutto a sollievo dei malati e dei moribondi.
Lo zelo apostolico e la pietà del sacerdote modenese trovano del resto significativo riconoscimento nelle importanti dignità ecclesiastiche a cui il sacerdote Baraldi viene elevato: nel 1829 è canonico arciprete maggiore nel capitolo della cattedrale di Modena; quindi, all’inizio del 1832, Papa Gregorio XVI gli conferisce il titolo di proprio prelato domestico e di protonotario apostolico (37).
Per la verità, non si deve credere che al conseguimento degli onori appena menzionati siano rimasti estranei i grandi meriti acquisiti dal sacerdote Baraldi con la propria opera culturale e politica, appassionatamente rivolta alla difesa del cattolicesimo e articolata in molteplici iniziative, che contribuiscono a fare della capitale estense un vero e proprio «centro motore» del movimento contro-rivoluzionario italiano.
Nel gennaio del 1820 vedono, infatti, la luce — in primo luogo — quelle Conferenze ecclesiastico-letterarie tramite le quali Giuseppe Baraldi adatta alla realtà modenese il programma delle Amicizie Cattoliche di tradizione piemontese, cui le Conferenze manifestamente si ispirano (38). In riunioni settimanali, tenute nella casa del sacerdote, si studiano così non solo «la Religione, e […] l’influenza sua […] sulle vicende de’popoli e degli imperj», ma anche «le cause e gli effetti di quelle cospirazioni, che d’ordinario han cominciato dall’attaccarla, onde più facilmente espugnar ogni altra istituzione» (39).
Agli inizi del 1822, inoltre, Giuseppe Baraldi fonda in Modena la importante rivista intitolata Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura, nella quale vengono trattati con metodo rigoroso e profondità di dottrina argomenti di ogni genere, dalla teologia alla filosofia, alla storia, alla letteratura, alla economia, grazie anche alla collaborazione prestata al periodico dal fior fiore della intellighenzia contro-rivoluzionaria del ducato estense (40).
La pluralità degli interessi di cui si fa interprete la rivista risponde in primo luogo, ovviamente, alla esigenza di radicare nuovamente almeno un filone specificamente e integralmente cattolico in tutti gli aspetti del contesto culturale italiano immediatamente postrivoluzionario.
L’ampiezza del fronte sul quale le Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura combattono la propria battaglia è tuttavia legata anche alla necessità — chiaramente presente al loro fondatore — di affrontare con mezzi adeguati un avversario che, nel suo piano di conquista, allora come oggi sapeva nascondere la insidia delle proprie concezioni ideologiche dietro argomentazioni apparentemente disinteressate e scientifiche. In questa prospettiva, per esempio, già nel primo numero della rivista trovano spazio le Riflessioni critiche di Paolo Ruffini sopra il Saggio Filosofico intorno alle probabilità del sig. Marchese la Place: opera nella quale il matematico francese riteneva di potere trarre, da determinate applicazioni del calcolo delle probabilità, conclusioni «scientificamente» dimostranti la inattendibilità della dottrina cattolica relativa ai miracoli (41).
Le Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura non mancano, inoltre, di diffondere gli insegnamenti del magistero episcopale più immediatamente giovevoli alla battaglia contro-rivoluzionaria, né di recensire buoni libri. Così, per fare solo qualche esempio, il tomo V del 1824 della rivista riporta una Istruzion pastorale del vescovo di Troyes, monsignore de Boulogne, sulla stampa de’ cattivi libri e particolarmente sulle nuove edizioni delle opere complete di Voltaire e di Rousseau; mentre nel tomo IV del 1823 viene segnalata l’opera Del Tifo Costituzionale, edita a Imola in quello stesso anno, come una interessante critica «di quel moderno delirio per cui certi politici sembrano aver giurato di comunicare la perpetua loro volubilità ed inquietudine a tutti i popoli della terra» (42).
Oltre che dell’opera di collaboratori modenesi, Giuseppe Baraldi si avvale anche di quella di altri illustri pensatori italiani e stranieri quali, per esempio, Antonio Rosmini, padre Gioacchino Ventura e Félicité-Robert de La Mennais, prima ovviamente che questi ultimi si volgessero alle più o meno equivoche forme di cattolicesimo liberale cui successivamente approdarono.
Particolarmente doloroso fu, per Giuseppe Baraldi, il progressivo distacco dalla ortodossia cattolica di Félicité-Robert de La Mennais, molto stimato e ammirato dal sacerdote modenese, che dalle pagine della sua rivista aveva dato ampia risonanza alle tesi dell’abate bretone. Grande fu «l’afflizione del Baraldi» quando «vide da quel prima si benemerito apologista della Religione stabiliti principj, che non si potevano accordare agl’insegnamenti ed alla pratica della Chiesa, e che da lui medesimo erano stati per l’innanzi sì trionfalmente combattuti» (43).
Senza assolutamente farsi condizionare dall’ascendente del pubblicista e pensatore bretone, Giuseppe Baraldi continua nella propria battaglia contro-rivoluzionaria «più strettamente» attenendosi «all’infallibile cattedra di verità» (44), e amaramente, anzi, rimproverando al maestro francese il voltafaccia compiuto: «Ah mio amico, vi hanno ingannato con […] parole […] vane e false, sopra l’indipendenza della nostra santa Chiesa, sopra la libertà del suo insegnamento, sopra un avvenire che per altro da’ suoi esordj non lusinga certamente le nostre speranze […] non vi trema la mano segnando un’alleanza così insostenibile col partito de’ rivoltuosi?» (45).
Notevole fu il successo incontrato dalle Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura. Apprezzate da sovrani quali la duchessa Maria Luisa di Parma, che «leggeva» il periodico «con sommo profitto e diletto» (46), da ecclesiastici come i cardinali Castiglioni (47), Pacca e Bernetti, da letterati, uomini politici e filosofi come il gesuita Antonio Bresciani, l’oratoriano Antonio Cesari, il principe di Canosa, il conte de Maistre, Karl Ludwig von Haller, erano diffuse «per molte province della colta Europa, anzi persino in America» (48). Né mancò del resto alla rivista di Giuseppe Baraldi l’appoggio esplicito della gerarchia ecclesiastica, anche ai più alti livelli: ben quattro furono i Pontefici — Pio VII, Leone XII, Pio VIII e Gregorio XVI — che lodarono e incoraggiarono la battaglia da essa combattuta a favore della Contro-Rivoluzione (49).
Sulla rivista fondata e diretta dal sacerdote modenese trova ovviamente spazio la maggiore parte delle opere pubblicate da Giuseppe Baraldi negli anni della piena maturità.
Escludendo i numerosi componimenti poetici, ampiamente lodati — tra gli altri — da Ippolito Pindemonte e che costituiscono «quasi un canzoniere cristiano» (50), Giuseppe Baraldi stende la biografia di numerosi contemporanei «illustri per Religione, per dottrina, per virtù» (51), fino a lasciare quasi una vera e propria «galleria di ritratti» di coloro che onorano la cattolicità negli ultimi decenni del ’700 e agli inizi dell’800, come il già citato Paolo Ruffini, Henri de la Rochejacquelein, i Papi Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI.
«Non raramente le rievocazioni del Baraldi acquistano […] un tono epico ed accorato: come quando si sofferma nella descrizione degli eroi vandeani che caddero difendendo la religione domestica, oppure quando facendo la biografia del card. Saluzzo ne esalta il valore “patriottico” allorché, alla testa dei contadini dell’Umbria, si oppose alle armi francesi» (52).
Anche la traduzione di «opere straniere […] dirette sempre alle glorie ed alle difese della Religione» (53) non rimane estranea al novero delle fatiche letterarie di Giuseppe Baraldi, il quale provvede, tra l’altro, a volgere in italiano la Legislazione primitiva del visconte de Bonald, concorrendo così grandemente, anche per questo verso, a diffondere in Italia la conoscenza del pensiero contro-rivoluzionario francese.
7. La persecuzione dopo la «congiura Menotti» e la morte nel 1832
Intorno al 1830, dunque, tutte le energie intellettuali e morali di Giuseppe Baraldi sono con successo mobilitate «per l’una parte a combattere gli empi […] sistemi de’ nemici aperti, che vorrebber rimosso Iddio dalla cura dell’Universo, [e] abolita la divina sua Religione […]; per l’altra […] a smascherare le insidie […] de’ nemici occulti, che […] coll’invocare le riforme, cercano […] a poco a poco snervare l’autorità […] del Supremo Gerarca»; per l’altra ancora a rendere manifesto «come l’errore di questi, che pur si vantan difensori della Religione, serva fatalmente alla causa di quelli. […] e come poi distrutta la Religione, abbia ad essere distrutta dai fondamenti la civil società, e data in preda alla più funesta anarchia» (54).
Pertanto, quando proprio coloro contro i quali Giuseppe Baraldi così stava fieramente combattendo conquistano il potere in Modena grazie alle mene delle sette sfociate nella «congiura Menotti» (55), la posizione del sacerdote — rimasto in città forte della sua retta coscienza — si fa subito difficile. Costretto dapprima a vivere appartato e «segregato da tutti i conoscenti […], coi quali […] persino il darsi ed il rendersi il saluto, pareva in que’ giorni di proclamata libertà un capitale delitto» (56), ben presto egli viene sottoposto a persecuzione aperta: eccitato da un proclama del dittatore Nardi che denunciava la presenza in Modena di un circolo di «sanfedisti», nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, il popolaccio scorreva la città levando a gran voce minacce di morte contro il sacerdote. Non rimaneva così a quest’ultimo che prendere la via dell’esilio: il 24 febbraio Giuseppe Baraldi parte, infatti, alla volta di Firenze, non senza avere una volta di più difeso in faccia all’autorità rivoluzionaria i propri princìpi: se «a questi […] volesse imputarsi il nome e la qualità di sanfedista, egli [Giuseppe Baraldi] non avrebbe che a consolarsi di dividere l’uno e l’altra con tutte le persone di onore e di carattere» (57).
Ristabilitasi ben presto in Modena la sovranità estense, anche Giuseppe Baraldi può rientrare in patria e rimettere mano alla propria attività. «Eccolo […] tutto ardore […] dare opera a ripigliare le interrotte Memorie, venute all’universale in grazia ed in fama maggiore, si perché sperimentate da’ savj produttive di ottimi frutti, sì perché cresciute in odio a’ pessimi uomini, e da loro temute» (58).
Il rinnovato fervore di Giuseppe Baraldi era però destinato a non durare a lungo: caduto nel febbraio del 1832 in grave malattia, il 29 marzo il sacerdote spirava tra l’universale cordoglio, testimoniato tra l’altro dallo straordinario concorso alle esequie dei modenesi di ogni ceto (59).
A questi ultimi, anzi a tutti i contemporanei, monsignore Baraldi lasciava un patrimonio di idee, di insegnamenti e di iniziative, che non poca influenza ebbero nell’indirizzare rettamente l’intero movimento cattolico italiano del secolo XIX.
Oggi ancora il sacerdote modenese costituisce prezioso esempio di «vero operaio» di quella «restaurazione sociale» più che mai necessaria e alla quale ciascuno è chiamato a portare il proprio contributo, in una rinnovata speranza fondata sulla promessa fatta a Fatima da Maria santissima: «Infine, il mio Cuore Immacolato trionferà».
Alberto Menziani
Note:
(l) Per frenare la influenza corruttrice della fazione democristiana san Pio X fu costretto perfino a sciogliere quell’opera dei Congressi, che era stata forse la più efficace espressione dell’impegno politico-sociale cattolico di fine Ottocento in Italia.
(2) BENITO MUSSOLINI, Gli accordi del Laterano. Discorsi al Parlamento, Libreria del Littorio, Roma 1929, p. 106.
(3) Cfr. GIOVANNI CANTONI, L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, saggio introduttivo a PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione, 3a ed. it. accresciuta, Cristianità, Piacenza 1977. Il saggio si diffonde sulla intera tematica toccata in questa premessa.
(4) Ibid., p. 27.
(5) Ibid., p. 30.
(6) La espressione è in san Pio X, Lettera apostolica Notre charge apostolique, del 25-8-1910, in AAS, vol. II, p 631.
(7) DON SEVERINO FABRIANI, Vita di Monsignore Giuseppe Baraldi, in Continuazione delle Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura, tomo 111, Modena 1834, p. 9. Dell’opera di don Fabriani, che dell’ecclesiastico modenese fu contemporaneo e discepolo, mi sono fondamentalmente avvalso per stendere i presenti cenni biografici.
Importanti notizie sulla figura e sull’attività di G. Baraldi si trovano anche — per citare soltanto alcuni testi — in SANDRO FONTANA, La controrivoluzione cattolica in Italia (1820-1830). Morcelliana, Brescia 1967; GRAZIANO MANNI, La polemica cattolica nel Ducato di Modena (1815-1861), STEM Mucchi, Modena 1968; PADRE STANISLAO DA CAMPAGNOLA O. F. M. CAPP., Cattolici intransigenti a Modena agli inizi della Restaurazione, Aedes Muratoriana, Modena 1984. Il testo di G. Manni è corredato da ampia bibliografia sul movimento Cattolico italiano in genere, e su quello modenese in particolare. Per un primo orientamento, cfr. anche GUIDO VERUCCI, voce Giuseppe Baraldi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 5, Roma 1963, pp. 772-774.
(8) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 10.
(9) Ibid., p. 10.
(10) Don Stanislao Sighicelli, nato a Modena nel 1732 e morto nel 1810 in odore di santità, fu a lungo rettore del seminano di Modena.
(11) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 14.
(12) Ibid., p. 22, nota 11.
(13) Ibid., p. 30.
(14) Ibid. p. 138.
(15) GIUSEPPE BARALDI, Compendio storico della Città e Provincia di Modena dai tempi della Romana Repubblica sino al MDCCXCVI, Cappelli, Modena 1846, pp. 337-338.
(16) G. MANNI, op. cit., p. 33.
(17) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 63.
(18) Purtroppo non altrettanta coerenza si riscontra in tutti i confratelli di G. Baraldi; non pochi furono, infatti, i casi di «collaborazionismo» con il nuovo regime. «Annunciamo con piacere», riferisce per esempio il Giornale Repubblicano del 6 ottobre 1797, «che nelle campagne dei Dipartimenti del Panaro vi sono de’ parrochi pieni di zelo evangelico e di patriottismo. Si distingue fra questi il cittadino Vincenzo Montanari, parroco di Medolla: i di lui parrocchiani son per opera sua veri repubblicani» (cit. in G. MANNI, op. cit., p. 47, nota 89).
(19) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 145.
(20) Ibidem.
(21) Ibidem. Si fa qui trasparente riferimento al salmo 136.
(22) Ibid., p. 37.
(23) Come è noto, la casa d’Este si estinse in linea maschile con la morte di Ercole III Rinaldo, nel 1803. La eredità estense fu raccolta dal nipote di quest’ultimo, Francesco — poi Francesco IV —, figlio di Ferdinando d’Absburgo e di Maria Beatrice Ricciarda d’Este, a sua volta figlia del duca Ercole.
(24) Dall’opera di don S. Fabriani riporto l’ultima terzina di un sonetto composto per l’occasione da G. Baraldi: «Gran Dio delle battaglie, ecco i prodigi, / Che il veggente predisse ai dì più tardi: / Vinse Ciro per Te, cadde Parigi» (ibid., p. 147).
(25) Ibid., p. 148, ove si traduce L’Ami de la Religion et du Roi, Parigi, tomo I, p. 348.
(26) La società in parola prestò la sua assistenza a ben duecentonovantaquattro ecclesiastici.
(27) Su monsignore Luigi Reggianini, vescovo di Modena dal 1838 al 1848, e su Luigi Ponziani, brigadiere della Guardia Nobile d’Onore di Modena e direttore dell’Accademia Nobile Militare, cfr. TEODORO BAYARD DE VOLO, Vita di Francesco V Duca di Modena (1819-1875), tomo IV, Modena Milano Torino Venezia Roma 1885, rispettivamente pp. 134 ss. e pp. 129 ss. Il testo di T. Bayard de Volo ha avuto nel 1983 una ristampa anastatica, di cui è stata meritoriamente artefice la Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi.
(28) G. CANTONI, op. cit., p. 16.
(29) Citato in DON PASQUINO FIORENZI, Modena. Storia illustrata, STEM Mucchi, Modena 1965, pp. 199-201. La sottolineatura è mia.
(30) G. MANNI, op. cit., p. 30.
(31) G. CANTONI, op. cit., p. 17.
(32) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 139.
(33) S. DA CAMPAGNOLA O. F. M. CAPP., op. cit., p 33.
(34) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 97.
(35) Ibid., p. 177.
(36) La Congregazione — sciolta nel 1828 a seguito di contese con il vescovo monsignore Sommariva — «aveva lo scopo di educare le fanciulle povere e di recuperare quelle che si perdevano lungo le strade o in posti malfamati» (G. MANNI, op. cit., p. 77).
(37) «A questo ponendo mente il Tribunale Araldico di questa Città, […] per acclamazione ascriveva, il […] 18 Gennajo 1832, al libro d’oro delle famiglie nobili modenesi il nostro Mons. Giuseppe Baraldi […]» (D. S. FABRIANI, op. cit., p. 220): indicativo esempio della immediata capacità di attribuire il più pieno rilievo alla virtù comunque manifestatasi, propria di una società nel suo complesso ancora tradizionalmente ordinata.
(38) Cfr. G. MANNI, op. cit., pp. 102-103. Va sottolineato che i l marchese Cesare Taparelli d’Azeglio insistette ripetutamente presso G. Baraldi perché si aprisse in Modena una vera e propria Amicizia, cosa che peraltro non fu ritenuta opportuna dal sacerdote modenese.
(39) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 103.
(40) Scorrendo i volumi delle Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura si trovano, per esempio, articoli del matematico Paolo Ruffini, dell’illustre filologo frignanese Marc’Antonio Parenti, del filosofo Fortunato Cavazzoni Pederzini, dell’archeologo ed erudito don Celestino Cavedoni, la cui opera fu apprezzata da Theodor Mommsen, e così via. Per notizie biografiche su M. Parenti, F. Cavazzoni Pederzini e don C. Cavedoni, cfr. T. BAYARD DE VOLO, op. cit., vol. IV, rispettivamente pp. 292, 322 e 328).
(41) Cfr. S. FONTANA, op. cit., pp. 110-113.
(42) Cfr. Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura, rispettivamente tomo V, 1824, pp. 337-339; e tomo IV, 1823, pp. 163-165.
(43) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 292.
(44) Ibid., pp. 295-296.
(45) Ibid., pp. 293-294, lettera di G. Baraldi a F.-R. de La Mennais, dell’8 novembre 1830.
(46) Ibid., p. 299, lettera di A. Opizzoni a L. Baraldi, dell’11 aprile 1832.
(47) Poi Papa con il nome di Pio VIII.
(48) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 130.
(49) Cfr., per tutte, le espressioni indirizzate da Gregorio XVI a G. Baraldi in data 1° giugno 1831: «Noi […] ci congratuliamo con voi […] pel vostro impegno […] nel difendere la Religione, e nel sostenere le sane dottrine, […] del quale impegno» sono «questi […] volumi delle Memorie un testimonio apertissimo […]» (ibid. p. 214).
(50) Ibid., p. 273.
(51) Ibid., p. 259.
(52) S. FONTANA, op. cit., p. 120. Alle note 48 e 49 di tale pagina si chiarisce che i luoghi cui S. Fontana fa riferimento si trovano rispettivamente nel nn. 34 e 47-48 delle Memorie di Religione, di Morale e di Letteratura.
(53) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 280.
(54) Ibid., pp. 243-244.
(55) Il 6 febbraio 1831 Francesco IV, che pure era riuscito a stroncare in Modena ogni tentativo insurrezionale e a catturare lo stesso Ciro Menotti, vedendo le proprie linee di comunicazione con il Lombardo-Veneto minacciate dall’agitazione propagatasi nella Bassa Modenese, sceglie di ripiegare in Mantova alla testa delle sue truppe. I ducati di Massa e di Carrara, da poco aggregati allo Stato estense, rimangono peraltro sotto il controllo delle autorità ducali.
(56) D. S. FABRIANI, op. cit., p. 199.
(57) Cfr. ibid., p. 204. Le parole sono contenute nella richiesta del passaporto per Firenze avanzata da G. Baraldi al dittatore Nardi.
(58) Ibid., p. 221.
(59) Cfr. ibid., pp. 300-301. La trepidazione di Modena nei lunghi giorni di malattia di G. Baraldi si espresse anche nei venticinque tridui celebrati per la preservazione della vita del sacerdote: quella particolare della famiglia reale estense, tra l’altro nel fatto che Francesco IV si faceva portare quattro volte al giorno notizie dell’ammalato.