Da Avvenire del 15/05/2019. Foto da it.clonline.org
I continui attentati contro i cristiani in Africa rappresentano un ulteriore elemento di preoccupazione sul futuro, già cupo, della vasta area che si estende dall’Atlantico al Corno d’Africa.
Il rischio – paventato più volte negli anni scorsi – della costituzione di un grande «arco integralista» che si estende dalla Somalia alla Mauritania è ormai una realtà. Alla luce del recente crollo del quadrante siro-iracheno del Daesh e della vecchia rivalità tra questi e i suoi rivali di al-Qaeda, si potrebbe semmai parlare di un obiettivo comune tra i vari gruppi: i cristiani. Colpire le parrocchie o i luoghi frequentati da occidentali diventa un modo di marcare il proprio territorio. Lo abbiamo vistonegli anni scorsi nei sanguinosi attentati con presa di ostaggi che hanno colpito il centro commerciale di Nairobi e diversi alberghi del Mali (il Byblos di Sevarè e il Radisson Blu di Bamako) o del Burkina (Splendid di Ouagadougou). Le statistiche parlano chiaro: il numero degli attentati compiuti dai vari gruppi jihadisti africani sono triplicati tra il 2010 e il 2017, mentre il numero dei Paesi africani coinvolti nella violenza radicale, secondo l’Africa Centre for Strategic Studies, è più che raddoppiato passando a 12 Paesi. Il Niger, ad esempio, è preso a tenaglia tra il Boko Haram, a sudest, e i jihadisti di ogni sigla, a nordovest. È nella capitale Niamey che francesi e americani hanno installato i loro drone anti jihadisti. In cambio, il Niger ha raccolto nel dicembre 2017 i dividendi di questa politica: 32 miliardi di dollari in progetti di finanziamento. È arduo districarsi tra le diverse sigle che operano nell’area. Nel “Sahelistan” rimane prevalente lacoalizione filo-qaedista del Gruppo di sostegno all’islam e ai musulmani (Gsim), ma si fa strada anche il Daesh attraverso il gruppo “Stato islamico nel Grande Sahara”, guidato da Adnan Abu Walid al-Sahrawi, già capo del Mujao.
Come per ingarbugliare il quadro, si contano anche gruppi islamici animati da sentimenti etnici, come quelli che nascono tra la popolazione Peul, distribuita tra una ventina di Stati africani. Queste tre anime del jihadismo africano non solo hanno spiazzato il sufismo che caratterizzava, fino a pochi anni fa, l’islam africano, ma rischiano di espandersi a nuovi Paesi del continente, finora risparmiati dalla violenza di matrice islamica. Un segnale preoccupante in tal senso è la nascita, un mese fa, di una wilaya del Daesh nell’Africa Centrale, con epicentro nella Repubblica democratica del Congo.