Dal sito della Nuova Bussola Quotidiana del 24 ottobre 2016
Con l’intervento dell’avv. Francesco Farri prosegue la collaborazione del Centro studi Livatino (www.centrostudilivatino.it) tesa a illustrare i passaggi più significativi della riforma costituzionale e a sottolinearne i profili problematici, allo scopo di avvicinarsi alla scadenza del voto referendario avendo consapevolezza dei contenuti delle modifiche, e lasciando da parte gli slogan. Gli interventi sono pubblicati ogni lunedì e giovedì. Quello che compare oggi torna sul rapporto fra Stato e regioni, affrontando il tema della c.d. clausola di supremazia.
La “clausola di supremazia”, contenuta all’articolo 117, comma 4 della Costituzione che entrerà in vigore se vincerà il Sì, stabilisce che “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. Queste leggi saranno, secondo il nuovo articolo 70, comma 4, approvate dalla Camera, visto che il Senato avrà al massimo 10 giorni di tempo per esaminare il testo (il termine è così ristretto da apparire “canzonatorio”) e visto che, comunque, eventuali richieste di modifiche da parte del Senato possono essere rigettate dalla Camera. Tale clausola conferma la matrice marcatamente statalista e accentratrice della nuova Costituzione e dà al principio di preferenza della autorganizzazione della società rispetto allo Stato, cardine della Costituzione del 1948, uno schiaffo che si ripercuote sugli stessi principi supremi della Costituzione, formalmente non toccati dalla riforma.
I sostenitori del Sì affermano che tale clausola recepirebbe un principio già affermato dalla Corte Costituzionale prima della riforma stessa, e costituirebbe una regola di chiusura presente anche nelle più evolute costituzioni federaliste moderne (in particolare, in Germania e negli USA). Niente di più errato. In realtà, il principio affermato dalla Corte Costituzionale si declina in modo totalmente diverso e le clausole contenute nelle costituzioni tedesca e statunitense prevedono delimitazioni neppure lontanamente comparabili con la clausola Renzi-Boschi. Il principio affermato dalla Corte Costituzionale (cosiddetta “chiamata in sussidiarietà”, elaborata a partire dalla sentenza n. 303/2003 e ripetuta con piccoli aggiustamenti nella giurisprudenza successiva) poggia su due requisiti fondamentali:
1) l’esercizio del potere legislativo dello Stato in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva delle Regioni può avvenire soltanto previa consultazione e accordo tra Stato e Regione interessata: “per giudicare se una legge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina” (sent. n. 303/2003). La necessità della consultazione e del coinvolgimento della Regione sono rimaste ferme nella sostanza anche nelle decisioni successive, tanto che per la Consulta “il mancato raggiungimento dell’intesa costituisce ostacolo insuperabile alla conclusione del procedimento” (Corte Cost., n. 6/2004);
2) la chiamata in sussidiarietà ha presupposti e limiti precisi. Deve dimostrarsi che ai sensi dell’art. 118 Cost. una certa funzione amministrativa non può essere svolta in modo soddisfacente a livello sub-statale; conseguentemente, la deroga al criterio di riparto di competenze legislative stabilito dalla Costituzione deve limitarsi alla “organizzazione e (al)la disciplina delle funzioni amministrative assunte in sussidiarietà”, poiché “il principio di legalità … impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge”. Si statuisce quindi in modo chiaro che la chiamata in sussidiarietà non poteva basarsi su “mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito”: infatti, come chiarisce sempre la Consulta nella sent. n. 303/2003, “ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione”.
I due predetti elementi, richiesti dalla giurisprudenza costituzionale in materia di “chiamata in sussidiarietà”, sono completamente assenti nel nuovo testo costituzionale, che àncora la supremazia a concetti amplissimi (come tali, suscettibili di strumentalizzazione) ed esclude il coinvolgimento delle Regioni. L’affermazione secondo cui la clausola di supremazia del nuovo testo costituzionale costituirebbe la positivizzazione di un precedente orientamento della Corte Costituzionale risulta destituita di fondamento. Anzi, nella parte in cui indica come possibile elemento sufficiente per l’avocazione di competenze legislative “la tutela dell’interesse nazionale”, essa contrasta apertamente con la giurisprudenza costituzionale precedentemente formata e concretizza quello stesso rischio che la Corte aveva evocato in casi del genere, ossia la trasformazione della Costituzione da rigida a flessibile.
Quanto agli USA, l’articolo 6, comma 2 della Costituzione americana stabilisce che soltanto le leggi federali approvate in conformità alla Costituzione prevalgono sulle legge dei singoli Stati e, considerato che le competenze del Congresso federale sono elencate tassativamente all’articolo 1, Sezione 8 della Costituzione, appare evidente come non possa essere rinvenuto alcun elemento di somiglianza rispetto al sistema delineato dalla riforma Renzi-Boschi. Per inciso, gli USA prevedono da oltre duecento anni un sistema parlamentare di vero e proprio bicameralismo perfetto (articolo 1, sezione 7): sono quindi false le affermazioni secondo cui la Costituzione Italiana del 1948 sarebbe risultato l’ultimo esemplare di bicameralismo perfetto nel mondo progredito.
Quanto al sistema tedesco, l’art. 72 della GrundGesetz afferma che lo Stato Federale ha in ogni caso potere legislativo quando e nella misura in cui la creazione di condizioni di parità di vita o il mantenimento dell’unità giuridica o economica nell’interesse nazionale richieda una regolamentazione a livello federale, ma chiarisce che ciò può avvenire soltanto in determinate materie indicate tassativamente e già di regola (art. 74) comprese nell’ambito della legislazione concorrente (immigrazione; alcuni settori economici come industria, professioni, banche e assicurazioni; pubblica assistenza; circolazione stradale; diritto alimentare e fitosanitario; responsabilità dello Stato; bioetica), mentre in altre materie (cura e protezione di natura e paesaggio, ricerca scientifica, espropri, spesa sanitaria, pianificazione territoriale, distribuzione della terra, distribuzione dell’acqua, ammissione scolastica, caccia) vale il principio opposto, ossia quello per cui la legge dei Laender ha il sopravvento anche se il legislatore federale le abbia regolamentate diversamente.
Ci si rende immediatamente conto che, senza considerare la presenza di una vera clausola di “reciprocità” che non è prevista nella nuova Costituzione italiana, la clausola di supremazia tedesca può esercitarsi soltanto in ambiti tassativi, mentre quella targata Renzi-Boschi non ha alcun limite e non patisce alcuna circoscrizione, prestandosi così a ogni abuso: anche considerato che la competenza legislativa esclusiva statale copre, in Italia, già tutto quello che può ragionevolmente incidere sulla unità giuridica ed economica del Paese, compresa la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale.
La verità è che, a differenza della “chiamata in sussidiarietà” precedentemente elaborata dalla Corte Costituzionale, la “clausola di supremazia” contenuta in quello che, vincendo il Sì, diverrebbe il nuovo articolo 117, comma 4 della Costituzione si caratterizza per una estrema e pericolosa vaghezza e ampiezza dei requisiti in base ai quali l’avocazione può avvenire e per l’assenza di coinvolgimento delle Regioni (che sono distinte dal Senato, neppure al quale peraltro è conferito un sostanziale potere di incidere sul meccanismo). Ciò apre la via alla commissione di ogni abuso da parte del Governo e della Camera da essa controllata, rimettendo il tutto a un sindacato della Corte Costituzionale che si troverebbe in queste ipotesi le mani sostanzialmente legate per la vaghezza del meccanismo previsto dalla riforma. Non è un caso, del resto, che la nuova clausola utilizzi proprio quel concetto di “tutela dell’interesse nazionale” che la Corte Costituzionale aveva messo in guardia dall’invocare a questi fini denunciando che “ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione”.
Che la riforma Renzi-Boschi tenda a trasformare nella sostanza la Costituzione Italiana da rigida (casa comune degli Italiani) a flessibile (strumento della maggioranza politica di turno) traspare in modo evidente da un molteplicità di elementi, che vanno dalle deplorevoli modalità di approvazione (maggioranze risicatissime e sempre variabili a seconda della stampella politica di turno) al legame propagandistico con la legge elettorale. La clausola di supremazia è uno degli elementi che traduce questo passaggio in dato giuridico inoppugnabile. Con buona pace di chi sostiene che essa non incida sui principi fondamentali della Costituzione Italiana.
Francesco Farri, Avvocato, Centro Studi Livatino