III Domenica del Tempo ordinario
Le prime parole pronunciate da Gesù Cristo, quando iniziò la sua predicazione in Galilea, sono di una maestosità incredibile, veramente degna di Dio. Chi potrebbe mai affermare che ora «Il tempo è compiuto» (Mc 1, 15)?
Queste parole di grande solennità danno l’avvio alla predicazione di Gesù. Si avverte che è Dio che parla. Soltanto l’uomo-Dio poteva fare questa affermazione. E’ avvertibile in Lui la consapevolezza piena della salvezza, non cercata, ma trovata e confermata, al punto che, al tempo attuale, non manca nulla affinché esso possa riempirsi di beatitudine. E’ quanto avrebbero voluto sentirsi rispondere Jack Kerouack (1822-69) o Bob Dylan (1941-), quando quest’ultimo cantava: «Ho bussato alle porte del cielo, ma nessuno mi ha mai aperto». A noi, oggi, il divino incarico di mostrare all’Europa, che attende una seconda evangelizzazione, il sapore delle opere dello Spirito della Pentecoste.
In questa prima frase del Salvatore in embrione vi sono, in embrione, le ultime parole della croce:
«Tutto è compiuto, Padre nelle tue mani consegno il mio spirito». E’ l’annuncio proclamato sulle sponde del lago di Galilea, che non potrà mai essere soffocato, finché la storia umana non avrà esaurito il suo corso. E’ una frase unica e irripetibile, assolutamente esortativa, come se Gesù dicesse: «Colma il tuo tempo con Me, e abbi vita in abbondanza».
Il tema odierno della conversione può essere così precisato, in senso strettamente cristiano: la conversione è anzitutto vita e gioia. Certo, è anche impegno di tutto il cuore, mente e forza, che procedono secondo verità, con quel conseguente stato, contagioso e missionario, di pace e libertà “tipico” dei figli di Dio. Non riguarda solo gli atei, ma è il primo moto, veramente progressivo, del cuore di un credente, chiamato tutte le mattine a rinnovare la sua fede.
Il primo significato che diamo alla conversione è quello morale, esposto nella prima lettura, in cui il profeta Giona invita i cittadini di Ninive ad una revisione totale della propria condotta, per ritornare al costume retto di un tempo. In tal caso la conversione è come «ritornare sui propri passi», dopo una sbandata, per riprendere una piena sintonia con Dio. L’avvento del Salvatore cambia radicalmente la condizione umana, a cui viene offerta una zattera inaffondabile, pregustazione della salvezza eterna.
Non serve tornare sui propri passi, con Gesù possiamo «afferrare la salvezza e impadronircene». Così Dio ha voluto, per amarci di amore redentivo, che supera la grazia della Creazione.
Un tempo la salvezza era il premio dovuto al raggiungimento di una méta, conquistata con grande fatica ascetica. Ora l’ordine degli addendi si è rovesciato: ci è dato di afferrare la salvezza, dopo di che essa stessa cioè questo nuovo modo di essere, ha generato pensieri, parole ed azioni a Dio gradite.
Conversione e salvezza hanno invertito il loro ordine. La conversione è la risposta che dà l’anima salvata, al Dio della misericordia. E’ Sua l’iniziativa sovrabbondante! Pertanto, anziché convertirci per essere salvati e, quindi, attendere un premio futuro, dobbiamo dire: «convertiamoci, perché siamo salvi. La salvezza è venuta a noi».
E’ il lieto annuncio del Natale, per il quale bisogna appendere luci sovrabbondanti, per la gioia della conversione verso quel Dio che non attende i nostri passi incerti. Il Cattolicesimo inizia dove le altre religioni terminano. Inizia con Dio che ti cerca, carico dei doni più importanti: salvezza e fede. La nuova legge è la Sua grazia. Se per entrare nella fede fossero indispensabili le massime virtù, occorrerebbe un lungo percorso di acquisizione per purificarsi da ogni peccato e la fede sarebbe un futuribile incerto e angosciante.
Invece dice il Salvatore: «Io sono la porta». Allora convertiamoci credendo! Il primo atto è la fede. Siamo uomini liberi di scegliere secondo intelligenza e volontà, per cogliere tutti i buoni motivi che Gesù pone. Più ancora, possiamo comprendere che la ragione umana non può spiegare tutto, anzi, può liberamente riconoscere i suoi limiti e accettare la proposta del Salvatore, che altro non è se non ciò che risponde all’anelito del cuore umano.
Il grande filosofo Blasie Pascal (1623-62) affermava: «L’atto supremo che la ragione può compiere, è quello di riconoscere che c’è un ‘infinità di cose che la sorpassano», come oggi ammette ampiamente anche la scienza sperimentale, dimostrando che la ragione umana ha bisogno di un ausilio e sa proiettarsi oltre sé stessa. E’ un’affermazione umile e contemporaneamente meravigliosa, perché spalanca le porte alla fede, che amplifica e feconda la mente umana.
Ma il Falegname di Nazareth, ci sorprende anche nella tipologia della fede. Se devo affrontare un viaggio, devo accettare intelligentemente che nulla può assicurarmi di giungere alla méta, altrimenti non partiremmo mai per alcun percorso. Solo in tal caso è una fede intelligente. La fede può essere anche totalmente fiduciale, verso una persona molto conosciuta. Nel caso di Gesù e della sua proposta, si tratta di una fede che si appropria di un eccesso di grazia, facendo violenza al Donatore, a cui “carpisci” qualcosa che non meritavi, come fece il buon ladrone sul Calvario.
San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) così si esprime: «Io, quello che mi manca lo usurpo dal costato di Cristo!». Potremmo dire che entriamo nel Regno di Dio quasi da invasori, ben prima di averlo meritato.
Qui è assai interessante il racconto dei grandi convertiti, in cui tutto è amplificato. Mi raccontava una persona, approdato alla fede dopo anni di vita trascorsa egoisticamente lontana da Dio, trascurato e dimenticato, che, giunto ad un punto di non ritorno, ubriaco di malinconia, decise di cominciare a riflettere sulle sue strade sbagliate e ritornò sui passi del catechismo vissuto in adolescenza, riconoscendo che l’unica soluzione è il Dio dell’Amore che perdona e ascolta, anzitutto, il grido della preghiera. Finché non disse di “sì” a Lui non si compì nulla. Pronunciò un “sì” violento, come quello di chi si affida sapendo che più nulla resta da tentare: ubriaco, come si è detto, di malinconia, scese dalle sue false altezze e spalancò le porte a Cristo, nella piena convinzione che Lui solo sa trarre un povero peccatore anche dalle porte degl’inferi, e pregustò immediatamente una misteriosa, profonda consolazione, come solo il Paraclito sa dare, che esortava ad un assenso mai così urgente e vitale. Vi furono ancora delle mancanze prima di giungere ad una piena vita sacramentale, ma quegli errori vennero commessi da un’anima ormai rivolta a Dio, essenzialmente salva e in via di conversione.
Possiamo definirlo un “colpo audace”: la fede è qui un piano risolutivo e ardito. Convertirsi è compiere un’impresa solerte e risoluta, al limite della temerarietà. La fede ci consente di fare una sorta di conquista a sorpresa, a spese di Dio. Prima ancora di meritare alcunché, ci sentiamo dire, come capitò al buon ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso».
Dio ama eccedere in misericordia. Lui ci invita a lanciarci alla sua conquista e impossessarci del Regno. Ma è veramente Lui stesso che ci invita a farlo, perché già opera in noi uno Spirito non di timidezza, ma di fortezza. Il Signore stesso ama questi colpi di mano e si meraviglia che pochi lo facciano, come propone il Vangelo di Matteo: «Il Regno di Dio soffre (volutamente) violenza e i risoluti lo afferrano». Sempre vedi all’opera lo Spirito Santo e i suoi sette doni, sicuro che Lui si è fatto carico dei tuoi peccati e li ha distrutti. Puoi ricominciare a vivere.Se Pietro e Andrea non avessero lasciato le reti e seguito Gesù, quale sarebbe l’esito della loro vita? Non si saprebbe nulla degli Apostoli e non saremmo qui, con loro, a riflettere sulla fede. Stessa sorte sarebbe per noi. Seguendo Gesù la nostra vita entra nell’eternità e tutti diventiamo pescatori di uomini, i cui nomi sono scritti nel cielo.
Domenica, 24 gennaio 2021