XXIV domenica del Tempo ordinario
(Is 50, 5 – 9; Sal 114; Gc 2, 14 – 18; Mc 8, 27 – 35)
L’episodio proposto in questo Vangelo di Marco è assai denso di insegnamenti determinanti per un corretto approccio alla figura del Signore Gesù. Il momento è particolarmente distensivo perché avviene nel corso di un viaggio in territorio pagano, in una zona lussureggiante, presso la città di Cesarea di Filippo. Gli Apostoli non erano impegnati a contenere folle incalzanti di persone interessate alla dottrina della Salvezza. In questo momento di distensione e riposo, il Signore invita
a riflettere su due temi decisivi: il mistero di Cristo e la sua effettiva identità, la salvezza ottenuta per la via della croce. Sono due momenti ben scanditi.
L’interlocutore è Pietro, è il più sveglio e reattivo, ma anche particolarmente ondeggiante. Prima coglie il punto della situazione, esprimendosi ottimamente sulla persona di Gesù, ma poi non lo segue nelle opere. Prima ascolta i suggerimenti di Dio sull’identità del Salvatore, ma poi si lascia prendere dalla mentalità mondana dell’Israele decadente di allora. Prima lodato e poi paragonato a Satana: la frase «Lungi da me Satana» dovette restare su Pietro come un marchio per tutta la vita.
Essendo circa alla metà della vita pubblica, Gesù trae un bilancio. Fa domande per sapere se l’essenziale del vangelo è stato recepito. Il bilancio è fallimentare. Nessuno riconosce Gesù come Messia, cioè il Figlio di Dio. Tante belle attribuzione gli vengono date, ma quando si tratta di riconoscere nel cristianesimo una religione divina – Gesù è vero Dio e vero uomo – prima o poi iniziano scetticismi e persecuzioni.
La Chiesa conserva la pienezza della verità.
La prima questione si riferisce all’identità di Gesù: Chi dice la gente che io sia? Chi sono io secondo voi? E’ una domanda il cui valore è perenne, è la risposta che ognuno dà va ripresa e rinnovata ogni giorno. Nessun uomo può pensare di sfuggire da questo interrogativo: o presto otardi vi si deve confrontare.
Chi è Gesù? Non andremo certo a cercare la risposta al cinema, sui giornali o alla televisione o in
“ciò che dice la gente”. Abbiamo visto che la gente – cioè la cultura mondana, arbitraria e vuota,
scettica e irremovibile nei suoi pregiudizi, inquieta e incapace di cercare sinceramente la verità – non sa dare una risposta concorde; soprattutto non sa dare una risposta vera. D’altra parte Gesù non si preoccupa dell’opinione della folla. Se tutti pensassero subito e bene, il mondo non sarebbe più mondo, ma Chiesa. Conta molto più che i Dodici abbiano correttamente recepito il messaggio cristiano.
La risposta la cercheremo da Pietro, cioè dalla Chiesa, la quale conosce il suo Signore e il suo Sposo ed è in grado di rivelarcene il volto. E’ il volto più bello dei figli dell’uomo, nel quale riluce ogni valore umano e ogni giustizia; è il volto di colui che è stato mandato d Dio a dirci le cose come stanno, perché tutti potessimo deciderci ad orientare bene la nostra vita; è il volto di colui che ha detto: «Chi vede me, vede il Padre», e perciò è lo stesso volto del Dio eterno, reso accessibile e leggibile alle creature che vivono nelle nebbie della storia; è il volto del nostro Salvatore, dell’unico che può salvarci davvero. Ci salva prima di tutto da quel mare di bugie, di falsità, di stupidità, nel quale siamo quotidianamente immersi e dal quale ci libera soltanto la conoscenza delle verità eterne donateci dal Vangelo; poi ci salva dalla nostra condizione di sofferenza e di morte, persuadendoci che ogni dolore ha un senso e un pregio agli occhi di Dio e che la nostra morte sarà vinta per sempre nel destino di risurrezione che ci aspetta; infine ci salva da tutte le tirannie che inceppano e umiliano la nostra esistenza: dalle mille prepotenze di chi ci vuol dominare, alle mille paure che ci affliggono, passando dalle mille debolezze interiori, che ci spingono a fare ciò che pur sappiamo ingiusto e riprovevole. Egli, poiché è l’unico Signore, ci dà il coraggio di vivere, ci dà la forza di vincere ogni seduzione del male. Tutto questo è stato intuito e riconosciuto a Cesarea di Filippo da Pietro che dice: «Tu sei il Cristo», cioè tu sei l’inviato da Dio e il Salvatore degli uomini. Questo è importante. affinché il sale non perda sapore.
La Sapienza della croce
Ma Gesù è un salvatore crocifisso. Questa seconda parte dell’insegnamento è la più dura da accettare. «Cominciò ad insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto». Certo, il Cristo è colui che alla fine vince, perché ha con sé la vittoria di Dio, ma la sua è una vittoria che passa attraverso la sconfitta, l’umiliazione, la morte. Certo, Egli è il re dell’universo e come tale apparirà alla fine, perché a Lui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, ma comincia a regnare dall’alto di una croce, coronato sì, ma di una corona di spine. Egli è colui che è la vita e a tutti può dare la vita, ma la vita che Egli dà germoglia dalla sua morte terribile. Gesù faceva questo discorso apertamente. Traspare da questa annotazione la meraviglia dell’evangelista, quasi a dire: “aveva il coraggio di annunciare queste cose agli Apostoli trasecolati”. Si capisce allora la reazione di Pietro:
interpreta il sentimento di tutti e si ribella. Prende in disparte Gesù, come farebbe un uomo autorevole e sensato con un giovane che l’ha detta grossa, e si mette con incredibile presunzione addirittura a rimproverarlo perché profetizza la croce. Quanti cristiani sono in questa situazione!
Pietro siamo noi. Ci riconosciamo in quest’apostolo schietto generoso che però fa fatica a capire i disegni di Dio. Anche noi facciamo fatica a capirei disegni di Dio, quando includono il dolore, la mortificazione, la fine delle nostre speranze terrene. Anche noi siamo tentati di dar pareri al Signore, e di dirgli che si preoccupi un po’ di più di far trionfare la giustizia, che si dia un po’ da fare per far risplendere la verità davanti ha tutti, che si affretti a confondere i suoi nemici e a rasserenare ed esaltare i suoi amici. Anche noi, come Pietro, siamo pronti ha suggerire al Signore quale sia la strada che deve percorrere; una strada che possibilmente non passi dal Calvario.
Certo non vi è mai stato al mondo un uomo più umiliato di Gesù. C’è, nascosta fra le pieghe della Passione, la rabbia di Satana che vuole ridurre Gesù ad un verme. Mi rimane impressa la volontà perversa di umiliare Dio, che vediamo negli schiaffi, negli sputi, nelle irrisioni dei soldati durante la condanna a morte del Signore. Ma, anche lì, il buon ladrone vide con gli occhi del cuore e si convertì.
E’ curioso notare che l’apostolo è stato talmente spaventato dall’idea della passione, che non sembra essersi accorto che Gesù contestualmente annunciava anche l’ora della resurrezione e della gloria: Il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire,….venire ucciso, e dopo tre giorni risuscitare. Sembra non essersi avveduto che la vicenda aveva un lieto fine. Il progetto di Dio va considerato per intero: c’è la croce, ma c’è anche – e definitiva – la gioia; c’è la morte, ma c’è anche la vita eterna; c’è la sconfitta, ma anche la gloria. Il dolore e la prova sono la strada, e una strada che è obbligatorio percorrere; però non sono la meta o la condizione finale. La meta è la felicità senza termine, ed è assicurata a tutti coloro che, partecipando alla sorte del figlio di Dio crocifisso, partecipano anche alla sorte del Figlio di Dio che regna glorioso.
Come dice san Paolo, noi siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria (Rm 8,17).
Domenica, 12 settembre 2021