XXVIII domenica del Tempo ordinario
(Sap 7, 7 – 11; Sal 89; Eb 4, 12 – 13; Mc 10, 17 – 30)
Il tema della ricchezza è la proposta di riflessione di questa pagina sacra dove possiamo osservare che Gesù non condanna la ricchezza e i beni terrestri per sé stessi. E’ un’osservazione preliminare, necessaria per sgombrare il campo da possibili equivoci. Tra gli amici di Gesù, vi è anche Giuseppe d’Arimatea «uomo ricco»; Zaccheo è dichiarato «salvo», anche se trattiene per sé metà dei suoi beni, che dovevano essere considerevoli. Ciò che Egli condanna è l’attaccamento esagerato al denaro e ai beni, il far dipendere da essi la propria vita e l’accumulare tesori solo per sé,
fino a porre Dio in secondo piano. Allora il denaro non basta mai, per affrontare infiniti possibili imprevisti. Si diventa lupi tanto affamati quanto ansiosi di guadagno, che diventa sempre più disonesto (cfr Lc 12,13 – 21).
Due motivazioni sono alla base di questa denuncia evangelica. La prima è una considerazione di saggezza e fa leva sul fatto che è una follia considerare scopo della vita ammassare ricchezze, costruirsi case e palazzi, quando ben sappiamo che da un momento all’altro dovremo lasciare tutto: «Stolto, questa notte ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Lc 12, 20). La seconda è una motivazione di fede: la ricchezza rende difficile entrare nel Regno. Più difficile che, per un cammello, passare attraverso la cruna di un ago. La parola di Dio chiama l’attaccamento eccessivo al denaro idolatria: «Quell’avarizia insaziabile che è idolatria» (Col 3,5).
Mammona, il denaro, non è uno dei tanti idoli; è l’idolo per antonomasia. Chi è, nei fatti, l’altro padrone, l’anti-Dio, ce lo dice chiaramente Gesù: «Non potete servire a Dio e a Mammona» (Mt 6,24). Mammona è l’anti-Dio perché crea una specie di mondo alternativo, cambia oggetto alle virtù teologali. Fede, speranza e carità non vengono più riposte in Dio, ma nel denaro. Si attua una sinistra inversione dei valori. «Niente è impossibile a Dio», dice la Scrittura, e anche: «Tutto è possibile a chi crede». Ma il mondo dice: «Tutto è possibile a chi ha il denaro». E, a un certo livello, tutti i fatti sembrano dargli ragione. L’avarizia, oltre che idolatria, è fonte di infelicità.
L’avaro è un uomo infelice. Sospettoso di tutti, si isola. Non ha affetti, neppure tra quelli della sua carne, che vede sempre come sfruttatori, i quali nutrono, a volte, nei suoi confronti un solo vero desiderio: quello che muoia presto per ereditare le sue ricchezze. Teso allo spasimo a risparmiare, si nega tutto nella vita e così non gode né di questo mondo, né di Dio, non essendo le sue rinunce fatte per Lui. Anziché ottenerne sicurezza e tranquillità, è un eterno ostaggio del suo denaro.
Carlo Marx, che ha fatto del denaro una delle analisi più penetranti, parla dell’onnipotenza alienante del dio denaro: «Ciò che mediante il denaro è a mia disposizione, ciò che io posso pagare, quello sono io stesso. Quanto grande è il potere del denaro, tanto grande è il mio potere. Io sono brutto, ma posso comprarmi la più bella fra le donne, e quindi io non sono brutto. Sono zoppo, ma se posso comprarmi due magnifici cavalli, è come se avessi otto gambe». Ma se i soli bisogni dell’uomo sono quelli economici, come si fa a dimostrare che quello del denaro è un potere alienante e disumano? La critica di Marx, per quanto penetrante, non cambia le cose e non è veramente coerente. Su questa base, non si va molto al di là delle tradizionali invettive contro il denaro che si leggono nei poeti e nei filosofi. Virgilio parlava già della «esecranda fame dell’oro». Shakespeare si era scagliato contro di esso: «Dannato metallo, tu prostituta comune dell’umanità, che rechi discordia tra i popoli…Tu dio invisibile che fondi insieme strettamente le cose impossibili e le costringi a baciarsi!». Sono grida di rivolta impotenti. Il dio denaro, per così dire, se ne ride di tutto ciò. Una critica efficace dell’onnipotenza alienante del denaro si può fare solo se si riconosce un altro ordine di ricchezza, un’istanza superiore che lo relativizza e lo giudica.
Gesù non si è limitato a descrivere o ad esecrare il potere del denaro, lo ha infranto, rivelando un bene alternativo infinitamente più prezioso: il Regno di Dio. L’attaccamento al denaro e alla ricchezza rende difficile, se non impossibile, entrare nel regno di Dio; impedisce di ottenere quella vita eterna che il giovane ricercava («che devo fare per ottenere la vita eterna?») e che, nella sua risposta, Gesù definisce il «tesoro nei cieli». Notiamo come questo ricco non è affatto lontano da Dio, finché è presentato come il garante dell’ordine stabilito, del diritto di proprietà, un Dio che è contro la violenza. Quello che il ricco non accetta, del Regno di Dio predicato da Gesù, è che esige il retto uso di tutte le cose, scoprire i propri talenti e investire su di essi, porre il dito sul tasto della carità, giudicando ciò che è indispensabile e ciò che è superfluo. L’economia è una scienza carica di incertezze, come il mercato e la finanza, i quali, senza morale, divengono un covo di predatori di denaro a tutti i costi, che non può che portar rovina economica e civile. Il denaro, insomma, è un talento che va trafficato con sapienza.
Qui finisce l’idillio. Il giovane ricco è inorridito al pensiero di dover dividere le sue ricchezze con i poveri. «L’attaccamento al denaro – dice la Scrittura – è la radice di tutti i mali» (1Tim 6,10). Poche frasi della Scrittura gli uomini d’oggi sarebbero disposti a sottoscrivere di buon grado, come questa. Dietro ognuno dei più gravi mali della società (commercio della droga, mafia, sequestri di persona, corruzione politica, fabbricazione e commercio delle armi, sfruttamento della prostituzione) c’è il denaro, o almeno c’è anche il denaro. Ma noi non siamo chiamati solo a denunciare l’idolo del denaro e la ricchezza iniqua.
Gesù non lascia nessuno senza speranza, neppure il ricco. Quando i discepoli, in seguito al detto sul cammello e la cruna dell’ago, sgomenti, chiedono a Gesù «Allora chi potrà salvarsi?», Egli risponde: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio». Dio può salvare anche il ricco. Il punto non è se il ricco si salva (questo non è mai stato in discussione nella tradizione cristiana), ma «quale ricco si salva». Ai ricchi Gesù addita una via d’uscita dalla loro pericolosa situazione: «Accumulatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano. Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché quando essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne» (Mt 6,20; Lc 16,9).
Non è possibile dare giudizi immediati, il denaro va ricercato e usato secondo sapienza. Quanto è giusto che io guadagni? Ciò che serve per diventare santo, secondo i talenti che Dio ha dato a ciascuno e le opportunità che pone la vita stessa. Dio parla a noi con i fatti. Sia la ricerca delle proprie entrate, come il modo di utilizzarle, variano a seconda di tanti fattori che, comunque, vanno con umiltà presentati a Dio e onestamente guadagnati e trafficati. Anche il risparmio è una scelta singolare e non è mai il caso di farsi i conti in tasca, perché i fattori di incertezza possono essere tanti come pochi, come anche le capacità di investimento. Certo, l’elemosina copre una moltitudine di peccati, è un atto della carità che non può mancare. Oltre quella spicciola, che può capitare tante volte in un giorno, la carità oggi va organizzata e fa cose meravigliose, nell’affrontare anche bisogni urgenti. Così si esprime a riguardo il libro del Siracide: «Rinserra l’elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni disgrazia. Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante combatterà per te di fronte ad un tuo nemico» (Sir 29,12 – 13).
L’elemosina non ha mai impoverito nessuno. Tanti santi confermano di aver iniziato con poco, per giungere ad atti assolutamente audaci, segno che nessuno supera Dio in generosità.
Sei stato tu generoso con Dio, Lui mille volte di più con te. E’ conveniente e fruttuoso agire con costanza nel sostenere opere e ambienti conosciuti, in cui prendiamo parte direttamente, e che quindi appartengono alla nostra vita spirituale, che sia la parrocchia, un movimento o altra realtà associativa. Insomma, far servire il denaro, farlo scorrere. Essere dei canali che fanno passare l’acqua, non laghi artificiali che la trattengono solo per sé.
Domenica, 10 ottobre 2021