XXIX domenica del Tempo ordinario
(Is 53, 10 – 11; Sal 32; Eb 4, 14 – 16; Mc 10, 35 – 45)
Il Vangelo di oggi ci propone una scena inconsueta nelle Sacre Scritture, ma frequente nella vita odierna. E’ un “tentativo di raccomandazione” decisamente fallito. Strana è la richiesta e strana è la risposta. La richiesta è fatta da Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Erano apostoli noti per il loro temperamento focoso ed impulsivo, infatti meritarono il soprannome di “Figli del tuono”.
Il Signore però li aveva in simpatia e con Pietro, fanno il terzetto che sarà sempre con Lui nei momenti più forti della sua vita. Tutti e tre, dalla fede, traevano un forte slancio vitale.
La richiesta era questa: «Dì che questi due miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21). L’evangelista Matteo fa intervenire anche la madre, assente invece in Marco: «Noi vogliamo che tu ci faccia quello che chiederemo» (Mc 10,35). I due fratelli tentano furbescamente tentano di farsi dire sì, per così dire, “a scatola chiusa”, cioè prima ancora di aver formulato il loro desiderio. E’ un’astuzia a cui si ricorre quando non si è sicuri di ricevere approvazione. Gesù non cade nell’ingenuo tranello e li costringe a spiegarsi: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gesù legge i cuori, per cui questa domanda sembra inutile, ma desidera chiarezza piena dai discepoli, nel rapporti con Lui. Gli viene chiesto di poter primeggiare un giorno sugli altri: di aver, cioè, il massimo potere e onore nel Regno futuro di Cristo, chiaramente concepito alla stregua di una realtà sociale e politica. Vorrebbero i posti migliori per essere meglio ricompensati. E’ comprensibile la reazione violenta degli altri apostoli: «All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni».
Gesù domanda ai due se sono pronti a pagare il prezzo della vicinanza a Lui, ed essi addirittura rispondono affermativamente. E Lui: «Benissimo, il prezzo è quello e non si fanno sconti ma quanto al posto, dimenticatelo, perché non sta a me concederlo». Gesù infatti chiede ai due: «Potete bere il calice che io devo bere?». Essi, senza pensarci due volte: «Certo che lo possiamo».
Gesù aveva ragione a dire a quei due discepoli: «Voi non sapete quello che chiedete». Se essi o la loro madre avessero saputo a chi sarebbe toccato l’onore di sedere uno alla destra e uno alla sinistra «nel suo regno», cioè i due ladroni crocifissi con lui, si sarebbero guardati bene dall’avanzare una simile richiesta. Gesù espone con pazienza, agli Apostoli ma anche a tutti noi, qual’è la vera grandezza ricercata da un autentico discepolo: «Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo fra voi sarà il servo di tutti”».
Così, dopo il giudizio sul denaro, abbiamo l’occasione di ascoltare il giudizio del Vangelo su un altro dei grandi idoli del mondo: il potere. Neppure il potere è intrinsecamente cattivo, come non lo è il denaro. Dio è definito lui stesso “l’Onnipotente” e la Scrittura dice che «il potere appartiene a Dio» (Sal 62,12). Poiché però l’uomo aveva abusato del potere a lui concesso, trasformandolo nel dominio del più forte e nell’oppressione del debole, come ha risolto Dio? Si è spogliato della sua onnipotenza e si è fatto quel «Caro eletto pargoletto» che cantiamo a Natale: «Spogliò sé stesso e prese le condizioni di servo» (Fil 2,7). Ha trasformato la potenza in servizio. C’è un momento in cui questa impotenza di Cristo appare in tutta la sua crudezza: nel pretorio di Pilato, Gesù ha una corona di spine sul capo, un manto da burla sulle spalle, le mani legate ai polsi, al punto da non poter muovere neppure un dito. E intorno i soldati che lo deridono. La prima lettura contiene una descrizione profetica di questo Salvatore la cui onnipotenza è azzerata: «E’ cresciuto come un virgulto davanti a Lui e come una radice in terra arida. Disprezzato dagli uomini, uomo dei dolori che conosce il patire».
Si rivela così una nuova potenza, quella della croce. Maria, nel Magnificat, canta in anticipo questa controrivoluzione silenziosa operata dalla venuta di Cristo: «Ha rovesciato i potenti dai troni». Questa affermazione riguarda tutti noi, non solo i tiranni e i dittatori. Il potere ha infinite ramificazioni e si infila dappertutto, come la sabbia del Sahara quando soffia il vento di scirocco. Anche nella Chiesa il potere temporale dei Papi si è macchiato talvolta di abusi, e forse la Chiesa ha guadagnato nel perderlo. Anche i cattolici, quando sono al potere, lo sappiamo bene, sono soggetti alle tentazioni comuni e, se non sono più che attenti, possono soccombervi platealmente. E non è solo questione di politica, altrimenti saremmo come coloro che sono sempre pronti a battere le proprie colpe sul petto degli altri. Facile denunciare le colpe collettive, o del passato, e non guardare le nostre nel presente: «Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni» (Lc 1,51s).
Maria qui addita implicitamente l’ambito preciso da cui iniziare a combattere la volontà di potenza, cioè il proprio cuore. La nostra mente può diventare una specie di trono sul quale ci sediamo per dettare legge e fulminare chi non si sottomette. Siamo un po’ come una torre di controllo e comando, da cui emettiamo ordini, giudizi e sentenze. Siamo nei desideri, quelli dei potenti sui troni. Questo avviene anche nell’ambito familiare, quando si introducono dominio e sopraffazione: la vittima non sempre è la donna. Il Vangelo oppone al potere il servizio. Il potere conferisce autorità, ma non autorevolezza, che è rispetto, stima, ascendente reale sugli altri. Il dominio tarpa e non accresce la vita del prossimo, come sa fare l’autentica autorità del servizio. Al potere il vangelo oppone la non violenza, cioè un potere di altro tipo, spirituale e morale, non fisico. Gesù disse che avrebbe potuto chiedere al padre dodici legioni di angeli per sbaragliare il nemico che stava per crocifiggerlo (Mt 26,53), ma preferì pregare per loro, e fu così che riportò la vittoria più grande. Il servizio non si esprime, tuttavia, sempre e solo con il silenzio e la sottomissione al potere: a volte può spingere ad alzare coraggiosamente la voce contro di esso e contro i suoi abusi. La seconda lettura dice: «Non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza nostra».
Tra le cose tristi che Gesù ha sperimentato sulla sua pelle c’è stato proprio l’abuso di potere. Su di Lui hanno infierito i poteri politici e religiosi del tempo: Erode, il Sinedrio, Pilato. Per questo Egli è vicino e può consolare tutti quelli che, in qualsiasi ambiente (nella famiglia, nella comunità, nella società civile), fanno su di sé l’esperienza di un potere cattivo e tirannico. Con il suo aiuto è possibile, come ha fatto lui, non «soccombere al male» e vincere «il male con il bene». (Rm 12,21).
Domenica, 17 ottobre 2021