XXX domenica del Tempo ordinario
(Ger 31, 7 – 9; Sal 125; Eb 5, 1 – 6; Mc 10, 46 – 52)
Il brano evangelico odierno è particolarmente vivace e movimentato che è una gioia ascoltarlo per intero. E’ il caso di lavorare di fantasia, perché ad ogni frase corrisponde una scena che si disegna innanzi a noi. E’ rarissimo nei Vangeli che venga segnalato il nome del malato guarito da Gesù: nel brano di oggi c’è, invece, un’eccezione con Bartimeo, che in aramaico significa “figlio di Timeo” (o Timoteo). E’ abbastanza rara anche la localizzazione precisa dei miracoli di Gesù: qui, invece, c’è il riferimento alla periferia di Gerico, la città più antica del mondo, collocata in una lussureggiante oasi di tre chilometri di diametro, posta nella valle del Giordano a quasi trecento metri sotto il livello del mare. Non sono rare le guarigioni di ciechi nei Vangeli, e questo non va ricondotto solo ad una particolare infezione endemica del Medio Oriente – c’erano tantissimi ciechi al tempo di Gesù -, ma ad un valore più alto e segreto.
Per scoprirlo dobbiamo andare ad un testo dell’Antico Testamento in cui l’aprirsi degli occhi dei ciechi è una specie di indizio inequivocabile dell’inaugurazione dei tempi messianici. Quando il Servo del Signore messianico entra in scena – scrive Isaia – sfolgora «la luce per le nazioni pagane e si aprono gli occhi dei ciechi» (Is 42,6 – 7). E’ priva di qualunque luce, la condizione descritta nella prima lettura, dove protagonista è il popolo di Gerusalemme, crollato sotto l’attacco delle armate babilonesi (586 a.C.) e poi deportato, esiliato e perseguitato: è composto solo di deboli, ciechi, zoppi, donne incinte, simboli della sofferenza e dell’emarginazione. Ma è con loro che il Signore costituisce la sua nuova famiglia «perché io sono un padre per Israele e lui è il mio primogenito».
Durante i settant’anni di esilio a Babilonia, gli Ebrei ritornano alla fede, nasce la sinagoga, Dio manda il santo re Ciro, che lascerà tornare Israele a Gerusalemme e farà riedificare il Tempio.
Possiamo allora comprendere che sotto la superficie esteriore, “fisica”, della guarigione di Bartimeo si cela un segno più profondo e messianico. Bartimeo è uno che non si lascia sfuggire la buona opportunità che Dio manda. Ha sentito che stava passando Gesù, ha compreso che era l’occasione della sua vita e ha agito con prontezza. Già qui abbiamo un primo insegnamento importante. Gesù passa ancora. Bisogna che non passi invano. «Temo Gesù che passa» («timeo Jesum transeuntem»), diceva Sant’Agostino: temo che passi e io non me ne accorga. Il segreto per capire questo brano evangelico è sentirci tutti dei Bartimeo, “mendicanti di luce” ai bordi della strada. «Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me! Allora Gesù si fermò e disse: Chiamatelo! E chiamarono il cieco dicendogli: Coraggio! Alzati, ti chiama! Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù».
La reazione dei presenti mette in luce («lo sgridavano perché tacesse») la nostra inconfessata pretesa che la miseria resti nascosta, non si mostri, non disturbi la nostra vista e i nostri sonni. Oggi tale reazione ci fa pensare anche al pregiudizio di coloro i quali vorrebbero che la fede non si mostrasse in pubblico, non fosse gridata, ma rimanesse un fatto esclusivamente privato. Chiamando Gesù «Figlio di Davide», Bartimeo proclama infatti la sua fede, viene a dire che Gesù è il Messia promesso. Ed è lui, con la sua fede proclamata, che vince. E’ una preghiera che tocca il cuore del Signore, che si ferma, lo fa chiamare e lo guarisce. Il momento decisivo è stato l’incontro personale, diretto, tra il Signore e quell’uomo sofferente. Si trovano l’uno innanzi all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà e due volontà convergenti. E’ una supplica elementare, che sboccia spontanea dalla sofferenza, è una domanda primitiva e istintiva di guarigione. Tuttavia ha in sé una componente luminosa di fede, perché i profeti hanno sempre indicato come atto distintivo del Messia il guarire i ciechi: «Allora si apriranno gli occhi dei ciechi…» (Is 35,5). Possiamo ben immaginarlo mentre si alza di scatto e, a tentoni (ancora non ci vede), va verso il luogo da dove prima proveniva la voce di Gesù. Getta via il mantello, lascia indietro tutto, come chi è sicuro che sta per cominciare una nuova vita.
Possiamo ora ascoltare la conclusione: «Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?” E il cieco a lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista!” “Và, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada».
E’ abbastanza chiaro che questo miracolo di Gesù, come tanti altri, si svolge su due livelli: uno sul piano fisico e uno sul piano spirituale. Ci parla di due cecità: la cecità degli occhi e la cecità del cuore. La seconda è molto peggiore e più difficile da guarire della prima. Con gli occhi del corpo si vedono le cose che passano, con quelli del cuore le cose che non passano. Saint-Exupéry diceva: «Non si vede bene che con il cuore».
Il termine cieco si è caricato di tanti sensi negativi che è giusto riservarlo, come oggi si tende a fare, alla cecità morale dell’ignoranza e dell’insensibilità. Bartimeo non è cieco dalla nascita, è solo un non vedente. Con il cuore ci vede meglio di tanti intorno a lui, perché ha la fede e nutre la speranza.
Anzi, è questa vista interiore della fede che l’aiuta a recuperare anche quella esteriore, delle cose.
«La tua fede ti ha salvato», gli dice Gesù. Un segno di questa sua fede è il fatto che, appena guarito, si mette a seguire Gesù per la strada, diventa discepolo. Non è di quelli cui si applica il proverbio: «Fatta la grazia, gabbato il santo». La fede è anch’essa “cieca” (nel senso che non si regola con il lume della ragione), eppure guida tutti.
Questo racconto, nell’essenzialità dei suoi passaggi, evoca l’itinerario del catecumeno verso il sacramento del Battesimo, che in san Paolo è chiamato simbolicamente “illuminazione”. Nella sua storia infatti, non è passato solo un taumaturgo, ma il «Figlio di Davide» perfetto, il Cristo Salvatore, che ha spazzato via ogni sua oscurità. La folla è un ostacolo: «Lo sgridavano per farlo tacere». Il cieco da solo non sarebbe mai riuscito a identificare Gesù se quest’ultimo non si fosse fermato e avesse dato quell’ordine: «Chiamatelo». A quella voce Bartimeo si precipita verso l’unico che si è preoccupato di lui. Spesso alcuni testi della tradizione cristiana hanno tentato di vedere in questo dialogo il giuoco misterioso tra fede e grazia: il nostro grido è ignorato da tutti e dal mondo, indifferente al nostro male. E’ Lui, il Cristo, che passa per le nostre strade e, prendendo l’iniziativa, ci chiama e ci salva. A noi non resta che seguirlo come discepoli fedeli. Ma guai se Egli non passasse e non ci chiamasse! Il filosofo danese dell’Ottocento Soren Kierkegaard scriveva suggestivamente: «Tu ci hai amati per primo, o Dio. Noi parliamo di te come se ci avessi amato per primo una sola volta. Invece continuamente, di giorno in giorno, per la vita intera, tu ci ami per primo. Quando al mattino mi sveglio ed elevo a te il mio spirito, tu sei il primo, tu mi ami per primo. Se mi alzo all’alba ed immediatamente elevo a te il mio spirito e la mia preghiera, tu mi precedi, tu già mi hai amato per primo. E’ sempre così. Tu non ci ami per primo una sola volta, ma ogni giorno, sulle strade della nostra vita».
Domenica, 24 ottobre 2021