XXXI domenica del Tempo ordinario
(Dt 6, 2 – 6; Sal 17; Eb 7, 23 – 28; Mc 12, 28b – 34)
In questo sintetico confronto, in cui uno scriba domanda a Gesù qual è il primo dei Comandamenti, vengono presentati i due cardini su cui si reggono la nostra fede e la nostra morale, cioè le regole del comportamento che viviamo tutti giorni, in modo molto accessibile. La fede si fonda sul primato assoluto di Dio – «Dio primo, Dio solo», direbbe padre Pollien – e la morale sull’amore che insegna Gesù Cristo. Fede e morale non sono separabili. Le anime veramente fedeli a Dio, cioè i santi e le sante, sono gli unici veri benefattori dell’umanità. La Chiesa, ma credo sia l’esperienza di tutti noi, diffida anzitutto delle filantropie generiche, in cui abbondano termini come “bene”, “giustizia” e “libertà”, ma dietro vi sono tanti compromessi col peccato e le debolezze umane, che non si vincono senza la grazia di Dio. Uno dei più sottili inganni satanici della storia recente è senza dubbio il tentativo di opporre il Creatore alle creature, come se fossero nemici inconciliabili. Disfarsi di Dio sarebbe, allora, l’inizio della libertà. Il Creatore viene presentato (così fece Lucifero con Adamo ed Eva) come colui che è geloso dell’autonomia dell’uomo e ne limita la libertà. La legge morale è vista come un impedimento all’affermazione di sé. Costruire un mondo senza Dio è il sogno delirante di una certa modernità.
Le tragedie che hanno connotato il XX secolo hanno alla radice la pretesa luciferina di costruire un paradiso senza Dio. I miti che hanno alimentato il comunismo e il nazismo sono miseramente crollati, ma la radice malsana dell’ateismo perdura, continuando ad alimentare sogni di autonomia assoluta: se deve esistere una religione, questa potrà essere soltanto quella che divinizza l’uomo, al di fuori del quale non vi è altra divinità; come esposto nel Catechismo: «Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il mistero di iniquità sotto la forma di un’impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica sé stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne» (CCC 675).
Il veleno mortifero di questa illusione penetra fin nelle fibre dell’anima, condizionando il modo di pensare di molti, i quali affermano ancora di credere in Dio, ma non sanno più di cosa farsene. E’ la fede ridotta ai minimi termini, la quale influisce solo pensando al Giudizio finale, ai dieci Comandamenti, ridotti invece al minimo. E’ veramente quel minimo di fede prima dell’inferno, che si espleta solo nell’obbedienza morale scarna e quasi tollerata, anziché condivisa. E’ il dramma di tante coppie di fidanzati, il cui matrimonio va a terminare esattamente dove è iniziato. Condividono tutti i punti forti del matrimonio intellettualmente, ma pensano di poterli realizzare senza ricevere santamente un sacramento che li rafforzi nella loro nuzialità e senza chiedere quotidianamente a Dio la grazia della fede. Impossibile amare il prossimo senza essere vicini a Dio, specialmente nel matrimonio. Il primo dramma di un peccatore è, appunto, la grossa difficoltà che prova nella vita di relazione. Essendo un’anima offuscata da pensieri istintivi, da distrazioni di ogni genere e da compromessi col peccato, offre un presente colmo di contraddizioni e tutt’altro che in pace. Generalmente il peccatore vive uno stato di solitudine e trova difficile relazionarsi col prossimo, sempre difettoso, complesso e enigmatico. San Paolo nel rapporto con il prossimo ci arma subito dei frutti della croce: «sopportatevi a vicenda», ben sapendo che il prossimo è sicuramente portatore delle conseguenze del peccato originale e, prima o poi, ci appare piccolo e meschino in qualche debolezza umana, che troviamo anche nei massimi santi. Soltanto Gesù è in grado di mostrare la grandezza dell’umanesimo cristiano, ma con Lui e Maria, affidando a loro le nostre giornate, accade un’autentica, progressiva assimilazione al modello con cui Dio ha pensato la nostra stessa umanità. Con Lui superiamo tutti le brame dell’egoismo, istinti incontrollati e suggestioni passeggere. Si conservi, quindi, la fede in Dio, nell’anima, nella legge morale e nel giudizio della coscienza, per acquisire volontà di amare il prossimo, contrastando ogni egoismo, che è la prima causa della solitudine odierna. Anche le amicizie, come l’ambiente idoneo ai nostri talenti, vanno chiesti umilmente come grazia al nostro Salvatore.
Anche nell’Antico Testamento si cercava di definire quali fossero i più importanti comandamenti:
il Salmo 15 ne elenca 11, Isaia 6, Michea 3, Amos 2. Gesù supera interamente il problema dell’elencazione e ci dà una prospettiva di fondo, con cui vivere tutta la vita di fede e morale. Non impone un codice, compiuto il quale saremmo tutti tranquilli, indifferenti e sicuri di avere in tasca la salvezza, liberi da impegni, ma vuole indicare un’impostazione totale dell’esistenza, sulla quale reggere tutta la vita, guidare ogni gesto, ogni momento, ogni risposta religiosa ed umana. Un po’ come fa l’innamorato, che non ama solo per alcune ore o in alcune circostanze, ma è sempre interiormente legato e orientato verso la persona che ama. Gesù delinea questo facendo riferimento a due testi biblici. Il primo (Prima lettura) è lo «Shema’Israel» («Ascolta Israele…») – cioè la preghiera più cara alla pietà ebraica: al tempo di Gesù ogni ebreo lo doveva recitare al mattino e alla sera, mentre il testo scritto veniva portato nella teca di cuoio delle “filatterie” che si legavano alla fronte e al braccio durante l’orazione. «Shema’» è la prima parola del testo e significa «Ascolta!» nel senso biblico di adesione gioiosa, di obbedienza filiale, di ascolto entusiasta della richiesta fondamentale di Dio, quella dell’amore. Un amore che coinvolge «cuore, mente forza», cioè tutte le dimensioni dell’essere umano nella sua interiorità e nella sua azione. Un commentatore di Marco, il teologo J. Gnilka, scrive: «Amare l’unico Dio con tutte le forze e le capacità date all’uomo è la sintesi suprema della volontà di Dio».
Il secondo testo è in pratica l’allargamento del primo e coinvolge l’amore verso il fratello. La citazione è presa dal Levitico, il libro sacerdotale per eccellenza: «Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Lv 19,18). Al cuore, alla mente e alla forza, attraversati dall’amore di Dio, corrisponde ora il tutto «te stesso» dell’amore verso il prossimo. Per Cristo queste due dimensioni sono inestricabili, si incrociano e si vivificano reciprocamente costituendo l’essere cristiano autentico. Infatti lo scriba, inizialmente lontano dalla prospettiva di Gesù, accogliendo con fermezza questo doppio impegno, «non è più lontano dal Regno di Dio», sta ormai per diventare membro della comunità cristiana. L’amore verso il prossimo è la conferma dell’autenticità del nostro amore verso Dio. Così lo scriba diviene un vero israelita, che aderisce alla Legge con la totalità dell’amore, come esprime un antico testo ebraico: «Amate solamente il Signore e il vostro prossimo, abbiate compassione dei deboli e dei poveri».
Infatti, nell’amore a Dio, l’uomo può solo rispondere all’iniziativa di Dio, accogliendola e acconsentendo. E’ Dio che ci ama per primo (1Gv 4,1). L’amore di Dio all’uomo può soltanto essere una libera accettazione da parte nostra. Nei confronti del prossimo, invece, possiamo essere noi a offrire un saluto, un aiuto, un servizio, la nostra carità. Nei confronti del prossimo ci troviamo come Dio stesso nei confronti nostri: possiamo avere l’iniziativa della carità. L’amore verso Dio si verifica e riceve la sua autenticità nell’amore verso il prossimo.
Oggi si parla molto di solitudine, in tutte le età e situazioni sociali. Molto spesso è una situazione di lontananza da Dio e quindi di incapacità ad amare, sia nei rapporti familiari che in quelli lavorativi, tanto più in quelli amicali. Quando non si ha nulla di eterno da proporre, il prossimo diventa sempre difficile da affrontare, se non addirittura un potenziale nemico da cui guardarsi. Chi ama Dio propone un gustoso presente, conosce i drammi del cuore del prossimo e sa affrontarli nella grazia. Conoscere Dio nell’amore è l’unico modo per conoscere sé stessi e il prossimo. Dio spiega l’uomo all’uomo e lo assimila a Sé. Il vessillo del Cattolicesimo è una grande capacità collaborativa, che fa della civiltà cristiana un insieme organico e fraterno, capace di un’immensità di forme di vita associata e di sacre famiglie, immagine e somiglianza dell’ottima compagnia trinitaria di Dio.
Domenica, 31 ottobre 2021