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Le letture della domenica

13 Novembre 2022 - Autore: Don Andrea Nizzoli


XXXIII domenica del Tempo ordinario

(Ml 3, 19-20a; Sal 97; 2Ts 3, 7-12; Lc 21, 5-19)


Leggendo il Vangelo di oggi, che è una parte dei famosi discorsi escatologici, riguardanti gli ultimi accadimenti della vita del cosmo, potremmo sentirlo come un annuncio di sventure. Vi si parla di guerre, rivoluzioni, sollevazioni, terremoti, carestie e pestilenze. In realtà, invece, è un annuncio di pace. Le sventure ci saranno ancora perché fanno parte integrante della storia umana, non le ha portate Gesù; ciò che Cristo ha portato è piuttosto la possibilità di vincerle mediante la fede nel suo nome: «Nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime». La società cristiana può elevare tantissimo l’umanità, ma sempre dovrà affrontare «l’Oscuro Signore di questo mondo»: «Vigilate e pregate sempre. Il vostro nemico, il diavolo va in giro, cercando chi divorare» (1Pt 5,8). Gesù descrive molto chiaramente quegli accadimenti, da cui san Paolo trasse la nota conclusione: «Passa la scena di questo mondo» (1Cor 7,31). 

In tal modo «l’idea lineare della storia», non lascia dubbi. Il mondo fu creato da Dio stesso, dal nulla, per evolvere fino ad un certo grado di sviluppo. Alla pienezza dei tempi, ritornerà Gesù Cristo, giusto Giudice, e tutto della storia riceverà il giusto giudizio. Terminerà il tempo, terminerà il Purgatorio, e sarà il definitivo compimento. Secondo misericordia e beatitudine nel regno dei cieli, secondo giustizia e dannazione nell’inferno. In questo modo viene superato un falso concetto di storia, dove il cosmo è visto come eternamente esistente, e facilmente confuso con Dio stesso (panteismo).

Quindi la storia volge verso un termine, cioè verso uno scopo, dopodiché tutto sarà giudicato. Gesù avvalora questa tesi, avvertendo dei grandi accadimenti sociali e atmosferici che prediranno l’imminente fine del mondo attuale. Resta però sul vago e in altri brani della Scrittura dice che neanche Lui sa il momento preciso in cui finirà il mondo, ma solo il Padre suo nei cieli.

Questa grande rivelazione, che oggi la scienza conferma ampiamente, è foriera di grandi conclusioni per la nostra vita quotidiana:

-viene completamente superata la possibilità di vedere la nostra vita come schiava dell’alternarsi delle stagioni, quasi fossimo prigionieri del carosello del tempo, sia in questa dimensione terrena, sia nell’eternità;

-qualunque tendenza ad immaginare una reincarnazione viene superata dalla visione lineare della storia, dove ogni persona creata ha uno scopo preciso e verrà giudicata da Dio;

-il giudizio che attende tutti noi e il premio della visione del volto di Dio portano al superamento di quel fatalismo per cui si subisce passivamente l’esistenza, come un ciclo che comunque si ripete identico.

Ma quello che conta – ci vuole dire Gesù – non è tanto la data della fine del mondo, che certo avverrà, quanto la preparazione da premettere. Più che il Giudizio finale, che servirà a far conoscere la santità di Dio, tanto poco conosciuta e apprezzata dagli uomini, interessa soprattutto quel giudizio che il Signore pronuncerà al termine della nostra vita. A questo proposito contano due avvertimenti del Vangelo di oggi: «Guardate di non lasciarvi ingannare e con la vostra perseveranza salverete le vostre anime».

Ci possono ingannare le false indicazioni sulla fine del mondo che periodicamente vengono divulgate da movimenti pseudo-religiosi. L’ateismo e la secolarizzazione teorico-pratica fissano sulla terra l’unico significato della vita e distolgono dal desiderio di vivere eternamente con Dio. Il benessere tecnocratico, contribuisce a dare la sensazione che tutto possa essere acquistato su questa terra, senza bisogno del cielo. L’inganno è oggi manifesto nel relativismo e nell’ideologia Gender, ma spesso è occulto e genera abitudini sbagliate. San Paolo venne in contatto, nella città greca di Tessalonica, con concezioni errate legate alla fine del mondo. Alcune comunità di credenti si erano lasciate traviare e ne traevano conclusioni sbagliate: inutile lavorare e produrre, tanto il tempo sta per finire; meglio vivere giorno per giorno, ricorrendo a piccoli espedienti, senza assumere impegni a lungo termine.

A costoro, risponde san Paolo nella seconda lettura: «Chi non vuol lavorare neppure mangi…Sentiamo che alcuni vivono disordinatamente, senza fare nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace».

Tutt’altro che disincarnata, la visione corretta della storia valorizza le opere lavorative, che il Padre riterrà salvifiche nel giorno del Giudizio.

Domenica, 13 novembre 2022

Sant’ Abbone di Fleury Abate

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