II domenica di Avvento
(Is 11, 1-10; Sal 71; Rm 15, 4-9; Mt 3, 1-12)
Il deserto non è un luogo di accoglienza della vita. Tutto è più difficile, e quel poco che ti dà deve essere valorizzato e conservato. Nel deserto, o Dio vede e provvede, oppure l’esistenza è impossibile. Eppure diviene il luogo dell’incontro privilegiato con il Signore. Mosè nel deserto vide un roveto ardente, che non si consumava, e lì iniziò un dialogo con Dio. Il popolo eletto rimase quarant’anni nel deserto, eppure servì a condurre Israele nella terra del latte e del miele.
Senza l’aiuto di Dio Israele non sarebbe sopravvissuto nel deserto. Gli Ebrei erano schiavi in Egitto, ma nel deserto ebbero la tentazione di ritornarvi, ripensando alle cipolle di cui si cibavano. Dio creò la terra nell’abbondanza, ma dopo il peccato originale succedette una cosa strana: proprio questa abbondanza della terra diventò un impedimento per l’uomo, tanto che egli incontra Dio nel vuoto, nella miseria, nel deserto della vita, dove risuona di nuovo la voce dall’Alto. Un proverbio popolare dice che quando l’indigenza è suprema, l’aiuto divino è più vicino. L’esperienza comune afferma che nell’indigenza si riconosce chi è vero amico, pertanto da un tronco rinsecchito, figura dell’Israele decaduto, spunta un virgulto su cui soffia lo Spirito, come afferma la prima lettura. Quando la miseria appare al suo colmo, scopriamo che l’unico vero amico è Dio. Nel romanzo I Miserabili di Victor Hugo si racconta di un bravo parroco, che operò bene tutta la vita ma rimase cieco nella vecchiaia. La sorella più anziana lo accudì amandolo di cuore. Cosa c’è di più consolante dell’esperienza di sentirsi nelle mani di qualcuno che ci ama? Chi ci ama è felice di sentirsi indispensabile. E’ solo un debole riflesso di ciò che avviene a tutti noi, quando dedichiamo una settimana di tempo al Salvatore, durante gli Esercizi spirituali. Per questo motivo i profeti, prima di predicare la bontà di Dio, andavano nel deserto. Lì risuonò anche la voce di san Giovanni Battista. A prima vista, pare poco logico: il profeta riceveva la vocazione di parlare al popolo. Sembrerebbe naturale che, per farlo, andasse in città, a parlare nelle piazze, sulle cui tribune parlavano gli oratori politici.
Il profeta, invece, va nel deserto. Ma lì, a chi parlerà? Succede un fatto meraviglioso. La gente esce dalle città e si inoltra nel deserto proprio per andare dal profeta ad ascoltarlo. Anche Giovanni ebbe un percorso umano di preparazione nel deserto, come Gesù per trent’anni a Nazaret rese testimonianza con la sua vita di falegname prima di predicare la Parola. Tante persone non trovano la forza di volontà per fare come il Battista, cioè ritirarsi e conformarsi pienamente al Credo e ai Comandamenti, ma è ciò che sentono come più urgente. E’ Dio che manda, e questo ha dei grandi vantaggi. Quanti sforzi deve fare, di solito, un oratore per attirare la simpatia degli ascoltatori? Deve trovare il loro consenso, parlare di ciò che essi vogliono sentire, ecc. Nel deserto vanno solo quelli che sono inviati da Dio.
Allora questo tipo di predicatore non si preoccuperà di attirare a sé la gente con un’arte oratoria e non avrà timore di dire la verità. Chi non vuol sentire, non ci andrà. Ma alla fine la verità ha la sua forza. Il profeta nel deserto ha più ascoltatori di quanti ne abbiano gli oratori sulle piazze.
Questa esperienza biblica è attualissima. La missione della Chiesa è profetica, la sua voce è come se fosse una voce nel deserto. A prima vista sembra che non abbia alcuna possibilità di penetrare in un mondo che vive secondo principi differenti, tante volte contrari a quelli che insegna il Vangelo. Tuttavia nel corso della storia, c’è come un filo rosso: nel passato ci sono stati milioni di oratori profani. Dove sono ora?
Tutti dimenticati. La voce della Chiesa, dei suoi dottori, dei suoi santi, invece, è durevole, perché è la voce di Dio. E’ Lui che ha creato il mondo con la sua Parola e, perciò, questa sua stessa Parola conserva il mondo anche quando essa risuona nel deserto.
Domenica, 4 dicembre 2022