Ascensione del Signore
Celebriamo la festa di un accadimento storico che è una delle grandi risposte che Gesù dona all’umanità. Il Figlio di Dio ascende al cielo, mediante un passaggio incruento dalla vita terrena a quella eterna. Era così che Dio immaginava il passaggio dell’umanità da uno stato all’altro, prima del peccato originale: l’esistenza terrena sarebbe culminata in un “sacro transito” oltre il tempo e lo spazio, verso un luogo anzitutto caratterizzato dalla visione del volto del Padre. Sicuramente il Salvatore mostra, in questo grande insegnamento, ed è il caso di ripeterlo, l’esistenza di un altro luogo, al di fuori della dimensione terrestre che tutti viviamo. Quando si fa catechismo ai ragazzi, generalmente, l’Ascensione del Signore suscita una comprensibile curiosità e fa sorgere tante domande riguardo a tutto quanto accade nell’aldilà: se Gesù per quaranta giorni, dopo la resurrezione, è apparso agli Apostoli con una tangibile corporeità, ora dove si trova? E’ nel medesimo luogo dove si trovano le anime dei nostri cari defunti? Se ha un corpo, non si può parlare del Paradiso come di uno stato unicamente spirituale: deve possedere anche una dimensione materiale.
Cristo ritornerà un giorno sulla terra come definitivo e giusto Giudice: allora terminerà il tempo, terminerà il Purgatorio, vi sarà il giudizio definitivo, di salvezza o perdizione, e tutto quanto vediamo ora sarà trasformato in cieli e terra nuova, luogo definitivo della vita oltre il tempo, cioè eterna. Riguardo ai così detti “Ultimi accadimenti”, cioè quei fatti che caratterizzano il termine del tempo e l’inizio dell’eternità, Gesù si esprime in modo inequivocabile con i suoi stessi atti. La scena dell’Ascensione è molto ben descritta nella prima lettura: «Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato tra di voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”».
Il significato “nascosto” dell’evento ci è illustrato, invece, da san Paolo nella seconda lettura, in cui ricorda che è Dio Padre che «ha fatto sedere alla sua destra Gesù Cristo»; «tutto ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito» Re «su tutte le cose»; Egli è anche Capo del Corpo (mistico), che è la Chiesa. L’Ascensione celebra l’intronizzazione di Cristo come Signore dell’universo. Ogni altro interrogativo che possiamo porci, inerente alla condizione futura, deve doverosamente essere sottoposto alla così detta “umiltà del teologo”. Non è possibile, cioè, rapportare direttamente ciò che vediamo qui su questa terra ad una situazione che va oltre il tempo e lo spazio terrestri, come è quella delle anime beate. San Paolo fu rapito al cielo in estasi, e non trovò mai parole adeguate per esprimere ciò che vide. Tanti veggenti di Maria fecero dipingere la Regina del cielo così come era loro apparsa, e regolarmente affermarono: «Quanto è più bella nella realtà rispetto a questo dipinto»!
Il cielo di Dio non è il cielo astronomico, ma qualitativamente è indicibilmente superiore. Se è bello il creato, quanto più lo sarà il Divino Artista! Posso parlare della forza del mio braccio destro e poi affermare di aver attraversato un lungo braccio di mare, ma i due termini sono usati analogicamente: quando cerchiamo di descrivere le “cose” di Dio utilizziamo la medesima cautela. Le cose che vediamo sono solo ombra delle realtà del cielo. Certo, il mistero sulla condizione paradisiaca per tanti versi rimane, e dobbiamo accettarlo, ma viene illuminato da due promesse che Gesù ci assicura e altrettanto sicuramente verranno realizzate nella vita futura: l’assenza totale del male, ma soprattutto vedere Dio così come Egli è. Quest’ultima è l’unica vera acquisizione che sazia la fame di verità e di bontà dell’anima umana. Nei consigli di tanti confessori viene spesso proverbialmente affermato: non stancarti di cercare il bene e lottare contro il peccato fino a che sarai innanzi al volto del Padre.
Quando parliamo del cielo nel senso che dà la solennità odierna, dovremmo pensare soprattutto al grande evento che sta davanti a noi, che è il ritorno di Cristo glorioso, ovvero la “Parusia”, con quello che porterà, cioè i cieli nuovi e la terra nuova. E’ singolare ascoltare le parole che pronunciano i due angeli mentre gli Apostoli guardano verso l’alto: «Perché guardate il cielo?» E’ un rimprovero che a volte viene fatto ai cristiani, quando si ritiene che non agiscano in modo concreto. In realtà, gli Apostoli bramavano già il ritorno del Signore: «Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». Così anche in san Paolo: «La nostra patria è nei cieli e di là aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo» (Fil 3,20). Quindi non cerchiamo la terra di lassù, ma quella futura. La differenza può sfuggire, ma è determinante, rispetto ad ogni altra cultura religiosa.
Agli occhi dei saggi pre-cristiani questo mondo non aveva valore. La salvezza, per loro, era una fuga dal mondo e soprattutto dalla carne perché essa era considerata “indomabile” e comunque legata al male ed al peccato in modo irreversibile. Oggi Gesù mostra che il corpo non è un semplice veicolo o un contenitore da lasciare quaggiù, ma è destinato a partecipare, con l’anima, alla gloria. La solennità odierna è la celebrazione di questa grande vittoria contro la solitudine assoluta, ma anche e sopratutto il trionfo su quella solitudine estrema che è la morte. La felicità che ci attende in pienezza non è senza la nostra carne. Il cielo per noi cristiani è l’incontro con il Signore che viene, «andare a stare con il Signore» (Fil 1,23).
Inoltre, essendo questo mondo creatura di Dio, otterrà anch’essa una redenzione completa paragonabile a quella del corpo umano (Rm 8,19): è consequenziale interessarsi della sua sorte, come Dio stesso indica nella Genesi, non solo conservando ma anche collaborando alla sua implementazione con l’intelligenza del lavoro umano.
Anziché staccarci dall’impegno quotidiano e dall’urgenza ecologica odierna, la fede nel ritorno di Cristo e in una vita futura diviene la nostra vera motivazione, che non consente nessuna tranquilla pigrizia. Con l’Ascensione si chiude, quindi, il tempo della presenza visibile del Cristo in mezzo a noi, ma inizia la Sua nuova presenza attraverso l’azione di salvezza che realizza attraverso la Chiesa e la vita dei credenti. Non è, quindi, il momento del cordoglio, ma del canto, ed è per questo che la liturgia ci fa esplodere oggi in un applauso: «Applaudite, popoli tutti, acclamate a Dio con voci di gioia, ascende Dio tra le acclamazioni, cantate inni a Dio, cantate inni» (Salmo responsoriale).
Domenica, 16 maggio 2021