Quant’è bella democrazia. Tanto bella che – quasi fanciulla leggiadra non pienamente consapevole dei rischi che corre se gira indisturbata – deve essere ricondotta sulla retta via quando intraprende una direzione diversa da quella auspicata. Il voto per la Brexit ha spiazzato molti, e ha provocato risultati che lo rendono ancora più significativo. C’è chi, dai piani alti delle istituzioni europee, ha sentenziato che l’Europa ha una funzione pedagogica verso chi ne fa parte: in quest’ottica, la sfera decisionale del voto dei popoli va limitata, altrimenti sorgono problemi, come è apparso evidente con la scelta scellerata di sottoporre agli inglesi la permanenza o l’uscita dall’Unione (Cameron si è dimesso proprio per averla permessa).
È una logica simile a quella che, quasi un secolo fa, si affermava nel Palazzo d’Inverno, a San Pietroburgo: il partito comunista si muoveva in nome dei lavoratori, senza però consultarli col voto. Non avveniva perché i lavoratori erano privi di quella coscienza di classe che era invece il proprium del partito; all’interno del partito, poi, i dirigenti erano l’avanguardia che forniva alle masse la consapevolezza della loro missione rivoluzionaria. Sappiamo com’è finita. Gli attuali euroburocrati pensano di essere ben distanti dal comunismo, ma ne riprendono, cambiando quel che è da cambiare, il modo di ragionare: i popoli che compongono l’Europa sono trogloditi, non capiscono le esigenze e le finalità che sono alla base dei trattati in materia di moneta, finanza ed economia, e quindi l’ultima cosa da fare è dare loro l’opportunità di pronunciarsi. Lo pensano e lo dicono, non rendendosi conto che i popoli hanno qualche residuo di senso comune, e di fronte a certe imposizioni reagiscono.
Certo, la reazione fa uso degli strumenti disponibili: non è colpa degli inglesi se la scheda poneva di fronte alla scelta secca Leave/Remain. La semplificazione è operata da chi non usa consultare se non quando è costretto, salvo poi censurare l’incapacità della gente di fare distinzioni.
Un film che rivedremo presto
Vi è una versione meno rozza della proclamazione di intenti di limitare la democrazia; a questa variante hanno fatto eco i media europei. Quasi tutti hanno riportato con evidenza la stima del voto per la Brexit suddivisa per fasce di età, dalla quale emerge che l’opposizione all’Unione cresce con l’età dei votanti. Messaggio chiaro: l’“autogol” – termine col quale qualche quotidiano italiano ha commentato l’esito del referendum, mostrando il massimo del rispetto per la volontà popolare – è stato voluto dai vecchi, che in questo modo hanno compromesso il futuro dei giovani. Attenzione: qui l’argomento adoperato è più sottile.
È ben vero che la generazione degli over 50 in tutta Europa lascia una eredità pesantissima in termini di decremento demografico, di avallo di leggi ostili alla vita e alla famiglia, e quindi allo sviluppo e alla ricchezza, e di indebitamento oltre misura; ma se poi quella generazione ha un sussulto e realizza che quel che è venuto fuori nell’ultimo ventennio ha creato più problemi che vantaggi, perché il pensionato dell’Essex che ha sbarrato Leave deve farsi prendere dai sensi di colpa? Qual è il passaggio successivo? L’eutanasia della scheda? Sei avanti negli anni? Resta a casa e fai votare chi ha una vita davanti a sé!
Se questa fosse la strada, costituirebbe una punizione non da poco per chi finora ha disperso occasioni per far valere il proprio dissenso verso istituzioni europee costruite contro natura. Ma se – alla scuola di san Giovanni Paolo II – siamo convinti che il totalitarismo non è solo quello dei carri armati, e che ve ne è una varietà soft che passa anche dalla estromissione progressiva e per fasce di popolazione dalle decisioni che contano, questa potrebbe essere l’occasione per rimettere in ordine il quadro d’insieme. Anche perché il film del referendum inglese potrebbe riproporsi per quello italiano sulla riforma costituzionale. Di certo il premier concentrerà la propaganda sul voto giovane verso una Costituzione rinnovata e rock. Ecco: come gli inglesi, diffidiamo dagli spot.
Alfredo Mantovano
Articolo tratto da Tempi Web del 3 luglio 2016 – Foto Ansa