La ricostruzione post-pandemia è, secondo Papa Francesco, un’occasione imperdibile per rivedere le sperequazioni che contrassegnavano l’economia pre-Covid.
di Michele Brambilla
Come asserisce Papa Francesco aprendo l’udienza generale del 19 agosto, «la pandemia ha messo allo scoperto la difficile situazione dei poveri e la grande ineguaglianza che regna nel mondo. E il virus, mentre non fa eccezioni tra le persone», come accade nelle danze macabre dipinte nei secoli passati, «ha trovato, nel suo cammino devastante, grandi disuguaglianze e discriminazioni. E le ha aumentate!».
La risposta alla pandemia e alle sue conseguenze economiche deve quindi seguire due binari: «da un lato, è indispensabile trovare la cura per un virus piccolo ma tremendo, che mette in ginocchio il mondo intero. Dall’altro, dobbiamo curare un grande virus, quello dell’ingiustizia sociale, della disuguaglianza di opportunità, della emarginazione e della mancanza di protezione dei più deboli. In questa doppia risposta di guarigione c’è una scelta che, secondo il Vangelo, non può mancare: l’opzione preferenziale per i poveri (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium [EG], 195)».
Secondo il Papa, per realizzare questa opzione occorre semplicemente seguire l’esempio di «Cristo stesso, che è Dio», il quale «ha spogliato sé stesso, rendendosi simile agli uomini; e non ha scelto una vita di privilegio, ma ha scelto la condizione di servo (cfr Fil 2,6-7). Annientò sé stesso facendosi servo. È nato in una famiglia umile e ha lavorato come artigiano», condividendo con noi anche l’esperienza del lavoro. «Per questo, i seguaci di Gesù si riconoscono dalla loro vicinanza ai poveri, ai piccoli, ai malati e ai carcerati, agli esclusi, ai dimenticati, a chi è privo del cibo e dei vestiti», fino a farne, come si diceva sopra, una opzione preferenziale.
Il Pontefice rileva che «tutti siamo preoccupati per le conseguenze sociali della pandemia. Tutti. Molti vogliono tornare alla normalità e riprendere le attività economiche», ma bisognerebbe prima riflettere su cosa si intenda per “normalità”. Un’economia davvero “normale” non dovrebbe comprendere ingiustizie, discriminazioni e inquinamento: «oggi abbiamo un’occasione per costruire qualcosa di diverso. Per esempio, possiamo far crescere un’economia di sviluppo integrale dei poveri e non di assistenzialismo», che è cosa ben diversa dalle forme legittime di assistenza ai bisognosi, riguardo alle quali il Papa porta ad esempio l’associazionismo italiano.
Essere caritatevoli con il prossimo è certamente lodevole, «ma dobbiamo andare oltre e risolvere i problemi che ci spingono a fare assistenza». Serve, ammonisce il Santo Padre, «un’economia che non ricorra a rimedi che in realtà avvelenano la società, come i rendimenti dissociati dalla creazione di posti di lavoro dignitosi (cfr EG, 204). Questo tipo di profitti è dissociato dall’economia reale, quella che dovrebbe dare beneficio alla gente comune (cfr Enc. Laudato si’ [LS], 109), e inoltre risulta a volte indifferente ai danni inflitti alla casa comune».
Sono riforme da attuare immediatamente: «con l’esempio di Gesù, il medico dell’amore divino integrale, cioè della guarigione fisica, sociale e spirituale (cfr Gv 5,6-9) […], dobbiamo agire ora, per guarire» epidemie materiali e spirituali. Il Papa arriva a dire che non tutte le aziende sono da aiutare allo stesso modo, ma solo «quelle che contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato».
Giovedì, 20 agosto 2020