Da “Il mattino” del 5 agosto 2017. Foto da Focus
«Come dobbiamo spiegarlo a questi ragazzi che decidono di provare i brividi del week end con le droghe?». Ed ancora: «Cosa c’è di più di una storia così tragica per far capire che non esiste la droga che non fa niente, come dicono loro?». Sono le sconsolate parole del capo della Squadra mobile di Genova dopo la morte di Adele De Vincenzi, 16 anni di Chiavari, avvenuta esattamente una settimana fa dopo aver assunto una pasticca di ecstasy. Non sono quesiti retorici: sono domande che meritano risposte. Talune delle quali trovano già una prima importante traccia nella relazione 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia del Dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio. Poiché gran parte dei media sono interessati maggiormente al sostegno più o meno esplicito alla legalizzazione della cannabis, provo a soffermarmi su qualcuno dei dati da elaborati dal documento del Governo, in aggiunta o a fianco rispetto a quelli già messi in rilievo ieri su queste colonne, limitandomi soltanto a quel che attiene la droga presunta «leggera»: La diffusione dei derivati della cannabis fra i più giovani ha assunto caratteri di pandemia, se nel 2016 il 25.9% della popolazione studentesca, pari a 640.000 persone, ne ha fatto uso almeno una volta, e se nella medesima fascia di età tale cifra sale a 804.000 per l’uso almeno una volta nella vita, e coinvolge 90.000 persone quanto a uso giornaliero. Centinaia di migliaia di persone in età evolutiva subiscono una aggressione al sistema nervoso, all’apparato respiratorio, alla capacità riproduttiva, per menzionare solo alcune delle voci maggiormente interessate dai danni della sostanza, e il dato non provoca né allarme né reazione. Si fa fatica a qualificare «droga leggera» la cannabis in circolazione, della quale costituisce un campione quella sequestrata nelle operazioni di polizia, nel momento in cui perfino la cannabis in foglie risulta avere una percentuale media di principio attivo pari a 10.8, con punte del 31. E ben noto che la cannabis più potente che si riscontra in natura ha il thc pari al massimo al 2.5%: il che vuol dire che quella che circola normalmente è stata sottoposta ad alterazione con gli strumenti oggi disponibili a chiunque, acquistabili senza problemi per internet. Si fa ancora più fatica ad adoperare l’ aggettivo «leggera» per una sostanza che nel 2016 ha fatto incrementare del 65% i ricoveri ospedalieri nella fascia compresa fra i 15 e i 17 anni e del 36.5% al di sotto dei 15 anni. A ciò si aggiunga che il 44% dei soggetti in che nel 2016 si è sottoposto a un trattamento di recupero faceva uso esclusivo di derivanti della cannabis. E questo per non dire dei problemi seri di salute che emergono al netto dalle ospedalizzazioni: che sfuggono da rilevazioni statistiche, ma conoscono una drammaticità quotidiana, soprattutto quando i problemi riguardano l’equilibrio psichico.
Come ricordava ieri il professor Serpelloni, i dati vanno interpretati, dopo averli letti. Se manca lo sforzo di considerarli nel loro insieme appaiono contraddittori. Va spiegato come mai nel 2016: le operazioni antidroga delle forze di polizia sono indicate in aumento; la cannabis ha la diffusione massiva appena ricordata; il suo incremento si ricava anche dai dati in crescita dei ricoveri ospedalieri; il 91,4% dei sequestri riguardano cannabis e derivati; e tuttavia, in termini quantitativi l’hashish sequestrato è il 64,8% in meno rispetto al 2015 e le denunce all’autorità giudiziaria per detenzione e spaccio di cannabis sono appena il 49,5% del totale. Non vi è incoerenza di informazioni, significa che il contrasto di polizia e giudiziaria verso la cannabis sconta il pregiudizio che è una droga «leggera», e si mostra inversamente proporzionale rispetto alla sua diffusione. Non è frutto del caso: nella primavera 2014, cogliendo l’occasione di una sentenza della Corte costituzionale che poneva problemi solo formali verso la riforma legislativa del 2006, il governo allora presieduto da Matteo Renzi ha imposto con voto di fiducia un decreto legge che, fra l’altro, per le droghe ripristinava l’antiscientifica distinzione pesanti/leggere, restaurava la non punibilità per la detenzione finalizzata «per uso personale», eliminava l’arresto obbligatorio in flagranza per lo spaccio di lieve entità. Gli esiti sono stati: l’aumento della parcellizzazione dello spaccio: in assenza di obbligo di arresto quando si è colti sul fatto se si hanno con sé poche dosi, ci si fa furbi e si viaggia sempre con poche dosi (il solo fastidio è di fare il su e il giù dal deposito con più frequenza); la riduzione al minimo delle sanzioni per i derivati della cannabis; l’incremento dell’area dell’impunità. Ma è l’intero sistema che è saltato in aria. Secondo la legge, quando la sostanza, per qualità e/o quantità, è ritenuta per uso personale, chi la detiene viene «segnalato» al Prefetto per l’adozione di sanzioni amministrative, dalla sospensione della patente di guida a quella del porto d’armi, o per l’avvio a una struttura di recupero. A conferma dell’estensione della diffusione della cannabis, la relazione informa che l’83,6% delle segnalazioni al Prefetto riguardano proprio chi è colto in possesso di tale sostanza e/o ne fa uso.
Qual è la sorte di tali segnalazioni? Su 32.687 soggetti «segnalati» per ogni tipo di sostanza (ma, come si è detto, più di 8 su 10 lo sono per la cannabis), solo 13.157 sono stati interessati da sanzioni amministrative. E gli altri?
Non hanno problemi a porsi alla guida di un mezzo o a girare con un’arma? Il dato realmente sconfortante è il numero di coloro che, sollecitati dal Prefetto, accolgono l’invito ad avviare un trattamento di recupero: appena 122, circa lo 0.3%. È in calo anche il ricorso allo strumento dell’affidamento in prova per il recupero, finalizzato a evitare il carcere: da 3328 del 2013 a 2991 del 2016. Il rigore iniziale spingeva ad affrontare i sacrifici del recupero; l’attenuazione di quel rigore circoscrive l’area del recupero: chi ne trae vantaggio? La relazione avrebbe dovuto occupare, come è accaduto sul Mattino, le prime pagine di tutti i quotidiani italiani e aprire i tg. Invece ha meritato qualche trafiletto: a conferma che sulla questione droga vige una rimozione al tempo stesso culturale, mediatica e politica.
Con l’ipocrisia del dibattito intermittente sulla legalizzazione, quando la legalizzazione di fatto c’è già stata col decreto Renzi del 2014. Con i radicali e con le associazioni che a loro fanno riferimento è condivisibile solo una proposta: quella- dopo 8 anni! – di una nuova conferenza nazionale sulle dipendenze. A condizione che alla base di essa vi siano i dati obiettivi raccolti nelle relazioni ufficiali e l’individuazione di un impegno organico e articolato di conoscenza e prevenzione: che informi nelle scuole sugli effetti reali di ogni tipo di droga, che riprenda spot serie grandi campagne sui media e sui social, che svolga un bilancio obiettivo degli effetti della «leggerezza» non solo nella qualifica della cannabis, ma anche del disinteresse verso ciò che essa ha contribuito a provocare.
Alfredo Mantovano