Eracle è l’eroe per eccellenza, con un’esistenza travagliata e movimentata, ma costantemente alla ricerca del bene.
di Lucia Menichelli
Nella mitologia greca, Eracle, figlio di Zeus, che lo ha concepito con la mortale Alcmena, sposa di Anfitrione, è l’eroe per eccellenza, con un’esistenza travagliata e movimentata, ma costantemente alla ricerca del bene, al punto che, come testimoniano anche le raffigurazioni delle catacombe, il pensiero cristiano addirittura fece sua l’idea di Ercole come prefiguratore di Gesù.
Nella tragedia di Euripide a lui dedicata viene raccontato un oscuro episodio della sua saga: Eracle, impegnato nella sua ultima fatica con Cerbero, è lontano da casa e Lico ne approfitta per usurpare il trono di Tebe, minacciando di togliere la vita a Megara, sua moglie, e ai suoi figli, nonché al vecchio Anfitrione. Quando ogni speranza sembra perduta, Eracle ritorna e uccide l’usurpatore. Ma Era, nemica giurata dell’eroe, invia Iris, la sua messaggera, e Lissa, la dea della rabbia, con uno scopo: fare impazzire Eracle per indurlo a uccidere i suoi stessi figli. Effettivamente la violenza cieca dell’eroe si abbatte sui bambini e su Megara; viene risparmiato dall’intervento di Atena solo Anfitrione che, quando Eracle ritorna in sé, gli mostra i cadaveri e gli svela che proprio lui è l’artefice dello scempio: Eracle, in preda allo sconforto, medita il suicidio.
La parte finale della tragedia è dedicata all’incontro con Teseo, l’eroe che Eracle ha salvato, riportandolo sulla terra dagli Inferi, dove era stato incatenato da Cerbero: Teseo, giunto a Tebe dopo essere venuto a conoscenza delle minacce di Lico, deve prendere atto della strage compiuta dal suo amico. I due eroi si incontrano e intessono un profondo dialogo.
Teseo dichiara di avere compassione verso di lui e lo dissuade dal suicidio, definendolo una stoltezza, visto che Eracle è un eroe benvoluto da tutti. Sostiene le sue argomentazioni esprimendo anche una morale “olimpica”, nel tentativo di consolarlo: anche gli dèi compiono nefandezze perché anch’essi sono soggetti alla sorte («nessuno dei mortali può sfuggire alla sorte, nemmeno gli dèi (…) E tuttavia abitano l’Olimpo e si rassegnano alle loro colpe!», vv.1314-19). Se Eracle condividesse questa prospettiva il suicidio sarebbe per lui giustificato e logico: secondo la mentalità degli antichi, infatti, a chi è preclusa la possibilità di vivere una vita serena e normale è necessario rassegnarsi al suicidio, nel tentativo di preservare la propria dignità.
Ma Eracle rifiuta le argomentazioni di Teseo: «Ma io non credo che gli dèi godano di amori illeciti (….). Il dio se è veramente un dio, non ha bisogno di nulla» (vv.1341-46). Rifiuta, cioè, la mentalità religiosa tradizionale secondo cui gli dèi sono tanto accomunati agli uomini da assumerne inevitabilmente gli stessi atteggiamenti, anche deprecabili; ma tanto più potenti di questi, da causarne la rovina soprattutto in presenza di forti legami, ed Eracle è figlio di Zeus, il re degli dèi, che però non fa nulla per impedire la sventura del figlio.
E’ indicativo quanto viene pronunciato da Iris, la messaggera degli dèi: se Era non farà impazzire Eracle «gli dèi non varranno più nulla e il potere dei mortali sarà grande» (vv. 841-842); una frase rivelatrice di quanto fosse opprimente il sentimento che i Greci ebbero della malvagità degli dèi, cui attribuivano le sventure e i loro stessi delitti, ma rispetto al quale cercarono di difendersi elaborando un ideale umano più forte e in definitiva moralmente migliore delle loro stesse divinità.
E’ per questo che Eracle, nella piena assunzione di una responsabilità che paradossalmente non è sua, accetta il consiglio di non suicidarsi, affermando: «mi rassegnerò con fermezza alla vita» (vv. 1351).
Con il suo ragionamento, Eracle rifiuta ogni comunanza con la divinità, per sottolineare i valori umani nel cui nome decide di sopportare la sofferenza. Egli mostra che gli uomini sono capaci di dare vita a valori etici nonostante, anzi proprio grazie alla propria debolezza. Le ultime parole di Eracle sono queste: «è insensato chi antepone la ricchezza o la forza ai veri amici” (vv.1425-26). La philía, negata agli uomini dagli dèi, diventa tra gli uomini un valore supremo, che si può coltivare anche al di là del legame di sangue, in un superamento della morale arcaica. Teseo (deus ex machina umano) promette a Eracle un culto eroico ad Atene, la città civile che offre onore e ospitalità anche a chi come lui si è macchiato di colpe atroci.
Traspare una visione dei valori propri dell’uomo, in vista di un’etica che cementi la convivenza sociale; ma nel contempo si svela l’aspirazione ad una relazione con la divinità che sia modello etico oltre che principio di autorità. Tuttavia, nonostante questo sforzo di conservare all’uomo la sua bellezza morale, inevitabilmente è progredita anche una coscienza del peccato, cui attribuire la sofferenza dell’uomo; tale consapevolezza, «parallelamente all’elaborazione di un concetto più puro e morale di Dio, doveva condurre la Grecia alla confessione della malvagità umana. Tale confessione doveva portarla ai piedi del Cristo» (Charles Moeller – 1912/1986).
Sabato, 30 agosto 2025
