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L’Europa indifesa

25 Dicembre 1987 - Autore: Pierre Faillant de Villemarest

Pierre Faillant de Villemarest, Cristianità n. 152 (1987)

 

Mentre cresce l’importanza della pressione sovversiva, dell’infiltrazione spionistica e della demoralizzazione pacifistica, all’orizzonte ricompare l’eventualità di una «piccola» guerra convenzionale.

 

Dopo il vertice di Washington

L’Europa indifesa

 

L’euforia sprigionata dagli accordi firmati a Washington da Ronald Reagan e da Mikhail Gorbaciov l’8 dicembre 1987 non conquista tutti, ma fa presa.

Esaminiamo quanto viene detto relativamente agli accordi siglati ma, grazie a Dio, non ancora ratificati dal senato degli Stati Uniti.

Dunque, Mikhail Gorbaciov ha finalmente ammesso la «verifica» in territorio sovietico dello smantellamento e della non produzione dei missili SS-20. Su questa base, i controllori americani potranno visitare le postazioni di lancio appunto degli SS-20. Benissimo. Ma gli accordi non parlano di un fatto nuovo, rivelato dal Pentagono poco prima delle dimissioni di Caspar W. Weinberger, e cioè che Mikhail Gorbaciov può tranquillamente mandare fra i ferrivecchi i suoi SS-20, dal momento che è già uscito un modello derivato da tali missili, ma più avanzato e di cui gli accordi non trattano.

E i controllori possono tranquillamente recarsi sui luoghi da loro identificati — ma sono state identificate tutte le postazioni? — perché l’SS-20 modello 2 può essere lanciato da lanciamissili mobili, come altri della stessa «famiglia».

Si assisterà allo spettacolo dei controllori che corrono qua e là per acciuffare un eventuale lanciamissili mobile? Mosca lo vieta. 

Si dice anche che potranno verificare se le fabbriche di missili vietati ne producono ancora. È falso! La sorveglianza autorizzata dal governo sovietico potrà essere svolta «attorno alle fabbriche in questione», e non all’interno di esse! Lo ha dovuto ammettere, il 9 dicembre 1987, anche L’Humanité, l’organo del partito comunista francese. Gli altri giornali tacciono. Si vedranno i controllori accampati giorno e notte davanti alle fabbriche specializzate per ispezionare gli autocarri e le piattaforme che ne escono? E semplicemente ridicolo! Si prende in giro il mondo! Per altro, lo stesso Washington Post, in delirio per la felicità davanti a questa «riconciliazione» sovietico-americana, ammette nel titolo di un articolo che la verifica sarà un «procedimento difficile».

Ma immaginiamo che tutto si svolga nei termini previsti. E dopo? Lo smantellamento previsto riguarda il 4% del potenziale nucleare schierato dall’una e dall’altra parte dell’Atlantico. Anche togliendo di torno la metà del restante 96% vi sarà ancora materia per manipolare l’opinione pubblica con lo spettro dell’olocausto. Infatti si tratta proprio di questo, cioè di una minaccia messa in campo per non servirsene, al punto che i sovietici preparano da lungo tempo una strategia assolutamente diversa da quella di devastare il pianeta, o anche la sola Europa: la vogliono conquistare, ma ricca!

L’Unione Sovietica vuole vincere la guerra senza doverla fare, servendosi sempre di più della sovversione, dello spionaggio, dell’ultrapacifismo. Se si trovasse nella necessità di farla, la farebbe indubbiamente con armi nucleari miniaturizzate, per neutralizzare un luogo determinato, seminando contemporaneamente il panico ovunque altrove, ma non per devastare un paese. Esperti come il generale Gallois lo dicono e lo scrivono, e descrivono le armi «nuove», per esempio quelle chimiche — di cui gli accordi non parlano — oppure quelle laser, e così via. L’Unione Sovietica costruisce anche nuovi missili balistici intercontinentali, su cui i commentatori di tutti paesi mantengono un silenzio totale come il TT-09, detto anche SS-X-26. Molti di questi missili possono anche colpire sia Lisbona che Parigi, sia Roma che Londra, sia Chicago che Los Angeles oppure New York. Infatti, se un fucile ha un tiro utile di ottocento metri, non è vietato usarlo per colpire a centocinquanta oppure a duecento…

Veniamo ingannati, mentre l’Europa Occidentale e quella Orientale sono trasformate in un piccolo campo di battaglia in cui domani, per mezzo di piccoli soldati interposti, in una bella piccola guerra convenzionale, i «super-Grandi» eventualmente si scontreranno, a causa di qualche imbroglio dell’uno oppure di qualche eccessiva ingenuità dell’altro.

Quando Saigon è caduta, dodici anni or sono, ho ripetutamente scritto che si avvicinava il momento in cui, sia per gli americani che per i sovietici, l’Europa non avrebbe rappresentato niente di più del Vietnam Meridionale di allora. Eccoci al dunque.

Non potremo impedire nulla trincerandoci dietro quella sorta di linea Maginot costituita dalla forza nucleare francese. Si dice che i francesi sono indifferenti — o comunque non vogliono sopra ogni cosa —, nella loro maggioranza, a che si reagisca se domani la Repubblica Federale di Germania fosse invasa. È evidente: quale ideale viene loro proposto, da più di venticinque anni? Sceneggiate politiche oppure un’Europa del carbone, del burro, dell’acciaio, dei legumi. I sovietici sanno quello che vogliono, cioè continuare a estendere il comunismo, sempre meno grazie ai partiti comunisti e sempre più grazie a quelli che non li sono, ma che cedono al comunismo oppure gli fanno smancerie. Essi vogliono vincere. Gli americani che circondano Ronald Reagan, da parte loro, vogliono accordi. E una strada che porta molto lontano, come nel caso del Vietnam, cioè fin nel fosso di una nuova débâcle, questa volta europea. 

Pierre Faillant de Villemarest

 

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