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“L’Europarlamento prova a «scavalcare» gli Stati nazionali”

21 Settembre 2021 - Autore: Alleanza Cattolica

Di Giovanni Maria Del Re da Avvenire del 15/09/2021

Riconoscere i matrimoni omosessuali in tutta l’Ue e i relativi rapporti di genitorialità. A chiederlo è il Parlamento Europeo, in una risoluzione approvata ieri durante la plenaria a Strasburgo con 387 sì, 161 no e 123 astensioni. Tra i no figurano quelli della Lega e di Fratelli d’Italia, mentre Forza Italia si è divisa (Isabella Adinolfi ha votato sì, Massimiliano Salini no, gli altri si sono astenuti). Divisione analoga a quella complessiva del gruppo del Ppe. No della destra euroscettica Id (di cui fa parte la Lega), diviso invece il grup- po dei Conservatori (di cui fa parte Fratelli d’Italia).

Va ricordato però che, trattandosi di una risoluzione, il documento non ha alcun valore vincolante per gli Stati membri, del resto da trattato Ue il diritto familiare è strettamente competenza nazionale. Le polemiche, tuttavia, sono subito esplose. «È inaccettabile – tuona la leghista Simona Baldassarre – che l’Unione Europea si ostini a operare ingerenze nel diritto di famiglia, che resta e resterà sempre competenza esclusiva degli Stati membri».

«Spiace – ribatte invece Mario Furore di M5s – che ancora una volta Lega e Fdi abbiano votato con i sovranisti e i partiti di estrema destra, che fanno della negazione dei diritti una loro bandiera». La risoluzione è peraltro in linea con la posizione espressa nel settembre 2020 dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen: «Se sei genitore in un Paese, lo sei in tutti i Paesi». Nel testo si chiede che «la Commissione proponga una legislazione che richieda a tutti gli Stati membri di riconoscere, ai fini del diritto nazionale, gli adulti menzionati in un certificato di nascita emesso da un altro Stato membro come genitori legali del bambino, a prescindere dal sesso o dallo stato coniugale, e di riconoscere, ai fini del diritto nazionale, i matrimoni o le unioni registrate contratte in un altro Stato membro, in tutte le situazioni in cui i coniugi o i partner registrati avrebbero il diritto a un pari trattamento». Non basta: «gli Stati membri – si legge ancora – non possono invocare alcun bando costituzionale di matrimoni omosessuali o protezione costituzionale della morale per ostruire i diritti fondamentali alla libertà di movimento nell’Ue violando i diritti delle famiglie arcobaleno di trasferirsi nel loro territorio».

«L’Ue – recita ancora la risoluzione – deve assumere un approccio comune per il riconoscimento dei matrimoni e unioni omosessuali». Il testo prende anche spunto dalla sentenza della Corte di giustizia Ue «Coman & Hamilton» del 5 giugno 2018 in cui si afferma che il termine «coniuge» utilizzato nella direttiva sulla libertà di circolazione è applicabile anche a partner dello stesso sesso. Il Parlamento esorta inoltre la Commissione ad «affrontare la discriminazione sofferta dalla comunità Lgtb in Polonia e Ungheria». Oggi peraltro scadono i due mesi concessi da Bruxelles ai due Paesi per rispondere alle rispettive lettere di messa in mora, l’avvio di una procedura per discriminazioni anti-omosessuali.

Foto da articolo

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