di Michele Brambilla
Il 14 ottobre 2018 passerà alla storia essenzialmente per la canonizzazione di Papa Paolo VI (Giovanni Battista Montini, 1897-1978) da parte del suo successore, Papa Francesco. San Paolo VI condivide la festa del popolo cristiano con personalità tutt’altro che di secondo piano: Oscar Arnulfo Romero (1917-80), arcivescovo martire di San Salvador, capitale di El Salvador; Francesco Spinelli (1853-1913), sacerdote ambrosiano fondatore delle Suore Adoratrici del SS. Sacramento; Vincenzo Romano (1751-1831), parroco ricostruttore di Torre del Greco dopo l’eruzione del Vesuvio del 1794; Maria Katharina Kasper (1820-98), fondatrice delle Povere Ancelle di Gesù Cristo dopo una gioventù operaia; Nazaria Ignazia di Santa Teresa di Gesù (1889-1943), fondatrice delle Suore Missionarie Crociate della Chiesa ispirandosi ai martiri della Cristiada (1926-29) e della Guerra civile spagnola (1936-39); e Nunzio Sulprizio (1817-36), pastorello abruzzese, morto a Napoli a 19 anni dopo una vita piagata dalle fatiche tipiche di molti giovani poveri del Meridione d’Italia suoi contemporanei.
Il Papa, nell’omelia della canonizzazione, è partito da uno spunto fornito dalla seconda lettura della XXVIII domenica del Tempo ordinario, per ricollegarvi poi sinteticamente la biografia dei santi appena proclamati. «La seconda Lettura ci ha detto che “la parola di Dio è viva, efficace e tagliente” (Eb 4,12). È proprio così: la Parola di Dio non è solo un insieme di verità o un edificante racconto spirituale, no, è Parola viva, che tocca la vita, che la trasforma» a immagine Sua, cioè a immagine del Verbo fatto uomo. Ogni santo corrisponde alla comune chiamata battesimale alla santità secondo i suoi particolari accenti, ma il desiderio di fondo che li interpella rimane quello che il giovane ricco indica nel Vangelo (Mc 10,17): «avere in eredità la vita eterna». E tutti si rimane sempre “spiazzati” dalla sovrabbondanza dei doni di Dio.
«Gesù è radicale. Egli dà tutto e chiede tutto: dà un amore totale e chiede un cuore indiviso. Anche oggi si dà a noi come Pane vivo; possiamo dargli in cambio le briciole?». Certo che no, risponde per tutti il Papa. «A Lui, fattosi nostro servo fino ad andare in croce per noi, non possiamo rispondere solo con l’osservanza di qualche precetto. A Lui, che ci offre la vita eterna, non possiamo dare qualche ritaglio di tempo. Gesù non si accontenta di una “percentuale di amore”: non possiamo amarlo al venti, al cinquanta o al sessanta per cento. O tutto o niente». Cristo deve davvero regnare su ogni particolare della vita.
Pertanto, «chiediamo la grazia di saper lasciare per amore del Signore: lasciare ricchezze, lasciare nostalgie di ruoli e poteri, lasciare strutture non più adeguate all’annuncio del Vangelo, i pesi che frenano la missione, i lacci che ci legano al mondo. Senza un salto in avanti nell’amore la nostra vita e la nostra Chiesa si ammalano di “autocompiacimento egocentrico” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 95)». Il missionario si spoglia di sé per rivestirsi di Cristo. «L’ha fatto Paolo VI, sull’esempio dell’Apostolo del quale assunse il nome», e lo hanno fatto anche tutti gli altri santi. «Tutti questi santi, in diversi contesti, hanno tradotto con la vita la Parola di oggi, senza tiepidezza, senza calcoli, con l’ardore di rischiare e di lasciare. Fratelli e sorelle, il Signore ci aiuti a imitare i loro esempi».