mons. Kurt Krenn, Cristianità n. 163-164 (1988)
I parametri della dottrina cattolica in argomento riproposti per contrastare la diffusione — nello stesso mondo cattolico — di tesi erronee e infondate.
Riflessioni di un presule austriaco
Libertà di coscienza e formazione della coscienza
Coscienza, libertà di coscienza e formazione della coscienza sono termini indissolubilmente legati alla dignità dell’uomo. Nessuno può costringere un uomo ad agire contro i dettami della sua coscienza. Nessuno può pretendere di agire e di decidere moralmente se non agisce in coscienza. Fa parte della natura e della dignità dell’uomo fondare il proprio comportamento e le proprie decisioni sul giudizio della sua coscienza. Senza coscienza l’uomo non si può veramente realizzare. Il Concilio Ecumenico Vaticano II lo esprime in modo ancora più elevato: «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nel suo intimo» (1).
Si tratta di un testo conciliare meraviglioso, che però è stato di frequente usato a sproposito oppure male inteso. Infatti si sente spesso la frase: «Nella questione della regolazione delle nascite viene lasciato tutto alla coscienza dei coniugi». Ma come si conciliano affermazioni di questo tipo, che si sentono fare anche da teologi morali o da consulenti familiari, con quello che il Concilio Ecumenico Vaticano II afferma nello stesso passo riguardo alla coscienza: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge, che non è lui [!] a darsi, ma alla quale invece deve ubbidire, e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre si fa sentire dalle orecchie del cuore: fa questo, evita quest’altro. L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore, nell’ubbidienza alla quale consiste la sua stessa dignità e secondo cui sarà giudicato» (2)?
Coscienza, legge di Dio
Nella mentalità del nostro tempo si è annidato un errore superficiale; si dice: l’importante è che tu agisca secondo coscienza; l’importante è che tu lo faccia con amore. Questa superficialità si insinua ulteriormente nei giudizi degli uomini: l’importante è che avvenga democraticamente; l’importante è che faccia piacere; l’importante è che tu realizzi te stesso. Per molti tali frasi suonano convincenti, ma a volte sono pericolosissime. Con la sua sola coscienza, senza la legge di Dio, l’uomo può commettere i delitti più efferati, poiché la coscienza da sola può errare. Perfino «con amore» si può fare grave ingiustizia; anche i delitti più gravi possono essere decisi «democraticamente», la stoltezza più grande può avvenire «con salute e piacere», l’«autorealizzazione» può diventare un peso onerosissimo per il prossimo. Perché tali superbi principi non preservano da peccato, delitto, stoltezza ed egoismo umani? Proprio allora si abbandona l’uomo in balia della solitudine e del pericolo costituito da una coscienza che può errare quando lo si assicura solennemente che deve scegliere semplicemente «secondo la propria coscienza».
«Sola coscienza»: decisioni erronee
Talune prese di posizione nel campo della teologia morale non corrispondono assolutamente a quanto sostiene il Concilio Ecumenico Vaticano II a proposito della coscienza. Infatti il Concilio parla di una legge che deve essere scoperta dalla coscienza, che non è l’uomo a darsi, a cui egli deve ubbidire e che chiama l’uomo a fare il bene e a fuggire il male. Il Concilio parla di una legge scritta da Dio nel cuore dell’uomo; la dignità dell’uomo consiste nell’ubbidire a questa legge voluta da Dio; e proprio in base a questa legge sarà giudicato da Dio (3).
La coscienza umana non può essere semplicemente coscienza e decidere «in coscienza» senza riguardo alla legge di Dio. La coscienza ha piuttosto una verità necessaria, che l’uomo non si può dare autonomamente. Questa verità della coscienza consiste nella coincidenza della coscienza con la volontà di Dio. La volontà di Dio è la legge della coscienza, che deve essere conosciuta sempre di nuovo e sempre meglio e alla quale bisogna ubbidire a cuore aperto.
Chi può illuminare sulla legge di Dio la coscienza disponibile e che interroga? Ascoltiamo il Concilio: «Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge, che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo» (4). Quindi è la verità di Cristo che guida la coscienza dell’uomo, la mantiene nella verità e la conduce alla verità piena.
Coscienza come dignità dell’uomo
La coscienza trova la sua verità solo nella legge di Dio; l’ubbidienza alla legge è la dignità dell’uomo, questo è quanto afferma il Concilio. E se qualcuno pensa di aver trovato fra le dichiarazioni dei vescovi e del Papa una scappatoia per una coscienza autonoma, se non cerca la legge di Dio priva la propria coscienza della sua verità. Nella ricerca poi della legge concreta di Dio l’uomo ha bisogno della Rivelazione divina e del Magistero della Chiesa di Cristo. Per questo, per esempio, la Dichiarazione di Maria-Trost — emessa nel 1968 dai vescovi austriaci dopo la pubblicazione dell’enciclica Humanae vitae da parte di Papa Paolo VI — dice del tutto a ragione: «Anche la nostra coscienza da sola non ci dice nulla. Il problema è costituito dalla retta formazione della coscienza. L’autorità della Chiesa ci aiuta ad arrivarvi…» (5). E il Concilio parla della retta coscienza, che si deve orientare a quella verità che l’uomo non può darsi da solo: «Quanto più, dunque, prevale la coscienza retta, tanto più le persone e i gruppi si allontanano dal cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della moralità» (6). Quindi ci atteniamo al Concilio se diciamo che la coscienza deve essere sempre «coscienza retta», che si ispira alla legge concreta di Dio. Infatti esistono «norme oggettive» della moralità, che non possono essere soppiantate dall’intenzione o dalle motivazioni dell’uomo che agisce. L’uomo deve subordinare la sua intenzione e le sue motivazioni a queste norme oggettive; l’uomo non può farsi da solo queste norme oggettive; e queste norme oggettive esigono quella ubbidienza della coscienza di cui parla il Concilio.
Ricerca del vero
Anche una coscienza che erra non perde la propria dignità. Ma anche per una coscienza che erra permane l’obbligo di ricercare il vero e il bene; l’abitudine al peccato rende la coscienza quasi cieca, come sostiene il Concilio stesso (7). Vi deve essere la libertà di coscienza, ma non esiste l’arbitrarietà della formazione della coscienza. La nostra coscienza ha bisogno di verità, la nostra coscienza ha bisogno della formazione della retta coscienza, ispirata alla legge di Dio; e la legge di Dio ci viene esplicata tramite Cristo e attraverso il Magistero della Chiesa.
L’enciclica Humanae vitae non ha formulato una nuova legge di Dio: l’enciclica Humanae vitae voleva fornire alla coscienza umana quella chiarezza di cui l’uomo ha bisogno per la conoscenza della legge concreta di Dio. Senza la verità la nostra coscienza non può essere per nulla coscienza. Senza la verità la nostra coscienza sarebbe soltanto fonte di arbitrio e di discrezionalità. La verità della coscienza si fonda sulla legge di Dio, la realizzazione della coscienza consiste nella coincidenza dell’agire dell’uomo con la legge di Dio. La verità deve essere però annunciata, insegnata, imparata e vissuta in modo credibile, l’assimilazione della verità è scopo dell’educazione e della formazione. Quanto più la coscienza si giustifica di fronte a Dio, tanto più si giustifica anche davanti a tutti gli uomini. Tramite la fedeltà alla coscienza i cristiani sono uniti agli altri uomini, uniti nella ricerca della verità, uniti nella soluzione secondo verità dei numerosi problemi morali (8).
Nelle discussioni riaffiora sempre il problema della sovrappopolazione della nostra terra. Questo problema deve essere risolto con la sterilizzazione o addirittura con l’aborto? Non pochi propongono tali vie, che non tengono conto della coscienza oppure vanno chiaramente contro di essa: i problemi del mondo dovrebbero essere risolti in modo tecnico e non morale. Ci troviamo di fronte a una sfida per i cristiani, relativa alla fedeltà alla coscienza, poiché l’uomo è libero e nella sua libertà è tenuto a perseguire il bene morale, anche nella soluzione dei problemi più gravi.
Anche il Concilio affronta il problema della sovrappopolazione e mette in rilievo il diritto al matrimonio e alla procreazione, e parla della responsabilità dei genitori riguardo al numero dei figli. Ma anche a questo proposito il Concilio ribadisce la responsabilità retta e formata secondo verità, che si orienta alla legge di Dio e che tiene conto delle situazioni contingenti (9). Trattando poi del matrimonio e della famiglia lo stesso documento conciliare sostiene che ai figli della Chiesa non è consentito, nel campo della regolazione delle nascite, seguire vie che il Magistero, spiegando la legge divina, ha condannato (10). L’enciclica Humanae vitae, l’esortazione apostolica Familiaris consortio e molte dichiarazioni del Papa sono tali spiegazioni della legge divina e fanno sì che la coscienza dell’uomo possa diventare una coscienza formata rettamente. Queste dichiarazioni del Magistero pontificio appartengono irrinunciabilmente alla formazione della retta coscienza; una coscienza che contraddicesse queste dichiarazioni non sarebbe una coscienza formata rettamente.
Formazione della coscienza attiva e retta
Anche nella spesso fraintesa Dichiarazione di Maria-Trost, non vi è neppure una proposizione che si discosti dalla coscienza «formata rettamente» a favore di una coscienza «qualsiasi» e non vi è neppure una proposizione che potrebbe giustificare la tesi secondo cui i coniugi, nella questione della pillola, possono decidere secondo la loro coscienza, come se non avessero bisogno della coscienza retta, formata secondo la legge divina e il Magistero della Chiesa.
Se quindi, per esempio, la pubblicazione Ich-Du-Wir — «Io, Tu, Noi», edita dall’Istituto austriaco per la Famiglia e il Matrimonio — formula in questi termini un principio fra i Criteri per la decisione di coscienza nella scelta del metodo: «Un metodo può essere legittimato in coscienza se corrisponde all’amore dei due partner e lo favorisce» (11), questo non contribuisce alla formazione della coscienza retta come esige il Concilio Ecumenico Vaticano II. Fra i nove criteri citati in questa pubblicazione non vi è neppure un accenno alla legge di Dio e al Magistero della Chiesa. Chi, per la decisione secondo coscienza, fa valere come criteri soltanto considerazioni umane oppure mediche, non adempie all’incarico della Chiesa per la formazione della coscienza retta.
Per agire moralmente dobbiamo decidere in coscienza. Ma dobbiamo decidere con la coscienza formata rettamente, poiché la nostra coscienza è inseparabilmente legata alla legge di Dio. Chi pone volutamente la propria coscienza contro la coscienza formata rettamente, priva la coscienza della verità e della dignità. Chi invece agisce con la sua coscienza formata rettamente si pone dalla parte della legge di Dio e della verità della coscienza.
A chi, critico sottile, mi dicesse, all’incirca, che, siccome un vescovo dice una cosa e un altro vescovo ne dice un’altra, egli può seguire la «sua» coscienza, farei notare come la sua coscienza non possa fare a meno dell’accordo con la legge di Dio, come, per esempio, hanno ribadito in una dichiarazione comune, nel 1988, gli stessi vescovi austriaci. Ma, anche se non esistessero l’enciclica Humanae vitae e l’esortazione apostolica Familiaris consortio, la coscienza dovrebbe sempre seguire quanto in questi documenti del Magistero pontificio è stato detto esplicitamente: infatti, si è sempre trattato della legge di Dio nell’ordine della creazione.
Kurt Krenn
Vescovo ausiliare di Vienna
Note:
(1) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 16.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. ibidem.
(4) Ibidem.
(5) EPISCOPATO AUSTRIACO, Dichiarazione di Maria-Trost, 1968, II.
(6) CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, doc. cit., ibidem.
(7) Cfr. ibidem.
(8) Cfr. ibidem.
(9) Cfr. ibid., n. 87.
(10) Cfr. ibid., n. 51.
(11) Ich-Du- Wir, p. 42.