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“Libertà religiosa, Trump firma un decreto «insulso»”

8 Maggio 2017 - Autore: Marco Respinti

Da “La bianca torre di Echtelion” dell’8 maggio 2017. Foto da La Nuova Ecologia

Da giorni circola una notizia bomba che sui nostri media non riesce però a oltrepassare la spessa cortina fumogena delle “renziadi” nel PD e dei deliri anti-vaccini, ed è una notizia che riguarda la libertà religiosa: libertà religiosa calpestata in Russia con una protervia che non ha precedenti a danno (per ora) dei testimoni di Geova ‒ e nella repubblica ex sovietica del Kazakhstan pure ‒, tanto da mettere in allarme persino la gerarchia cattolica russa e da finire per la prima volta in testa alla “lista nera” stilata annualmente dalla US Commission on International Religious Freedom del governo di Washington, e libertà religiosa difesa negli Stati Uniti dal presidente Donald J. Trump  con l’ordine esecutivo firmato il 4 maggio e intitolato laconicamente Promoting Free Speech and Religious Liberty.

Trump lo aveva promesso in campagna elettorale, impegnandosi formalmente contro quanto fatto proditoriamente per 8 anni di governo da Barack Obama a proteggere il I Emendamento alla Costituzione federale che sancisce il diritto inalienabile di ogni cittadino statunitense a esprimere pubblicamente la fede religiosa, e fondando così tutte le altre libertà politiche e civili americane. Ed era stato questo suo impegno netto, preziosissimo (e di per sé affatto scontato), ad assicurare a un sempre più improbabile Trump il supporto della Destra religiosa anche nei momenti più bui e pecorecci della sua corsa alla Casa Bianca.

Passando finalmente dalle parole ai fatti, Trump interviene dunque correggendo due storture: arginando la limitazione della libertà di espressione di Chiese e gruppi religiosi minacciati nel proprio statuto no-profit qualora appoggino e sostengano per ragioni morali e religiose determinati candidati politici (altrimenti, per esempio, un denominazione battista che consigliasse pubblicamente ai propri fedeli di votare “Mr. Smith” poiché contrario all’aborto e ai “matrimoni” omosessuali potrebbe vedersi punito con tasse insostenibili) e intimando alle agenzie federali di modificare quelle politiche della riforma sanitaria varata dal suo predecessore, nota come “Obamacare”, che impongono alle aziende di fornire ai propri dipendenti coperture sanitarie che includano la contraccezione gratuita.

Quanto al primo punto, Trump lo aveva promesso intervenendo al National Prayer Breakfast il 2 febbraio e prendendo di petto il cosiddetto “Emendamento Johnson”, dal nome del presidente Lyndon B. Johnson (1908-1973) che lo fece approvare nel 1954 come modifica al Codice di diritto tributario quando era leader della minoranza Democratica al Senato federale per vendicarsi di due realtà religiose che lo avevano accusato di essere troppo tenero nei confronti del comunismo.

Ovviamente il più chiassoso a lamentarsi è il mondo LGBT, ma anche i conservatori sono inviperiti. L’ordine esecutivo, infatti, è praticamente solo un monito affinché chi può agisca. Ma non impone alcunché. Non obbliga, non costringe. Dunque di fatto non cambia le cose.

Il commento più acuminato è certamente quello del filosofo Robert P. George, uno dei maggiori leader intellettuali del fronte conservatore, che con un tweet definisce «insulso» il provvedimento dandone la colpa alla figlia del presidente, Ivanka, e al di lei marito Jared Kushner, da tempo “sospettati” di essere l’ostacolo più grosso a una vera politica anti-omosessualista di Trump. Sul periodico National Review lo segue David French con parole di fuoco. E non più tenero è, sempre via Twitter, Ryan T. Anderson, astro nascente del conservatorismo più serio, a suo tempo autore di un intelligente assist al presidente, adesso più deluso che mai.

Il fatto però è che su materie così il presidente degli Stati Uniti non può fare altro che fortemente “consigliare” le agenzie federali come appunto fa Trump con l’ordine esecutivo emanato giovedì. Per cambiare o persino cancellare una legge come l’“Emendamento Johnson” occorre infatti un voto del Congresso, l’organo legislativo; e per bloccare le politiche più assurde e moralmente lesive dell’“Obamacare” bisogna appunto eliminare l’“Obamacare”, cosa che il voto positivo alla Camera federale espresso dai deputati sempre giovedì ha solamente cominciato a fare. Giustissime quindi le critiche dei conservatori che si aspettavano più incisività, precisione e forza, ma di fatto tutto sta nelle mani dei Repubblicani del Congresso. Dal canto proprio, Trump un segnale positivo lo ha dato; debole, forse debolissimo, ma dalla parte giusta. Non è quello che la Destra si attendeva avendogli accordato fiducia, ma è quello da cui occorre giocoforza partire. Trump incontrerà Papa Francesco a Roma il 24 maggio. Lontano da figlia e genero potrebbe cogliere l’occasione per rimediare clamorosamente come certamente sa fare.

Marco Respinti

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