…c’è poco da stare allegri!
Gli ultimi dati Istat segnalano un risveglio dell’inflazione in Italia: +1,5% su base annua. La componente alimentare ed energetica, che rappresenta la più importante per la vita di tutti i giorni delle famiglie, è poi nettamente superiore rispetto alla media del paniere: +8,8% gli alimentari non lavorati e +12,1% gli energetici non regolamentati.
La notizia è stata generalmente presentata come una buona nuova, perché segnalerebbe l’inizio di una ripresa dell’attività economica dopo quasi due lustri di letargo. Le cose stanno davvero in questi termini?
Per la Scuola austriaca di economia, l’inflazione vero nomine è l’aumento della massa monetaria in circolazione, che si traduce inevitabilmente in un rialzo generalizzato dei prezzi. Le politiche monetarie espansionistiche delle Banche Centrali sono quindi all’origine di tale svilimento del valore della moneta.
Il rialzo dei prezzi di beni e servizi rappresenta una perdita di potere d’acquisto per i titolari di redditi fissi (salari, stipendi, pensioni), che tendono ad adeguarsi con ritardo e spesso solo parzialmente ai rialzi dei prezzi.
Anche i risparmiatori vengono penalizzati, perché la crescita dei prezzi va ad erodere nel tempo il valore reale di quanto accumulato, specialmente in un contesto come quello attuale dove i tassi di interesse sono compressi artificialmente al ribasso dalla BCE, rendendo quindi nulli o addirittura negativi i rendimenti “reali” (tasso nominale – tasso dell’inflazione).
Scoraggiando il risparmio si spingono artificialmente i consumi, qui ed ora, a scapito degli investimenti di lungo periodo: si inducono quindi comportamenti distorti a tutti i livelli, un “consumismo” dannoso per i singoli e le famiglie che vampirizza le prospettive di crescita futura.
Del rialzo dei prezzi beneficiano invece quelle imprese la cui voce di costo principale sono i salari e gli stipendi, purché riescano a scaricare sul consumatore finale prezzi più elevati: in ogni caso gli effetti aggregati non sarebbero certamente positivi per il sistema produttivo.
Ne beneficiano poi i debitori, se il loro debito è remunerato a tasso fisso, perché in termini reali viene a ridursi nel tempo. Se ne avvantaggia ovviamente quel grande debitore che è lo Stato, tanto più quando remunera i titoli del proprio debito ai tassi “politici” attuali, compressi artificialmente al ribasso dall’interventismo della Bce.
Un tasso d’inflazione prossimo al 2% annuo, che è l’obiettivo perseguito dalle principali Banche Centrali del mondo, pare poca cosa ma consente in realtà di effettuare un massiccio spostamento di ricchezza dai creditori-risparmiatori ai debitori: in soli 10 anni il valore reale di un credito-debito verrebbe infatti svalutato di oltre il 20%!
Il celebre economista Luigi Einaudi (1874-1961) ebbe a definire l’inflazione come la più iniqua delle tasse, perché colpisce in misura più grave le fasce più deboli delle popolazione, con l’aggravante di non essere stata deliberata da alcuna legge, violando così quel principio fondamentale del no taxation without representation.
Come il risveglio dell’inflazione possa essere una buona notizia, in specie per le famiglie italiane già in affanno, non è dato vedere: c’è poco da stare allegri.
Maurizio Milano