di Stefano Chiappalone
L’architettura sacra ha in sé un non trascurabile – e purtroppo talora invece trascurato – potenziale di evangelizzazione, in quanto comunicazione immediata – nel senso di evidente immediatamente – della bellezza e della verità del cristianesimo. Nella Lettera agli artisti del 4 aprile 1999 Papa san Giovanni Paolo II (1920-2005) rievoca «[…] una vastissima fioritura di opere sacre altamente ispirate, che lasciano anche l’osservatore di oggi colmo di ammirazione. Restano in primo piano le grandi costruzioni del culto, in cui la funzionalità si sposa sempre all’estro, e quest’ultimo si lascia ispirare dal senso del bello e dall’intuizione del mistero. Ne nascono gli stili ben noti alla storia dell’arte».
Tuttavia, l’intuizione del mistero resta spesso al di fuori della soglia di tante chiese di recente costruzione che, senza una croce, sarebbero indistinguibili da altri edifici adibiti a uso profano. Entrandovi si attraversa una porta, più che varcare una soglia. Se il problema consistesse unicamente nel passaggio da uno stile all’altro, come più volte avvenuto nel corso dei secoli, il discorso si chiuderebbe qui. Eppure nella percezione comune la cesura tra una chiesa “moderna” e una barocca o romanica, è maggiore di quella esistente tra queste ultime due, pur tra loro diversissime. È avvenuto, dunque, un semplice cambio di stile o un cambio di spirito?
La chiesa non è un contenitore neutro per atti di culto, così come un’omelia non può essere affidata a chiunque: l’argomento sacro non basta a garantire l’edificazione dei fedeli, anzi potrebbe persino rivelarsi controproducente, a seconda dell’omileta. Nessun parroco di buon senso lascerebbe predicare al suo posto chi sostiene idee contrarie alla fede cristiana, pensando che ciò che conta è il tema religioso. Altrettanta cura sarebbe necessaria per quella “predicazione visiva” affidata all’edificio stesso, e lo stesso Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) si rivolge agli artisti affinché «[…] ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio Creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, all’edificazione, alla pietà e all’istruzione religiosa dei fedeli» (Costituzione sulla sacra liturgia Sacrosantum Concilium , del 4 dicembre 1963, n.127).
Lo storico austriaco dell’arte Hans Sedlmayr (1896-1984) aveva identificato «[…] la deificazione dello “spirito dei tempi” che, per molti uomini moderni, per molti artisti moderni, ha usurpato il posto che lo Spirito Santo occupa nella vita dei cristiani» (La rivoluzione dell’arte moderna. Memorandum sull’arte ecclesiastica cattolica, tr. it., Cantagalli, Siena 2006, p. 171). Di fatto, la tendenza ad attribuire «[…] un’importanza maggiore all’essere in sintonia con lo spirito dei tempi piuttosto che con quello Spirito che trascende tutti i tempi» (ibid., p. 175), ha generato un’edilizia di culto che smettendo di parlare il linguaggio di Dio, non riesce più a parlare al cuore dell’uomo.
San Benedetto da Norcia (480-547) e san Francesco d’Assisi (1181/1182-1226) non chiamarono architetti famosi, anzi, non sapevano neanche di regalarci tesori come Montecassino, il Sacro Speco di Subiaco o la basilica di Assisi. L’intera cultura europea è nata grazie a generazioni di monaci che non pretendevano di fare capolavori, anzi «[…] non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio» (Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al Collège des Bernardins, Parigi, 12-09-2008). Dall’essenziale, dal quaerere Deum, possono scaturire anche ai nostri giorni chiese belle e capaci di parlare nella lingua degli angeli, come l’abbazia di Sainte-Madeleine di Le Barroux, in Francia, il cui fondatore è, guarda caso, il monaco benedettino dom Gerard Calvet O.S.B. (1927-2008), il quale non ha fatto altro che mettere in pratica l’ammonimento evangelico: «Quaerite autem primum Regnum Dei et iustitiam eius, et haec omnia adiicientur vobis» (Mt 6,33), cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia e il resto – bellezza compresa – vi sarà dato in sovrappiù.