Di Piero Vietti da Tempi del 20/09/2022
Cento delegazioni da oltre cinquanta paesi del mondo la scorsa settimana si sono ritrovate ad Astana, capitale del Kazakistan, per il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. Tra di loro anche Papa Francesco, che ha lanciato un appello all’unità e alla pace. Negli stessi giorni, prima di incontrare a Samarcanda Vladimir Putin, il presidente cinese Xi Jinping è volato nella capitale, che proprio in questi giorni da Nur-Sultan è tornata a chiamarsi Astana, per esprimere sostegno al paese da parte di Pechino. Tempi ha parlato di questi temi e del ruolo che il paese asiatico si sta ritagliando nella Regione con l’ambasciatore italiano in Kazakistan, Marco Alberti.
Lei ha partecipato ai lavori del VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. Con quali prospettive e con quali obiettivi?
Intervenendo innanzi al Consiglio d’Europa il 27 aprile, il Presidente Mattarella fu molto chiaro: «La pace è frutto di collaborazione e dialogo tra i popoli». Cioè, va costruita. L’azione dei leader religiosi a favore del dialogo e dell’inclusione sociale si intreccia dunque con la spinta che molti governi, fra cui quello italiano, stanno imprimendo a favore della pace e di un nuovo modello di sviluppo, più inclusivo e sostenibile, all’indomani della pandemia. All’interno del Congresso, noi rappresentavamo Stati e governi, loro la coscienza religiosa dei popoli, o di gran parte di essi. L’autorità morale e l’azione trasversale delle religioni sono fattori essenziali per affrontare sfide globali complesse, avendo come obiettivo comune la centralità della persona. Questioni di sicurezza, obiettivi di sviluppo, riduzione delle ineguaglianze locali e globali, protezione dell’ambiente, delle risorse e del clima, richiedono un’azione corale e molta collaborazione. In tal senso, importante il richiamo del Congresso al multilateralismo. Quest’ultimo, però, da solo non basta. Per essere autentica, la ricerca del bene comune, dentro i paesi e nei rapporti fra loro, esige di superare la divisione individuo-società, e di considerare la dignità della persona come valore assoluto e non negoziabile. Vedremo se sarà possibile organizzare iniziative per dare seguito ai messaggi colti in questi giorni. Inoltreremo presto al governo kazako alcune proposte, sperando che vengano accolte.
Sappiamo che il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali è stato creato nel 2003 dall’allora presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev, e che oggi è arrivato alla settima edizione. Perché le autorità kazake hanno dato e danno fino ad oggi tanta importanza all’incontro dei leader religiosi di diversa appartenenza?
Come accennavo, il Congresso rappresenta una piattaforma privilegiata per affrontare, da un’angolatura particolare, questioni globali. Non è facile riunire 100 delegazioni da oltre 50 Paesi. Politici, diplomatici, esperti e leader di varie religioni che riflettono, discutono e si confrontano su pace, dialogo, fratellanza, partendo da posizioni anche molto diverse. Nell’attuale congiuntura geopolitica, segnata da guerra e perdurante instabilità, antiche e nuove divisioni, il Congresso ha acquisito un significato ancor più importante. In Kazakistan coesistono 140 etnie e oltre 18 confessioni. Dialogo e tolleranza religiosa sono alla base, o meglio all’origine, della convivenza civile di un Paese da sempre ostile al fondamentalismo. Il governo ha ribadito la volontà di essere punto di riferimento nella dinamica del dialogo, posta alla base delle riforme politico-istituzionali avviate dal Paese, ma anche del suo nuovo posizionamento internazionale. I richiami fatti dal Presidente Tokayev alla pace sono stati molti, in questi giorni ma anche nei mesi scorsi. La presenza di Papa Francesco, a 21 anni dalla visita di Giovanni Paolo II, organizzata subito dopo l’11 Settembre, ha arricchito il Congresso, e l’apprezzamento dell’ONU, giunto con un messaggio del Segretario Generale, lo ha confermato. Certamente un Congresso, da solo, non risolve i problemi del mondo. Le relazioni internazionali sono una sequenza di passi; questo mi è sembrato uno fatto in avanti.
La Farnesina ha da poco nominato un inviato speciale per la libertà religiosa e il dialogo interreligioso, Andrea Benzo. Perché è importante questa nomina?
Si tratta di un nuovo strumento voluto per estendere e rafforzare la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo, obiettivo prioritario indicato sia dal parlamento che dal governo. Quindi un segnale concreto rispetto ad un problema ineludibile e di rilevanza globale. Secondo il rapporto World Watch List 2022, curato dall’organizzazione Porte Aperte/Open Doors, ancora oggi nel mondo oltre 360 milioni di cristiani sperimentano persecuzione e discriminazione a causa della fede, cioè uno su sette. A queste, si aggiungono le persecuzioni inflitte ad esponenti di altre religioni. Purtroppo il fenomeno è in crescita. La nomina di un inviato speciale, proposta al governo dalla fondazione Aiuto alla Chiesa che Soffre, esprime il tangibile impegno dell’Italia affinché il diritto di professare liberamente la propria fede, affermato dall’articolo 19 della Costituzione, non sia riconosciuto solo a livello nazionale, ma venga promosso in ogni sede e contesto internazionale quale diritto inviolabile della persona.
Papa Francesco insiste molto sul Kazakistan come «paese d’incontro», «ponte fra l’Europa e l’Asia», «anello di congiunzione tra Oriente e Occidente». Quali carte da giocare ha veramente questo paese, che fa parte di organizzazioni multilaterali economiche e politico-militari ben precise?
Il Kazakistan è il principale attore di una Regione, l’Asia centrale, divenuta negli ultimi dieci mesi almeno dieci volte più rilevante di prima dal punto di vista geostrategico e geo-economico. A dire il vero, l’Asia Centrale non è diventata importante solo adesso, perché lo è sempre stata. Semmai, è tornata importante, cioè è stata riscoperta come area di cruciale rilevanza in virtù di numerosi fattori, sia geopolitici che economici. Vorrei ricordare che il Presidente cinese Xi Jinping scelse proprio Astana per lanciare la Via della Seta, nel 2013. La centralità geografica del Kazakistan rappresenta un fattore di grande rilevanza internazionale per il Paese. Da secoli, qui transitano genti e si incontrano culture; oggi passano (e passeranno sempre più) infrastrutture nevralgiche, articolate lungo le direttrici Oriente-Occidente e Nord-Sud. A ciò, si aggiunge l’immensa ricchezza di un territorio e di un sottosuolo pieni di risorse. Il Presidente Tokayev, ex diplomatico che in passato ha ricoperto posizioni di alto profilo in organizzazioni onusiane, sta rafforzando la tradizionale linea multi-vettoriale della politica estera kazaka, dandole un impulso proattivo, oltre che pragmatico. Nel pieno della crisi afghana del 2021, ad esempio, egli offrì la città di Almaty come base temporanea della Missione delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), consentendo di non interrompere la sua operatività, neppure nei momenti più critici. Oltre alla cooperazione con organismi regionali, da Lei citata, mi risulta che anche quelle con ONU, OSCE e NATO siano solide. Dal punto di vista economico, infine, ricordo che il primo investitore nel paese è l’UE, non altri. E il Kazakistan lo sa. Per questo, ha voluto e sottoscritto lo European Union-Kazakhstan Enhanced Partnership and Cooperation Agreement. Per questo riserva ai principali membri UE, fra cui l’Italia, grande attenzione, che ora spetta a noi tradurre in partnership strategica.
Quale la posizione dell’Italia nel Paese?
A 30 anni dal loro avvio, le relazioni diplomatiche sono eccellenti, sia a livello politico-istituzionale che economico-commerciale. Il dialogo bilaterale è solido e condividiamo numerose posizioni multilaterali. Nel 2019 l’Italia, primo paese UE, ha attivato un esercizio di coordinamento regionale, chiamato 1+5. Un’intuizione felice, alla quale dobbiamo dare contenuto operativo, sviluppando progetti congiunti in settori strategici. A livello economico-commerciale, nonostante il Covid-19, restiamo il 2° importatore di beni kazaki e l’8° fornitore, con l’obiettivo, ambizioso ma possibile, di riportare presto l’intercambio ai valori pre-pandemia. Al momento, operano 250 aziende a capitale italiano, di cui 170 joint-venture, nei settori energia, tradizionale e rinnovabile, petrolchimico e agro-alimentare. Siamo contenti, dunque, ma non soddisfatti. Italia e Kazakistan sono paesi complementari, con ampi margini di crescita ancora inesplorati. L’obiettivo è trasformare questo potenziale in opportunità per le nostre imprese. Siamo al lavoro. La via da seguire è la cooperazione aperta. Lo strumento, quello di una diplomazia innovativa, integrata, multi-stakeholder. Primo traguardo da raggiungere: l’apertura del nuovo Istituto Italiano di Cultura ad Almaty, unico in Asia centrale. Il soft power è un veicolo prezioso per rafforzare il posizionamento dell’Italia nella Regione.
Xi Jinping esce dalla Cina per la prima volta dopo oltre due anni, e prima di incontrare Putin fa una visita di stato in Kazakistan a cui esprime forte sostegno. L’ultima volta che il presidente cinese ha incontrato l’omologo russo i due hanno parlato di “amicizia senza limiti”. Come si pone il Kazakistan nei confronti di questa “amicizia”? Come e in quale direzione il nuovo incontro potrebbe approfondirla?
L’interesse strategico della Cina per questa Regione non è nuovo. Dalla caduta dell’URSS, Pechino ha adottato un approccio chiamato Zhōubiān zhèngcè, cioè di “politica periferica”, orientato a garantire stabilità, ma anche ad assicurarsi spazi di crescita economica. In un certo senso, quindi, la nuova Via della Seta non rappresenta un inizio, ma semmai l’esito di una strategia cinese sviluppata negli ultimi 30 anni. Il Kazakistan ha sempre risposto con il pragmatismo necessario a un paese che ha 1.800 chilometri di confine terrestre con la Cina, ma anche 6.800 con la Russia. Fino ad ora è riuscito a giocare bene il ruolo di “Paese hub”. Un cammino non facile: la recente modernizzazione avviata dal Presidente verso il nuovo Kazakhstan è complessa e dall’esito non scontato; inoltre, l’attuale congiuntura internazionale genera, per forza di cose, anche inevitabili ripercussioni interne. Con la sua visita, Xi Jinping ha trasmesso un segnale molto chiaro di “appoggio strategico” al Kazakistan, riaffermando al tempo stesso il ruolo cinese nella Regione. Un ruolo finalizzato alla propria espansione economica, ma, da ora in poi, più interessato anche alla stabilità e alla protezione dell’integrità territoriale dei singoli Paesi. Presto per dire se e come i fatti dei giorni scorsi influiranno sui rapporti bilaterali sino-russi. Tuttavia, è lecito pensare che la guerra in Ucraina determini un riassetto degli equilibri di potenza anche in Asia centrale, e che proprio dai fatti accaduti nei giorni scorsi in Kazakistan possano nascere cambiamenti in grado di andare oltre i confini della Regione. Ogni processo trasformativo offre opportunità. Se l’Europa considera effettivamente strategica quest’area, è il momento di dimostrarlo, rafforzando la propria presenza. Qui l’Italia è molto ben posizionata e può giocare senz’altro una partita importante.