Uno splendore spesso sottovalutato, ma che riflette la luce di Dio, come si vede nei mosaici della Cappella Palatina di Palermo
di Francesca Morselli
Lo studio dell’arte medievale viene normalmente sottovalutato sia nei programmi delle scuole superiori ed, escludendo i pochi corsi specialistici, anche in molte facoltà universitarie, dove si tende a percorrere velocemente il periodo che va dalla fine dell’impero Romano d’Occidente (476) all’inizio dell’Umanesimo (1400 c.a.). Una veloce carrellata sull’“età di mezzo” per poter arrivare e soffermarsi a lungo sul “Rinascimento” (termine coniato successivamente come forma polemica di distinzione fra ciò che era il prodotto di una civiltà profondamente religiosa e quanto realizzato in quella successiva, di carattere più laico e “umanistico”, cioè desacralizzato e individualistico). A partire, quindi, dalla fine dei “secoli bui” si assisterebbe ad una sedicente “rinascita” delle arti e delle lettere secondo un antropocentrismo di natura classica con riferimenti espliciti e teorizzati alle civiltà pagane precristiane. Ma l’arte del medioevo è davvero così buia e povera come spesso ci fa credere la vulgata ancora in voga sostenuta efficacemente da tante ricostruzioni cinematografiche?
Se vi capitasse di entrare nella basilica di San Vitale a Ravenna (425) o nella Cappella Palatina di Palermo (1140), per fare solo due arbitrari esempi fra le migliaia di testimonianze sublimi che popolano ogni angolo dell’Europa cristiana, potreste cambiare idea facilmente perché rimarreste folgorati dalla luce fisica, reale, non immaginaria, che le decorazioni a mosaico emanano, e ipnotizzati dalla loro bellezza ancestrale. Questi edifici, con tutti i loro apparati decorativi superstiti, come molti altri di questo periodo artistico (per passare dal Nord al Sud della nostra penisola, sono: la cattedrale di Cefalù, quella di Monreale, ma anche il Battistero di San Giovanni a Firenze così come la Basilica di San Marco a Venezia), che ci parlano della gloria di Dio, di una bellezza talmente abbacinante ed evidente che non può non colpirci al cuore, con il suo linguaggio soprannaturale, illuminando anche la mente con tutti i rimandi simbolici universali di cui è densa. Per fare questo bisogna, però, essere liberi da paraocchi e pregiudizi ideologici.
Per soffermarsi, ad esempio, al solo primo Medioevo ovvero al periodo romanico-bizantino, l’intento dei decoratori, con il complesso sistema iconografico che svilupparono lungo le pareti e nelle cupole di basiliche e cattedrali, era, attraverso la semplicità della narrazione iconografica, ma anche attraverso l’apoteosi dei colori e degli elementi simbolici, innalzare la coscienza del fedele ad un stato superiore di contemplazione, di estasi, catturando oltre al suo sguardo anche il suo cuore e la sua mente.
La complessa simbologia figurativa, semplice ad un tempo, ma profonda e sacra contemporaneamente, quindi accessibile a diverse capacità di lettura, verrà superata dal Rinascimento per lasciare spazio ad una rappresentazione più profana, attraverso il recupero e un nuovo sviluppo del naturalismo del realismo greco e romano.
Nell’ottica medievale l’allontanamento dal reale era stata una scelta dettata da una cultura filosofica, teologica ma anche “popolare” (per non dire universale, cioè appartenente al senso comune) ben precisa, che si poneva come obbiettivo quello di avvicinare l’uomo al mondo, al cui centro c’era Dio, e non viceversa.
Entrando nella Basilica di San Marco a Venezia, altro esempio, si riesce a cogliere la bellezza e la luminosità di quel mondo in modo del tutto evidente ed incontrovertibile in grado di stupire anche le persone più avverse o indifferenti. Anche questo capolavoro assoluto di tutti i tempi, frutto di proficue contaminazioni con l’arte bizantina e orientale, riflette magistralmente un mondo culturale, oltre che artistico, aperto agli influssi di altre culture e di altri mondi. Una caratteristica, questa, che in altre parti d’Italia subirà dinamiche ancora diverse e con altre influenze (normanna in Sicilia, ad esempio), cosi da rendere ogni edificio unico a seconda delle aree geografiche di appartenenza, pur conservando lo stesso orizzonte culturale, sapienziale e religioso che ha connotato l’Europa in quei magnifici e fondamentali secoli che vanno da 400 al 1400 circa.
Ancora, nella basilica di Venezia, il ciclo musivo si estende per oltre 8000 metri quadri di superficie, quasi completamente coperti da tasselli in oro zecchino, e crea un’apoteosi di luce e colore. I vetrai di Murano lavorarono incessantemente per anni per produrre milioni di tessere per compiere un’opera simile. Tutte le scene sono integrate da iscrizioni in latino con brani biblici, preghiere e invocazioni. E’ uno degli esempi più rigorosi di un’arte concepita unicamente per rappresentare il trascendente limitando il ricorso al dato naturale fino ad annientarlo. Solo Dio deve emergere come fattore di ordine primario, come origine di tutto: la luce accecante dei mosaici non è altro che la rappresentazione di Dio e della sua gloria. Le figure sono, infatti, prive di volume (il fondo oro annulla ogni effetto spaziale) e non agiscono in contesti che tengano conto della veridicità della storia, ma sono circondati da oggetti e architetture rappresentati senza prospettiva.
Questo è il messaggio che si palesa agli occhi e al cuore di una persona che provi ad accedere all’esperienza di una immersione visiva, in un luogo come quello qui descritto, che è stato concepito e realizzato per parlarci del nostro Creatore e del nostro destino finale. Chi accetta di farsi rapire con i sensi e la ragione, con il cuore e con la mente in questo universo di bellezza immortale, potrà forse più facilmente intuire il senso del richiamo di Dio scritto sul mosaico del testo tenuto tra le mani della rappresentazione di Dio: «Io sono la luce del mondo, chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
Sabato, 5 febbraio 2022