Una settimana di solidarietà e di informazione promossa a Milano, dal 24 febbraio al 3 marzo, dal Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi.
Per risvegliare l’attenzione della pubblica opinione
«L’Occidente non diventi complice del genocidio dei cristiani libanesi»
«Il lungo calvario del Libano continua. Non per caso, non per una pura coincidenza, ma a causa dell’odio contro Dio e contro la civiltà cristiana presenti nella mente e nel cuore di alcuni uomini.
«I cattolici del Libano sono oggi le vittime esemplari di questo odio. Ma non solo per questo noi ci troviamo questa sera per ricordarli al Signore.
«Essi non hanno accettato la ingiustizia e si sono rivoltati contro la empietà. Hanno capito che quel piccolo lembo di Cristianità in Oriente – che intere generazioni avevano costruito – non appartiene a loro, ma a Dio, alla loro tradizione e alla loro cultura. Perciò hanno combattuto e continuano a lottare, per potere testimoniare, anche pubblicamente, la fede cristiana in un mondo che non vuole accettarla.
«L’esempio dei cattolici libanesi non poteva essere lasciato cadere; noi lo abbiamo raccolto, e con questo spirito di ammirazione e di solidarietà iniziamo questa settimana di sostegno alla libertà del popolo libanese e, in particolare, delle comunità cristiane, con la santa messa in rito maronita celebrata da padre Elie Madi, missionario libanese maronita, e con la omelia di mons. Enrico Galbiati, che tutti ormai conosciamo per l’amore più volte dimostrato per la causa dei cristiani libanesi».
Con queste parole pronunciate da uno dei promotori del Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi hanno avuto inizio gli incontri di una settimana per i cristiani della terra dei cedri, che si è svolta a Milano dal 24 febbraio al 3 marzo 1984. Esse riassumono gli obiettivi che gli organizzatori si sono proposti nel promuoverla, obiettivi già significativamente enunciati nel titolo complessivo, L’Occidente non diventi complice del genocidio dei cristiani libanesi, con il quale si dava notizia del programma delle attività previste.
La cronaca della settimana
In modo conforme alle finalità di informazione religiosa, culturale, politica e di documentazione che hanno spinto il Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi a iniziare la sua attività pubblica nel 1977, la settimana per i cristiani libanesi è iniziata con una suggestiva santa messa in rito maronita e si è conclusa con un concerto musicale che ha voluto ripercorrere la storia dell’Europa «tra Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», terminando simbolicamente con tre composizioni espressamente dedicate ai combattenti e al popolo cristiano del Libano e alla memoria del suo presidente-martire, Bashir Gemayel.
Tra queste due manifestazioni è stata presentata una mostra fotografica su Il Libano nella tragedia: dall’inizio della guerra al massacro nello Chouf, che ha sinteticamente ripercorso la storia della comunità maronita da san Marone ai nostri giorni, drammaticamente contrassegnati dal genocidio contro i cristiani, perpetrato appunto dai socialisti drusi nei distretti dello Chouf, di Aley e di Baadba. Inoltre – ed era l’appuntamento forse più atteso -, venerdì 2 marzo si è svolta la conferenza del dr. Camille Tawil, uno dei responsabili in Europa delle Forze Libanesi, il raggruppamento delle milizie dei principali partiti e movimenti cristiani, fondato nel 1976 da Bashir Gemayel e attualmente guidato dall’ing. Fadi Frem. Questa conferenza – svoltasi alla presenza di oltre trecento persone, attente e partecipi, come hanno dimostrato le numerose e puntuali domande rivolte all’oratore dopo la sua esposizione – ha mostrato che gli sforzi propagandistici del Comitato per la Libertà dei Cristiani Libanesi, dal 1977 a oggi, hanno favorito il costituirsi di un pubblico straordinariamente coinvolto nella tragedia libanese, e quindi desideroso di conoscere anche i dettagli di una vicenda terribilmente complessa. Un pubblico di parte, potrebbe dire qualcuno: sì, un pubblico certamente schierato con le ragioni ideali e politiche dei cristiani libanesi; un pubblico profondamente amareggiato dalla valanga di menzogne che la stampa italiana ha spesso riversato su di loro e in particolare sui combattenti; un pubblico, comunque, molto esigente sia sul piano culturale che su quello della comprensione degli attuali avvenimenti politici; un pubblico, infine, dotato della non comune qualità di lasciarsi commuovere dalle sofferenze di un popolo pure lontano come quello libanese, le cui vicende hanno, però, già suggerito composizioni musicali, studi storici, tesi di laurea e poesie, come gli organizzatori sono venuti a sapere nel corso di questa settimana.
La stampa e la questione libanese
Ogni sforzo propagandistico appare sempre sproporzionato se confrontato con le condizioni di vita e le prospettive future dei cristiani libanesi. Ma se si tiene presente la enorme importanza che hanno i mezzi di informazione nella costruzione della opinione pubblica, allora si capisce immediatamente come i cristiani del Libano abbiano anzitutto la necessità che siano propagandate e diffuse le loro ragioni ideali e politiche. Ma questa propaganda e questa diffusione dovrebbero incontrare, presso la stampa italiana, una sensibilità che ancora non esiste.
Alla stampa progressista come a quella nota come conservatrice la sorte dei cristiani libanesi sembra interessare assai poco, anche dal punto di vista professionale; una conferenza di attualità con centinaia di persone; una mostra con fotografie assolutamente inedite nel nostro paese; una conferenza-stampa con uno dei responsabili in Europa delle Forze Libanesi non sono sembrati avvenimenti meritevoli di essere seguiti da parte di alcuni fra i più diffusi quotidiani italiani (1).
In questo senso, appare sorprendente che un quotidiano come il Giornale – che attraverso il suo inviato in Libano, Lucio Lami, ha indubbiamente contribuito a ricordare alla opinione pubblica occidentale i legittimi diritti dei cristiani libanesi – non abbia ritenuto opportuno seguire, almeno parzialmente, la settimana per i cristiani libanesi. E se qualcuno ritenesse questa pretesa eccessiva e sproporzionata rispetto alla importanza della iniziativa, non ha che da osservare lo spazio riservato ad altri avvenimenti, non dico meno importanti ma almeno altrettanto gravi e attuali quanto quello in questione.
Il mondo cattolico e la solidarietà con i cristiani libanesi
Più complesso è il discorso relativamente alla stampa cattolica e al mondo cattolico in generale. Il quotidiano Avvenire ha senz’altro fatto pervenire ai cattolici italiani e, in genere, ai suoi lettori numerosi appelli di cristiani libanesi testimoni della sofferenza del loro popolo (2) ma non si può sicuramente dire che la Chiesa italiana nella sua globalità e attraverso la voce dei suoi pastori – fatte salve le meritevoli eccezioni – si sia effettivamente mobilitata, con la preghiera e con i mezzi propagandistici di cui dispone, per sostenere la libertà e i diritti del popolo cattolico libanese (3).
Sorgono poi, a questo proposito, alcune legittime domande. Molti interventi a favore dei cristiani libanesi sono stati effettuati soltanto dopo il massacro di 1.220 cristiani, avvenuto in settembre, nei distretti dello Chouf, di Aley e di Baadba: è necessario che si verifichi un genocidio per «scoprire» i diritti di un popolo cattolico? Perché «dimenticarsi» per nove anni di una lunga e difficile battaglia, che i cristiani libanesi hanno combattuto nell’isolamento morale più completo, abbandonati o calunniati anche da chi ufficialmente professa la stessa fede e invoca la stessa libertà?
I combattenti cristiani sono stati ingiustamente equiparati ai nemici della Cristianità libanese per nove anni: è difficile capire come oggi si possa piangere sulla sorte di un popolo che rischia di scomparire, se ieri non si è voluto difendere chi combatteva per proteggerlo (4).
Ancora oggi i cristiani libanesi chiedono il nostro aiuto, e anzitutto quello spirituale: «Chiediamo, in particolare al mondo cattolico, un aiuto morale, una preghiera. Se la Conferenza episcopale italiana ad esempio invitasse tutte le parrocchie d’Italia a sollecitare una preghiera una domenica per i cristiani massacrati del Libano, per la salvaguardia della presenza cristiana nella libertà in Libano, sarebbe un aiuto di enorme importanza per noi» (5).
Abbandonato dalla Forza Multinazionale, cioè dall’Occidente «politico» – che ha ceduto alle pressioni del terrorismo e del comunismo internazionali -, il Libano ha ancora di più la necessità dell’aiuto dell’Occidente «religioso». La settimana per i cristiani libanesi è stata organizzata, soprattutto, per cominciare a rispondere a questa necessita, perché la speranza dei libanesi di non essere lasciati soli diventi realtà.
Note:
(1) Hanno invece seguito la settimana, a essa dedicando servizi, i quotidiani Avvenire, 25-2-1984 e 4-3-1984; La Notte, 3-3-1984; e Il Tempo, 4-3-1984.
(2) Cfr., soprattutto, le testimonianze raccolte e i servizi dell’inviato in Libano Guido Nicosia, dopo i massacri dei cristiani nello Chouf del settembre dello scorso anno. Cfr., poi, MAURIZIO CAVERZAN, Il martirio dei cristiani nell’inferno libanese, in Avvenire, 8-2-1984, con la splendida testimonianza di una ragazza libanese che ha vissuto il genocidio nello Chouf e l’assedio a Deir-el-Kamar, di cui voglio riportare alcuni passi estremamente edificanti: «I drusi avevano bruciato e saccheggiato il villaggio e fra poco sarebbe venuta anche la nostra ora. Doveva essere cancellata ogni presenza, ogni segno cristiano. Bombardavano chiese e conventi, distruggevano ogni cosa che richiamasse anche lontanamente il cristianesimo. Noi vedevamo con chiarezza la coscienza del martirio, il segno della croce di Cristo. È stata questa consapevolezza a sorreggerci, a permetterci di riorganizzare la vita una volta andata delusa la speranza di un aiuto da parte dei Paesi occidentali che si erano mossi così tempestivamente per Sabra e Chatila.
«[…]
«Ogni giorno assistevamo alla Messa. In quel momento abbiamo avuto chiara la consapevolezza che la cosa più cara, da difendere ad ogni costo, era la fede ereditata dai nostri padri e dalla nostra storia cristiana».
Cfr. anche PIETRO RADIUS, Un drammatico appello «Chi salverà i cristiani?», intervista a p. Elie Madi, in Avvenire, 25-2-1984; e MAURO VANZINI, II Libano cristiano non si arrenderà, intervista a Camille Tawil, in Avvenire, 4-3-1984.
(3) Vi è stato, peraltro, un appello di dieci vescovi europei rivolto ai cristiani di Europa per «manifestare la loro solidarietà» verso i cristiani libanesi (cfr. Avvenire, 25-1-1984), ma non si può certo affermare che abbia prodotto un riflesso di solidarietà reale e soddisfacente, almeno nella Chiesa italiana, come d’altra parte si è verificato per altre circostanze forse meno drammatiche.
(4) Mariuccia Chiantaretto – corrispondente da Beirut di Avvenire, e che con i suoi servizi sembra sostanzialmente contraddire le testimonianze cristiane che appaiono sul quotidiano – è arrivata a scrivere, a proposito dei massacri nello Chouf, che «migliaia di cristiani innocenti hanno pagato con la vita la politica del partito falangista» (Avvenire, 17-2-1984), dove emerge il tentativo, malizioso ma insieme maldestro, di dividere e contrapporre la popolazione cristiana ai combattenti che essa esprime e che la difendono. Non sarebbe meglio, prima di sostenere «tesi» simili, chiedersi quale sarebbe stata la fine delle comunità cristiane libanesi se negli ultimi nove anni qualcuno non si fosse incaricato di difenderle? Oppure, secondo una versione «pacifistica» della dottrina cattolica sulla guerra, sarebbe più giusto imporre il martirio a un popolo che si ha il dovere di difendere, pur di non impugnare le armi?
(5) Avvenire, 4-3-1984, intervista cit.