Un’opera di apologetica rivolta ai non cristiani, che presenta il cristianesimo come una visione del mondo poggiata su fondamenti razionali
di Leonardo Gallotta
Chi era Minucio Felice? Di lui conosciamo anche il praenomen che si ricava dal testo dell’Octavius, ossia Marco. Tuttavia il luogo e la data di nascita ci sono ignoti. La maggior parte dei critici pensa che sia da ritenersi africano “sia perché il nome ‘Minucius’ e il cognome ‘Felix’ non sono infrequenti nelle iscrizioni africane, sia perché cinque epigrafi di un arco di trionfo innalzato a Cirta nel 217 d.C. recano il nome di Cecilio Natale e tale nome appartiene anche a uno degli interlocutori dell’Octavius, sia perché nel dialogo Frontone è citato – ma da Cecilio che appare indiscutibilmente africano – con l’espressione ‘Cirtensis noster’. Per giunta all’inizio del dialogo il protagonista Ottavio, che l’autore ci presenta come suo intimo amico, profondamente legato a lui sia nella servitù all’errore sia nella conversione alla vera fede, appare giunto a Roma da casa sua dopo un viaggio per mare; e si pensa perciò che sia africano anche lui e che quindi i tre interlocutori del dialogo, Ottavio, Minucio e Cecilio appartengano tutti alla medesima provincia” (Ettore Paratore).
Da San Girolamo sappiamo che Minucio visse la maggior parte della sua vita a Roma dove esercitò la professione di avvocato. Sia detto per inciso che Frontone, vissuto nella seconda metà del II secolo, fu maestro di retorica alla corte degli Antonini ed educatore dei due figli adottivi di Antonino Pio, Marco Aurelio e Lucio Vero. Di lui possediamo un Epistolario e diverse opere minori, ma le orazioni per cui Frontone godette grande fama non ci sono pervenute. Da Minucio Felice sappiamo che ne pronunciò anche una contro i cristiani. Forse il discorso anticristiano di Cecilio nell’Octavius riproduce le stesse argomentazioni dell’orazione di Frontone.
Non conosciamo l’anno di composizione dell’Octavius dal momento che molte delle argomentazioni dell’opera si trovano anche nell’Apologeticum di Tertulliano, pubblicato nel 197 d.C., da cui la questione a tutt’oggi irrisolta sulla priorità dell’Octavius rispetto all’Apologeticum. Tuttavia Ettore Paratore, dopo aver ripreso San Cipriano e Lattanzio conclude che “essendo tradizionale la forma del dialogo nella letteratura latina, per argomenti di carattere speculativo, ciò può contribuire a fare intendere come Minucio abbia inaugurato l’apologetica latina con un dialogo, mentre, se già ci fossero state le due opere tertullianee che hanno forma di orazione, meno si comprenderebbe un ritorno alla forma del dialogo; se, dico, aggiungiamo questi altri dati e queste altre riflessioni, possiamo concludere che l’ipotesi della priorità dell’Octavius rispetto all’Ad nationes e all’Apologeticum ha una certa possibilità di cogliere nel segno”.
Veniamo ora al contenuto dell’opera. L’Octavius prende il nome da uno dei tre protagonisti del dialogo, è cristiano e si confronta con il pagano Cecilio, mentre Minucio ha funzione arbitrale. Il dialogo è preceduto da un preludio in cui si narra che una mattina d’autunno i tre amici passeggiavano sul litorale laziale e Cecilio, vista una statua del dio Serapide, manda un bacio al dio. Ottavio, che è cristiano, mostra di non gradire questo ossequio. Cecilio rimane per un po’ pensieroso e infine decidono di chiarirsi.
Cecilio inizia deridendo la fede cristiana in una provvidenza che regola il mondo e afferma che, vista l’incertezza degli stessi filosofi sull’esistenza degli dei, conviene seguire i culti tradizionali nei confronti di quelle divinità che tanta potenza hanno portato a Roma. A Cecilio fa poi meraviglia la fede in un Dio che non fa nulla per alleviare le sofferenze sopportate per amore di una vita futura e privandosi così dei piaceri di questa vita. Infine accusa i cristiani di abbandonarsi ad ogni turpitudine nei loro nascondigli lontani da occhi indiscreti.
Quali precisamente le accuse? 1) I cristiani si chiamano fra loro “fratelli” e “sorelle”, così che gli amori illeciti, consueti fra loro, si trasformano addirittura in incesti. 2) Si dice che i cristiani venerano la testa consacrata di un asino. 3) Il loro culto è incentrato su un uomo condannato alla morte in croce, quindi un delinquente. 4) I novizi devono infliggere colpi a un bimbo innocente fino a farlo morire. Ne lacerano poi le carni e ne bevono avidamente il sangue. 5) Si riuniscono a banchetto con tutti i figli, sorelle, madri e gentaglia di ogni sesso e poi, dopo il banchetto, si danno a turpi orge. È chiaro che Minucio, riferendo queste dicerie messe in bocca a Cecilio, vuole soprattutto sottolineare il pregiudizio sulla antropofagìa dei cristiani (la carne e il sangue in realtà simboleggiati da pane e vino), sull’incesto (tra loro si chiamano “fratelli” e “sorelle”), sulle orge notturne (si ritrovano insieme sia la tramonto che all’alba per pregare). Quanto alla testa d’asino, il riferimento può essere messo in parallelo con il famoso graffito del Palatino, disegno ironico di un paggio imperiale contro un paggio cristiano che adora un asino crocifisso, irrisione a Cristo crocifisso, come un dio asino perché sconfitto.
Ottavio replica affermando che il mondo non è un agglomerato di particelle riunite a caso, ma creato da un Dio unico, come anche i grandi filosofi hanno riconosciuto. Che gli dei romani tradizionali abbiano poi fatto crescere la potenza di Roma, non è per nulla vero. Essa infatti è dovuta, grazie alla forza militare, alla conquista prima e allo sfruttamento poi dei popoli soggiogati.
All’accusa di amare la povertà, risponde Ottavio dicendo che l’esser poveri torna loro non ad infamia, ma a gloria, anche perché essi non hanno bisogno di altro perché possiedono Dio, al quale non chiedono ricchezze, ma solo “integrità e pazienza”, quella pazienza che è necessaria per sopportare le inevitabili sofferenze della vita. Quanto alle turpitudini citate da Cecilio, nulla c’è di vero. Nelle loro assemblee i cristiani offrono a Dio “bontà d’animo, purezza di mente, sincerità di pensiero”. Alla fine del dialogo Cecilio dichiara di essere stato convinto dalle argomentazioni di Ottavio.
L’opera apologetica di Minucio è stata definita atipica perché non sono mai nominati Cristo e le Scritture. Occorre però riconoscere che Minucio Felice non ha l’intenzione di rivolgersi a cristiani dubbiosi, ma a pagani ostili che hanno un’idea errata del cristianesimo. Il Cristianesimo è così presentato come visione del mondo poggiante su un fondamento razionale.
Per ciò che riguarda i modelli letterari, possiamo dire che, a parte un dialogo del tutto simile nelle Noctes Atticae di Gellio, dal punto di vista della struttura dialogica e dello stile il grande modello è sicuramente Cicerone. Se poi pensiamo ai contenuti di filosofia morale il modello è invece Seneca. Tipico il concetto della vita come palestra di virtù o l’immagine del perseguitato “che fra le torture irride e disprezza la paura del carnefice o la teoria secondo cui il saggio stoico può sembrare infelice, ma non lo è. Sono tutti motivi che ritroviamo nel De providentia del filosofo latino” (Giuseppe Casillo).
L’Octavius vuole dunque convincere un ceto romano colto, ma scettico e diffidente. Vuol dimostrare che il Cristianesimo, col suo monoteismo e la sua concezione provvidenziale, con l’esaltazione della parsimonia, della semplicità e dell’integrità dei suoi aderenti non è altro che il punto di arrivo della cultura, del pensiero e dei costumi romani.
Sabato, 30 luglio 2022