di Marco Invernizzi
L’editoriale sul Corriere della Sera del 6 luglio di Paolo Mieli cerca di mettere a fuoco che cosa sta accadendo nella sinistra italiana dilaniata non da oggi da lotte fratricide. Usa la parola “odio” per descrivere il clima che vi si respira.
A studiare serenamente la storia della sinistra (che poi coincide in gran parte con la storia della Rivoluzione) questa constatazione non dovrebbe stupire. La storia della sinistra è la storia dell’odio contro una società che doveva essere distrutta completamente, con la violenza o con la politica. Essa comincia nel 1789 in Francia e conquista la Russia cento anni fa, nel 1917, per poi tentare la conquista del mondo, che però fallisce, nel 1989, con il crollo del Muro di Berlino. Su questa storia ha scritto pagine molto profonde Francois Furet nel suo Il passato di un’illusione. L’idea comunista nel XX secolo.
Da allora la sinistra, convertitasi al relativismo, non ha più società da abbattere, ma uomini da corrompere. È la Rivoluzione in interiore homine che odia la famiglia e la vita, che uccide i concepiti e gli anziani perché inutili, che davanti alla malattia del piccolo Charlie non si impegna alla cura, ma sceglie la via della morte con cui crede di eliminare il problema.
Ma questo odio dilania la sinistra anche al suo interno. Niente di più logico, perché se l’odio è il suo motore non si può mai fermare e se non ha più società da abbattere deve trovare altri ambiti su cui riversarsi. E allora il compagno odia il compagno, soprattutto quando non ne ha più bisogno o diventa un concorrente nel raggiungimento dell’unica cosa che rimane: il potere.
È una brutta malattia l’odio perché rovina la vita, ma non attecchisce soltanto a sinistra.
Bisogna chiedere la grazia di esserne preservati ed esercitare l‘agere contra, come insegna s. Ignazio. Essa può penetrare anche in chi non è di sinistra e addirittura in chi la combatte, come è spesso accaduto nella storia, in chi si lascia trascinare dall’odio contro il male, che c’è ed è tanto, fino a mettere in secondo piano l’amore per il bene e la verità.
Soprattutto oggi, nell’epoca post-ideologica, è più che mai necessario questo atteggiamento di rifiuto dell’odio. Esso permette di rivolgersi a tutti gli uomini, anche a quelli che a diverso titolo sono le vittime della cultura del relativismo, senza preclusioni ideologiche, senza indurli ad alzare muri di incomprensione. Presuppone un atteggiamento “missionario”, capace di chinarsi su chi soffre, anche se spesso ne ha una certa colpa, e contemporaneamente presuppone una grande attenzione per mettere in guardia dalle seduzioni del male, che continuano a circolare.