Michele Vietti, Cristianità n. 129-130 (1986)
Il pessimo – e tragicamente prevedibile – iter della regolamentazione dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana, caratterizzato dalla aggressività dei «laici» di tutte le osservanze e dall’arrendismo pressoché generalizzato dei rappresentanti ufficiali del mondo cattolico, deve indurre a prepararsi al peggio amministrativo e a organizzare la difesa accanita di ogni spazio di libertà sopravvivente.
Al pettine un nodo neoconcordatario
L’«ora di religione»: l’Intesa della discordia
1. Dalla seconda metà di dicembre del 1985 la cronaca politica è stata ampiamente caratterizzata dalle roventi polemiche scatenate da esponenti dei partiti e della cultura sedicenti «laici», e aventi come obiettivo accidentale il ministro della Pubblica Istruzione, sen. Franca Falcucci, e come obiettivo sostanziale l’insegnamento della religione cattolica nella scuola italiana.
2. Prima di tentare un giudizio a proposito di tali polemiche pare opportuno riassumere brevemente i fatti che le hanno occasionate e di cui anch’esse sono parte.
L’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana, stipulato il 18 febbraio 1984 e contenente le modifiche al Concordato Lateranense, all’articolo 9 – soppresso il richiamo all’insegnamento religioso quale «fondamento e coronamento» dell’istruzione – mantiene tuttavia, da parte dello Stato, il riconoscimento del valore della cultura religiosa e dei principi del cattolicesimo come parti integranti del patrimonio storico del popolo italiano e assicura l’insegnamento della religione cattolica come materia ordinaria nelle scuole pubbliche, garantendo a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento stesso.
Il Protocollo Addizionale all’Accordo, al n. 5, demanda a una successiva Intesa tra le autorità scolastiche e la Conferenza Episcopale Italiana il compito di determinare i programmi dell’insegnamento della religione cattolica, nonché le modalità di organizzazione di tale insegnamento, i criteri per la scelta dei libri di testo e i profili della qualificazione professionale degli insegnanti.
In ottemperanza a tale previsione, il ministro della Pubblica Istruzione – autorizzato dal Consiglio dei Ministri con delibera del 14 dicembre 1985 – e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Ugo Poletti, addivengono lo stesso 14 dicembre a una Intesa che determina i contenuti specifici delle materie contemplate dal Protocollo Addizionale.
Quanto ai programmi dell’insegnamento della religione cattolica, l’Intesa prevede che siano adottati previo accordo con la stessa Conferenza Episcopale Italiana, che ha competenza esclusiva a giudicarne la conformità con la dottrina della Chiesa.
Quanto alla organizzazione di tale insegnamento, l’Intesa precisa che la scelta di avvalersene o meno non deve creare discriminazioni; stabilisce la durata di questa scelta e prevede una tempestiva informazione da parte del ministero sul punto; attribuisce poi all’autorità ecclesiastica il giudizio di idoneità sugli insegnanti di religione. Nelle scuole secondarie le ore da impegnare nell’insegnamento della religione rimangono quelle attuali, collocate dal capo dell’istituto – su proposta del collegio dei docenti – secondo un criterio di «equilibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e nella settimana». Nelle scuole elementari e in quelle materne sono destinate all’insegnamento della religione due ore settimanali.
Quanto ai libri di testo, devono essere muniti del nulla osta della Conferenza Episcopale Italiana e dell’ordinario diocesano.
Infine, quanto ai profili di qualificazione degli insegnanti, l’intesa stabilisce i titoli per accedere all’insegnamento.
Qualche giorno dopo la firma dell’Intesa, il ministro della Pubblica Istruzione emana una circolare applicativa della stessa per la struttura scolastica italiana.
3. Appena siglata l’Intesa che ho descritta nelle sue grandi linee e nella sua derivazione dall’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana e dal Protocollo Addizionale a tale Accordo, si scatena un’autentica bagarre: l’on. Franco Bassanini, indipendente di sinistra e sedicente «cattolico» (1), presenta in parlamento una mozione di censura dell’operato del ministro sen. Franca Falcucci sottoscritta da centodieci deputati (2); da parte loro anche i partiti «laici» presentano autonome mozioni di censura (3); duemila «intellettuali» rendono pubblico un appello che invita a respingere l’Intesa; ebrei e protestanti … protestano attraverso i giornali; i comunisti accentuano la loro posizione critica (4), mentre i mass media danno fiato alle trombe del più vieto anticlericalismo che mostra, dietro le trite argomentazioni del liberalismo massonico (5), la sua reale natura non superficialmente anticlericale, ma sostanzialmente anticattolica.
Non pare, però, che si possa parlare a giusto titolo – come qualcuno ha fatto – di «guerra di religione», dal momento che la guerra presuppone due parti in lotta, mentre nella vicenda in questione al furore e alla aggressività degli uni ha fatto riscontro – salvo lodevoli eccezioni – soltanto la latitanza degli altri (6).
Per salvare il governo la maggioranza pone la questione di fiducia, ma la circolare della sen. Franca Falcucci, contenente le disposizioni per la concreta attuazione dell’Intesa, viene modificata, in punti qualificanti (7), con una procedura non soltanto scorretta verso la controparte pattizia ma anche giuridicamente aberrante.
4. Il giudizio sulla vicenda non può prescindere da quello sull’Accordo di revisione del Concordato Lateranense. Tale Accordo, infatti, segna l’abbandono della linea della «conciliazione» tra lo Stato italiano e la Chiesa e la scelta della linea della loro separazione (8), in una prospettiva presto verificata: cadono quasi tutti gli istituti grazie ai quali il processo di separazione era stato arrestato nel 1929, sostituiti da fumose dichiarazioni di collaborazione. Fra i residui elementi di conciliazione vi è certamente – sia pure con una previa affermazione di immanentismo da parte della Repubblica e con una parificazione tra chi vuole avvalersi dell’insegnamento religioso e chi non intende fruirne – la garanzia che lo Stato fornirà tale insegnamento nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado.
Si tratta di un indubbio riconoscimento, minimale ma reale, di una sfera di libertà per la Chiesa e per la proiezione sociale della sua missione.
5. Era quindi assolutamente legittimo che la Chiesa occupasse questo spazio, coerentemente con le norme che a essa lo consentivano, ed era doveroso che lo Stato, coerentemente con gli impegni assunti, non soltanto lo tollerasse, ma lo garantisse adeguatamente.
Così il rimando dell’Accordo al Protocollo Addizionale e di questo all’intesa fondano la piena legittimità di quest’ultima, e quindi della circolare applicativa.
La vera ragione dell’irosa reazione provocata dall’Intesa e poi dalla circolare di attuazione non sta nel fatto che quella violi in qualche modo il cosiddetto nuovo Concordato, ma nella natura di residuo di Cristianità – cioè di autentica collaborazione tra lo Stato di una nazione sostanzialmente cattolica e la Chiesa – rappresentato dall’insegnamento religioso nella scuola pubblica.
Infatti, la ragione dello «scandalo» denunciato dai laicisti si è rivelata essere non il modo in cui si è data attuazione al principio di impartire l’insegnamento della religione cattolica, ma il fatto che si sia data semplicemente corretta attuazione a tale principio.
Come ha autorevolmente ricordato il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II non si può comprendere la vita e la storia di un popolo senza fare riferimento alla sua cultura religiosa, e questo dato di fondo vale in modo assolutamente particolare nel caso dell’Italia, dove il cattolicesimo ha profonde radici sociali; dove l’arte, la letteratura, la poesia, la musica, il diritto, le tradizioni popolari, sono permeati dai principi del Vangelo; dove storia civile e storia religiosa si fondono nell’unica autentica storia nazionale (9).
E il fronte «laico» si è appunto coagulato contro la possibilità che l’insegnamento della religione cattolica ne perpetui il radicamento nella storia e nella vita della nazione, come sempre invocando – contro tale paventata eventualità – una Chiesa più «pura», cioè più disincarnata; meno «compromessa», cioè meno presente; senza privilegi, cioè senza possibilità di azione concreta e nella completa dimenticanza del suo contributo alla cultura della nazione, sostanzialmente cattolica.
Le forze anticristiane sono perfettamente consapevoli del fatto che la religione non si combatte solamente con la persecuzione fisica, ma forse più efficacemente estirpandone le radici sociali, cioè il suo radicamento nelle famiglie, nelle scuole, negli enti assistenziali, nelle istituzioni pubbliche e private: «[…] dovete allora esigere la separazione completa della Chiesa dallo Stato e della scuola dalla Chiesa, dovete esigere che la religione sia dichiarata un affare assolutamente e esclusivamente privato», ammoniva Vladimir I. Lenin dettando le regole per la distruzione della religione (10). In questa prospettiva – tragicamente verificata e verificabile – i cattolici dovrebbero essere edotti su dove vuole andare a parare chi invoca il «non consunto principio cavouriano: libera Chiesa in libero Stato» (11).
6. La morale che si può trarre dalla vicenda – così come si è svolta e così come pare infelicemente avviarsi a conclusione – mi sembra triplice.
In primo luogo, vale osservare che la via che porta alla completa separazione tra Stato e Chiesa è una via in discesa e, quando se ne sia accettato il principio, il processo di divaricazione tra le due realtà – a diverso titolo così importanti per la vita dell’uomo – tende inesorabilmente ad accentuarsi, oltre tentativi illusori di «uomini di buona volontà».
In secondo luogo, poi, non è più concessa appunto nessuna illusione a proposito della sensibilità dei rappresentanti politici «ufficiali» e storici del mondo cattolico: finalmente voci si levano da questo mondo a rilevare che «la DC ha finora mostrato una fragilità ideale che desta una grave inquietudine e fa pensare che ormai il rapporto con la sorgente che l’ha motivata – il vivo popolo cattolico – sia invecchiato al punto di non essere più affidabile nemmeno nelle grandi questioni» (12).
In terzo luogo, infine, avendo di mira – quando e come possibile – la restaurazione di un regime di autentica collaborazione fra Stato e Chiesa – coerentemente con la sostanziale cattolicità della nazione italiana -, hic et nunc vanno fermamente difesi gli spazi operativi che la vigente normativa riconosce, occupandoli senza remore e senza complessi.
Michele Vietti
Note:
(1) Una sua dichiarazione suona così: «[…] io sono cattolico, ero presidente della Fuci, i miei compagni di strada di sempre sono cattolici: Maritain e Mounier sono i miei testi base» (L’Espresso, Anno XXXII, n. 3, 26-1-1986, p. 15).
(2) Trentasette di questi firmatari sono comunisti, ventisette socialisti, due liberali (cfr. ibid., anno XXXI, n. 52, 29-12-1985, p. 23).
(3) Le mozioni vanamente critiche contro il ministro sen. Franca Falcucci diventeranno alla fine nove.
(4) Secondo Panorama «sussurrano a Botteghe Oscure [che] dei termini dell’Intesa della discordia il Pci non era poi così disinformato. Il vaticanologo Carlo Cardia e il senatore Paolo Bufalini ne conoscevano da tempo i contenuti e non avevano mai avanzato obiezioni di sostanza» (anno XXIV, n. 1032, 26-1-1986, p. 42).
(5) Cfr., fra i tanti esempi, l’articolo di Alessandro Galante Garrone, «contro i roghi, contro le condanne del Santo Uffizio, e via via fino ai vincoli matrimoniali ormai spenti, ridotti a vuoti simulacri (e di qui la moralità del divorzio)» (Lettera aperta al cardinal Poletti, in L’Espresso, anno XXXII, n. 3. cit., p. 17).
(6) «La tendenza al ribasso, bisogna ammetterlo, è partita proprio da autorevoli voci cattoliche. Monsignor Nicora, l’autorevole vescovo che ha condotto la trattativa per la Cei, si è mostrato in un’intervista al Corriere su questa linea» (Il Sabato, anno IX, n. 4, 25/31-1-1986, p. 11). L’on. Virginio Rognoni, capogruppo dei deputati democristiani alla camera, ha dichiarato: «Non solo si è evitata la traumatica rottura, ma il compromesso non modifica la circolare Falcucci, anzi il documento configura un passo avanti [sic]» (ibid., p. 10).
(7) «[…] non frazionamento dell’ora di religione nelle materne, sua collocazione nelle elementari in coda o all’inizio delle votazioni fuori pagella, rinvio dei termini per la scelta, abbassamento ai 14 anni della potestà per l’alunno di scegliere da sé (ibid., p. 11).
(8) Cfr. MAURO RONCO, Concordato: una revisione nella linea della separazione, in Cristianità, anno XII, n. 107-108, marzo-aprile 1984.
(9) Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera al cardinale Ugo Poletti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, del 31-12-1985, in L’Osservatore Romano, 8-1-1986.
(10) VLADIMIR I. LENIN, Socialismo e religione, in IDEM, Opere scelte in sei volumi, trad. it., Editori Riuniti – Edizioni Progress, Mosca s.d., vol. I, p. 677.
(11) A. GALANTE GARRONE, art. cit.
(12) Editoriale, in Il Sabato, anno IX, n. 4, cit.