Di Federica Zoja da Avvenire del 03/04/2021
Il terrorismo torna a mordere in Tunisia, dove giovedì tre sospetti jihadisti, tra cui una donna che si è fatta esplodere azionando una cintura mentre teneva tra le braccia un bebè, sono rimasti uccisi durante un’operazione dell’esercito e della Guardia nazionale nel governatorato di Kasserine, nei pressi di Jebel Mghila. Un’area montuosa, al confine con l’Algeria, dove cellule jihadiste si annidano con successo dal 2012.
Il ministero degli Interni tunisino ha reso noto che fra i tre terroristi, uno è stato identificato come Ahmed Dhouib, esponente di spicco dell’organizzazione Jund al-Khalifa, appartenente sia alla rete di al-Qaeda nel Maghreb (Aqmi) sia a quella del sedicente Stato islamico (Daesh). Dhouib era uno jihadista di primissimo piano, «implicato in numerose operazioni terroristiche», si legge in una nota ministeriale. Gli altri due erano un uomo di nazionalità tunisina e la moglie, di origine asiatica. Quest’ultima, appunto, si è fatta esplodere con in braccio il figlio di pochi mesi, mentre una seconda bimba, di 3 anni, è ricoverata in ospedale. Dopo gli attentati del 2015 (al museo del Bardo e nella località turistica di Sousse, ndr) e l’offensiva jihadista a Ben Guerdane nel marzo del 2016 (la cittadina del Sud, è vicina al confine con la Libia, dove altri gruppi jihadisti hanno fissato le proprie basi), lo sforzo delle autorità per contrastare la minaccia islamista armata si è intensificato, riducendo la capacità offensiva dei terroristi.
Smantellate cellule dormienti nei principali centri urbani, ora i gruppi armati si concentrano nelle aree di confine. Non ci sono dati ufficiali sui foreign fighters tunisini, cioè i cittadini partiti per i teatri di guerra in Siria e Iraq dal 2014 in poi: probabilmente, fra i 3mila e i 5mila. Di questi, quasi mille sarebbero rientrati in patria dopo il disfacimento del califfato. Il dibattito sulla sorte da riservare a questi cittadini e alle loro famiglie infuria nel Paese nordafricano.
Foto da articolo