Da “La Nuova Europa” del 7 marzo 2022
Apriamo con questo articolo una panoramica sulla vita della Chiesa russa negli ultimi 30 anni. Una traiettoria duplice: da un lato normalizzazione dei rapporti con lo Stato, dall’altro un drammatico calo di fedeli. Il presente testo è stato scritto prima del 24 febbraio; da quel giorno molte cose sono cambiate, anche nella Chiesa, ma solo il tempo permetterà di valutarle appieno.
Per cominciare vorrei citare tre fatti recenti che mi sarebbero sembrati assolutamente impossibili solo 10 anni fa, e che invece oggi sembrano del tutto normali.
Primo: nell’estate del 2020, nel pieno della prima ondata della pandemia, fuori Mosca è stata consacrata un’enorme chiesa ufficialmente dedicata alla Resurrezione ma universalmente chiamata «chiesa centrale delle forze armate». All’interno si è fatto largo uso di simbologie sovietiche; in un mosaico inizialmente compariva Iosif Stalin (al posto d’onore, anche se non aveva l’aureola), ma dopo lo scandalo scoppiato sui media il ritratto è stato rimosso e trasferito nell’attiguo museo. In quello stesso museo si conservano reliquie e trofei della seconda guerra mondiale, tra cui il berretto di Adolf Hitler.
La seconda novità è rappresentata dalla creazione, alla fine del 2021, di un Esarcato africano della Chiesa ortodossa russa. Nel continente africano, il cui territorio ha sempre fatto capo al Patriarcato di Alessandria e non ha mai avuto alcun legame con Mosca, verranno create delle strutture parallele soggette al Patriarcato russo. Di fatto questa iniziativa fa sì che il dissidio tra l’ortodossia «greca» e quella «russa» in merito all’Ucraina diventi uno scisma a pieno titolo; mi sembra che sia un evento al livello del Grande Scisma dell’antichità; le sue conseguenze, probabilmente, dureranno per secoli dopo che le cause storiche concrete della divisione saranno superate.
E infine la terza novità: in Russia le celebrazioni ortodosse dello scorso Natale, secondo le valutazioni della polizia, sono state frequentate da 1 milione e 400mila persone, pari all’1% della popolazione. È una cifra nettamente inferiore a quella di 5 o 10 anni fa; tuttavia non tutti l’accettano: alcuni dicono che la polizia non ha contato bene; comunque sia, nessun tipo di calcolo registra una presenza di fedeli superiore al 3%, e in una delle festività maggiori. Osservo tra parentesi che ogni singola chiesa tiene la contabilità precisa di quanti si comunicano durante ogni liturgia, e quindi gli uffici diocesani ortodossi potrebbero fornire comodamente le cifre precise per ogni singola festività o per ogni singola domenica, ma una statistica del genere non è mai stata resa pubblica, probabilmente perché i numeri sono talmente bassi che si preferisce non diffonderli.
Senza pretendere di fare un’analisi esauriente, vorrei offrire alcune osservazioni che spieghino come mai la «rinascita spirituale» degli anni ’80 e ’90 ha portato a questi risultati, sconvolgenti per molti. E vorrei fare alcune ipotesi sugli sviluppi che potrà avere la situazione.
Il legame tra Stato e Chiesa
La storia russa è stata spesso un alternarsi di estremi: dal conservatorismo assoluto dell’impero russo all’esperimento del modernismo ateo bolscevico; poi dal nuovo conservatorismo tardo-staliniano alla liberalizzazione del «disgelo» degli anni ’60; dal «rigelo» di Brežnev alla perestrojka di Gorbačëv e alla democrazia del primo El’cin; ed oggi abbiamo di nuovo un ritorno alla grande potenza e alla retorica imperiale, alla quale ben si adatta la retorica clericale. Ma non è difficile indovinare che il movimento del pendolo non si fermerà qui. Inoltre possiamo anche osservare che negli ultimi 100 anni i movimenti del pendolo sono diventati sempre più fluidi: la disgregazione dell’URSS non è stata soft e neppure incruenta, ma sicuramente non ha paragoni con il caos della guerra civile prodotto dal crollo dell’impero russo.
Vediamo inoltre che in questo processo non c’è nulla di assolutamente nuovo: in tutta Europa negli ultimi 100 anni sono crollati imperi, sono scoppiate rivoluzioni e guerre civili; le società tradizionali sono state sostituite di colpo da dittature totalitarie, le quali gradualmente o sempre di colpo hanno lasciato il posto a governi democratici, mentre le strutture ecclesiastiche di prima hanno dovuto cambiare retorica e modo d’essere quando hanno constatato che le chiese si erano svuotate.
In Russia non sta capitando niente di assolutamente nuovo; il paese, a mio avviso appare come la periferia del mondo europeo, e molto di quello che vi sta accadendo diventa più comprensibile se teniamo conto che molti processi si svolgono in ritardo. Nel nostro paese il passaggio dalla società tradizionale a quella industriale si è già verificato con l’URSS; ora siamo allo stadio post-industriale, ma la fazione che governa il paese non capisce questo mondo nuovo e usa la retorica tradizionalista per frenare il passaggio, o più semplicemente per potersi illudere che non sta avvenendo nulla.
Se cerchiamo una similitudine, direi che la nostra società è analoga a quella americana ed europea degli anni ’60, e sarà una storia molto interessante, anche se non proprio semplice né simpatica. Anche le istituzioni ecclesiastiche dovranno cambiare, cosa che per altro sta già avvenendo. Le rilevazioni sociologiche degli ultimi anni mostrano una diminuzione, lenta ma costante, di quanti si dichiarano ortodossi, ma il punto non sta neanche nel numero.
Negli anni della perestrojka l’esperienza religiosa era entrata rapidamente a far parte della moda intellettuale, oggi viceversa, anche se non altrettanto rapidamente, la moda è diventata quella dell’anticlericalismo (che nega particolari diritti alle strutture ecclesiastiche) e dell’ateismo (che rifiuta la religione in quanto tale), spesso anche abbastanza radicali. È diventato ormai un luogo comune sentir dire che la Russia come minimo «ha una religione sbagliata», o che qualsiasi religione è incompatibile con la modernità, col pensiero razionale e il progresso.
La causa di questo risiede, in parte, nel matrimonio tra Chiesa e Stato che negli ultimi tempi si è fatto sempre più chiaro. È risaputo che in Russia questa è un’antica tradizione. D’altro canto, è del tutto naturale che la Chiesa in Russia segua gli stessi modelli che segue la società in toto.
Dopo il caos degli anni ’90 nel nostro paese è emerso il desiderio di uno Stato forte, paternalistico, e le strutture ecclesiastiche si sono adeguate.
Per di più, qualsiasi tipo di attività pubblica nella Russia odierna è, di fatto, impensabile se non serve direttamente gli interessi dello Stato e non è controllata da funzionari statali. Il Patriarcato di Mosca ha accettato queste regole del gioco; si è assunto volentieri il compito di fornire un supporto ideologico alla politica ufficiale (pienamente nello spirito degli Stati autoritari europei nella prima metà del XX secolo).
Ma va osservato che per lo Stato questo partenariato stretto è molto meno importante che ai tempi dell’impero: la società attuale è molto meno patriarcale, mentre i canali di propaganda sono infinitamente più numerosi. Quanto alla Chiesa ortodossa, andando avanti questa collaborazione le costerà sempre più cara in termini di reputazione, e questo ormai lo capiscono molti funzionari ecclesiastici.
Il punto è che questi stessi funzionari non hanno la più pallida idea di come potersi sottrarre a questa stretta collaborazione. È molto probabile che la distanza andrà lentamente crescendo, soprattutto per iniziativa dello Stato (qui non prendiamo in considerazione che lo Stato possa cambiare), cosa che si sta già verificando, poiché è nato il nuovo culto civile della Vittoria, che può ammantarsi di forme ortodosse, ma niente più di questo. Non a caso il Fuoco perpetuo davanti alla tomba del Milite ignoto nei media sta soppiantando gradualmente il Fuoco sacro pasquale che veniva portato da Gerusalemme.
Questo dipende, certamente, anche dal crescente divario tra l’ortodossia russa e quella greca, che sembra ormai insuperabile. Il progetto del «Mondo russo» esteso da Odessa a Vladivostok, che è stato il tema preferito del patriarca Kirill, a quanto pare è stato archiviato e nella prospettiva immediata i vescovi vedono piuttosto la Chiesa come custode dei «valori tradizionali» e, se così si può dire, come «generatrice della Federazione russa» (ma per far questo l’ortodossia russa dovrebbe manifestare totale autonomia e smettere di riferirsi ai modelli greci). Del resto, nel momento in cui lo Stato russo sceglie di isolarsi da gran parte del consesso mondiale, non c’è da stupirsi che anche i vertici della Chiesa si comportino di conserva, nella più totale indifferenza verso la maggioranza dei credenti.
Decostruzione della ricostruzione
A questo punto andrebbero considerati lo stato d’animo e il modo di vivere di questa maggioranza, ma è molto difficile. Non abbiamo infatti alcun dato oggettivo, ad esempio, il numero di quanti si comunicano (vedi sopra), oppure sondaggi degni di fiducia, mentre l’informazione ufficiale che viene dal Patriarcato è un insieme di bei quadretti e di affermazioni generali nello spirito della propaganda sovietica. In sostanza, chiunque volesse parlare della vita interna dell’istituzione Chiesa ortodossa russa dovrebbe necessariamente basarsi sulle proprie impressioni, quanto mai limitate e soggettive.
Pertanto, mi limito a dire che da quanto posso vedere, negli ultimi anni sono sorte numerose iniziative e pratiche interessanti nelle singole parrocchie o, al massimo, in qualche diocesi (laddove ci siano giovani sacerdoti entusiasti che non vengono bloccati dal vescovo). La loro attività si rivolge soprattutto ai gruppi giovanili e all’assistenza sociale, secondo una tendenza diffusa in tutta la società nel suo complesso. Le attività assistenziali, cosa praticamente sconosciuta negli anni ’90, sono oggi una parte importante della vita sociale, in grado di aggregare gente con idee diversissime, ma è difficile affermare che le strutture ecclesiastiche in questo campo siano state la forza trainante o almeno principale.
Quanto poi alla vita interna delle parrocchie ortodosse, quel che sorprende è soprattutto la varietà che vi si incontra: dai fanatici devoti dei santi starcy e del santo imperatore Nicola II, fino agli ecumenisti con idee molto liberali, con un gran numero di varianti intermedie. Ma queste differenze non vengono mai messe a tema nella discussione pubblica. Per capire come mai sia così occorre ritornare alla storia recente.
La «rinascita spirituale» avvenuta tra la fine degli anni ‘80 e l’inizio dei ‘90 era considerata in modo diverso dai suoi diversi protagonisti, ma in generale era un progetto ricostruttivo. Gente nata e cresciuta in ambiente sovietico ha cercato di ricostruire l’ambiente presovietico, tradizionale, arcaico.
E nel far questo poteva ispirarsi a ideali assolutamente diversi, che spaziavano dai primi secoli cristiani all’impero russo del primo ‘900. In ogni caso, tra di loro non c’era praticamente nessuno che provenisse da una famiglia che aveva conservato queste tradizioni, semplicemente le imparavano dai libri o le immaginavano nella loro testa. Una simile ricostruzione ricordava molto il gioco ai cavalieri medievali (che erano esistiti davvero) o agli hobbit di Tolkien (che ancorché affascinanti, erano puro frutto di fantasia).
Tra l’altro, questo tipo di ricostruzione riguarda soprattutto le comunità dei «veri ortodossi», che non riconoscono la Chiesa ortodossa russa e hanno in comune il totale rifiuto del sergianesimo (ossia dell’unione tra Chiesa e Stato) come principale eresia del nostro tempo. Attualmente sono stati completamente emarginati, anche con l’aiuto delle forze dell’ordine, ma ufficialmente non sono proibiti. Se dovessero smettere le pressioni e i vincoli probabilmente diventerebbero più popolari, ma mai in modo dirompente, poiché predicano il ritorno a un’arcaica situazione prerivoluzionaria, oppure si rinchiudono in una fede «casalinga», come vedremo.
Molti sono riusciti a crearsi attorno l’ambiente desiderato, ma poi si è visto ben presto che questo tipo di ricostruzione richiede sforzi enormi e non si riproduce da sé: è ben difficile che i figli cresciuti in famiglie programmaticamente tradizionaliste cerchino a loro volta di riprodurre questi modelli nella propria vita. In più si è visto che la vita religiosa per definizione attira un certo numero di persone con problemi psichici, compresi sadici e truffatori. Negli ultimi anni in Russia sono scoppiati alcuni grossi scandali in monasteri o orfanotrofi della Chiesa (neppure questo succede solo in Russia).
Negli anni ‘10 di questo secolo ha cominciato ad emergere una diversa tendenza alla decostruzione, cioè alla distruzione dei comuni stereotipi; il passaggio a nuove forme individuali di vita religiosa. Per quanto concerne i significati, la decostruzione è legata alla demitizzazione (termine introdotto da R. Bultmann negli studi neotestamentari a metà del secolo scorso, e che ha suscitato molte discussioni): se i ricostruttori degli anni ‘90 prendevano i testi medievali possibilmente alla lettera, cercando di riprodurli nella propria vita, e talvolta li recepivano come il campo di battaglia tra angeli e demoni, i decostruttori ci vedono invece un insieme di simboli e archetipi che descrivono la realtà indirettamente. Così si cancella il confine tra la fede personale e l’identità culturale; nasce un cristianesimo laico, mondanizzato simile a quello che vediamo nei paesi europei più secolarizzati. E la cosa non deve sorprendere se ricordiamo che le statistiche sulla frequenza nelle chiese in Russia non superano le analoghe statistiche in Cechia o Estonia. Naturalmente i ricostruttori considerano come apostasia e ateismo il cristianesimo secolarizzato.
Chiesa domestica e grandi cattedrali
La pandemia di coronavirus è stata uno stimolo potente. Si è interrotto il ritmo tradizionale della vita liturgica, anche se molti all’inizio hanno ignorato la minaccia; tuttavia, la chiusura della cattedrale di Elochovo a Mosca, nella primavera del 2020, in seguito alla morte e alla malattia del clero locale, ha costretto la gente a rinunciare controvoglia al normale comportamento. Le reazioni sono state diverse: qualcuno ha riscoperto l’esigenza della preghiera comunitaria, qualcun altro si è accorto di andare in chiesa più che altro per abitudine e non aveva voglia di tornare ai vecchi usi.
Il rischio epidemico ha costretto a mettere in discussione pratiche che esistevano anche prima ma che una volta non si discutevano né si notavano, come la preghiera in casa, quando i fedeli si riuniscono in un appartamento privato senza chiedere permessi e senza comunicarlo all’autorità ecclesiastica. Nel periodo della pandemia si è cominciato anche a discutere i tentativi di partecipazione online ai sacramenti della confessione e della comunione. La reazione dei vertici della Chiesa alla «comunione su zoom» è stata molto negativa, soprattutto perché così il sacerdote non può controllare cosa viene fatto del Pane consacrato attraverso internet.
Ma questa circostanza non ha fatto che portare alla luce una questione maturata già da tempo riguardante il ruolo dei sacerdoti «di professione» nelle comunità attuali. Sono dei controllori che dispensano la grazia su licenza delle strutture centrali, o sono le guide della comunità, scelte dalla comunità stessa e preposte alla preghiera comune? È probabile che la scelta tra questi due modelli sarà determinata innanzitutto dalla percentuale di quelli che preferiscono le forme paternalistiche rispetto a quelli che hanno un atteggiamento democratico; c’è motivo di credere che il paternalismo stia pian piano tramontando.
Ho l’impressione che in Russia la religiosità domestica tradizionale nei prossimi decenni restringerà sempre più il suo ambito, anche se in alcuni circoli potrà al contrario rafforzarsi come reazione alla generale «apostasia». L’osservatore esterno vedrà un’immagine stabile dell’«ortodossia ufficiale», mentre in realtà questa cambierà sensibilmente all’interno. Il che non vuole dire affatto che l’intera società sia condannata all’ateismo generale.
L’«ortodossia ufficiale delle grandi cattedrali» promossa dal Patriarcato non è molto predisposta ai cambiamenti. La sua posizione ufficiale è quella della conservazione autoreferenziale. Ma è vero che per chi abbia frequentato la Chiesa negli ultimi 20 anni molti cambiamenti sono evidenti.
Tutto dipende dalla singola persona, ma in generale si è ridotto il rigore delle regole formali, c’è più apertura e informalità nei rapporti. Possiamo credere che verso la metà del secolo sarà concesso ampiamente l’uso della lingua russa nelle celebrazioni liturgiche; prenderà piede una versione più blanda del digiuno per i laici (l’attuale regola monastica, molto stretta, non viene osservata da molti) e così via.
Queste piccole riforme avrebbero significato molto negli anni della famosa «rinascita spirituale», ma non furono attuate per paura della reazione fortemente negativa dei tradizionalisti. Il Patriarcato li teme ancor oggi, perché sono pronti a scatenare uno scisma formale, e un simile scenario è considerato catastrofico.
Come esito, oggi la Chiesa ortodossa russa unisce un numero enorme di persone diverse con visioni molto diverse dell’ortodossia. Basti fare un esempio: nel 2016 l’ufficio ortodosso di sondaggi «Ambiente» ha fatto una ricerca tra i fedeli ortodossi chiedendo da chi discende lo Spirito Santo (questione capitale in ambito dogmatico, cui ufficialmente ortodossi e cattolici rispondono in maniera diversa).
È risultato che il 69% degli ortodossi ha risposto come i cattolici, e solo il 10% ha dato la risposta dogmaticamente corretta (poco dopo questo sondaggio l’organizzazione «Ambiente» ha chiuso i battenti). Alla prova dei fatti, questo significa che alla gente non interessano i dogmi elevati, più che altro ha bisogno che ci sia un posto dove far battezzare il bambino, sposare i giovani, fare il funerale alla nonna. Ha bisogno di sentire il contatto con il mondo superiore e di partecipare alle antiche tradizioni, ma a parte questo non ha voglia di estenuarsi con digiuni e preghiere, e di compulsare libri di teologia.
L’ortodossia delle grandi cattedrali offre queste possibilità a condizioni più che accettabili, e questo tipo di persone ne costituisce l’ossatura principale. Sono persone che, a differenza degli intellettuali frondisti, non fanno domande scomode e non sono in conflitto con le autorità. È anche vero che da loro non ci si può aspettare gran che, a parte un generale rispetto e modeste elargizioni, ma sino a che il potere simpatizza con la Chiesa ortodossa, questo basta e avanza. Statistiche ufficiali, lo ripeto, non ce ne sono, ma in base a dati indiretti pare che gli incassi provenienti dai fedeli si siano ridotti negli ultimi due anni, e con ogni probabilità continueranno a farlo. Ma avendo a disposizione le sovvenzioni statali e le donazioni dei ricchi mecenati, la Chiesa può dirsi tranquilla per qualche decennio a venire (il che non esclude che ci siano sacerdoti poveri, per non dire in miseria, in provincia). E anche se lo Stato dovesse negare un aiuto sostanziale, sarà possibile sopravvivere, pur rinunciando al precedente lustro.
L’ortodossia delle grandi cattedrali parla di se stessa come di una verticale rigidamente strutturata, ma in realtà si sta trasformando in una sorta di organizzazione ombrello, dove localmente troviamo realtà molto diverse, che pure dichiarano fedeltà all’autorità ecclesiastica. In più, l’influenza dell’ortodossia delle grandi cattedrali sulle menti e sui cuori diminuisce considerevolmente. Sempre più gente, anche senza rompere con l’ortodossia ufficiale, frequenta la liturgia solo di tanto in tanto, per comunicarsi o partecipare a una celebrazione particolare. Un cristiano di questo tipo, in una conversazione privata, ha paragonato l’andare in chiesa per comunicarsi all’andare in farmacia per procurarsi una medicina: bisogna andarci perché non c’è altra possibilità. Ma il centro della vita spirituale non è certo nella cattedrale.
Ci sono sempre più ambiti della vita in cui la verticale clericale è presente solo simbolicamente, si limita a dichiarazioni generali e lascia che l’attività concreta sia appannaggio del basso clero e dei semplici fedeli. E bisogna dire che tra i laici ci sono molte persone stupende, che riescono a vivere un’esperienza cristiana a tutto tondo.
Direi anzi che nel complesso c’è sempre meno formalismo e più individualismo, ossia in generale si ammorbidisce il precetto dei digiuni rigorosi e della lunga preparazione all’eucarestia, i sacerdoti si astengono sempre più dal dare consigli nell’ambito della vita familiare o di arrogarsi il ruolo di psicoterapeuti, ma tutto questo avviene a livello individuale, così che magari due parrocchie confinanti possono differire grandemente da questo punto di vista.
Come per molti altri aspetti, riconosco in tutto questo innanzitutto il superamento della «sindrome dell’uomo post-sovietico» che, deluso dall’ideologia comunista, continua comunque a cercare autorità assolute e direttive precise; che non è pronto ad instaurare legami sociali orizzontali e preferisce rapporti basati sulle ingiunzioni. Man mano che si sviluppano le libertà personali (non voglio parlare di quelle politiche), man mano che cresce una nuova generazione capace di assumersi responsabilità personali, finiranno necessariamente per cambiare sia la società, sia la Chiesa che ne fa parte.
Non solo Chiesa, non solo ortodossia
Oggi gli osservatori ogni tanto parlano di una Riforma come di un possibile scenario per la Russia e l’ortodossia russa, dimenticando che la Riforma è avvenuta 500 anni fa, e che la Russia ha molte migliaia di suoi protestanti. Inoltre in Siberia e in Estremo Oriente, soprattutto nelle città costruite in periodo sovietico (dove per principio non c’erano chiese), il numero dei protestanti praticanti è pari al numero degli ortodossi praticanti, e talvolta lo supera, a giudicare dall’affollamento delle case di preghiera la domenica.
I protestanti stessi preferiscono non uscire dalla zona grigia per non attirare l’attenzione dello Stato; attualmente la loro attività missionaria non è molto intensa, se la paragoniamo agli anni ’90, eppure non è mai venuta meno. È di grande importanza sottolineare che in Russia la missione cristiana tra i popoli che professano l’islam (e un po’ meno il buddismo e lo sciamanesimo) è praticata quasi esclusivamente dai protestanti. Se per i popoli indigeni l’ortodossia è «la fede russa», il protestantesimo per le sue forme culturali risulta assolutamente occidentale, e più precisamente americano. Sia in un caso che nell’altro è difficile scindere la fede dalla cultura, e persino dalla politica. Oggi non se ne parla molto, ma ciò non vuol dire che questa mentalità sia scomparsa e non riaffiorerà più.
Nel caso ci fosse una netta sterzata della politica statale e dell’interesse della società verso i valori occidentali, ci si potrebbe aspettare anche un interesse di massa verso le confessioni occidentali, soprattutto il protestantesimo (il cattolicesimo in Russia è di nicchia, e interessa più che altro l’intelligencija con particolari radici etniche o affinità culturali). In più i cattolici e i protestanti russi sono del tutto privi di quella elasticità e vaghezza che è tipica dell’ortodossia delle grandi cattedrali, infatti essi sanno bene per quale motivo hanno scelto la loro confessione, e per che cosa questa si distingua dalle altre. Fra di loro si incontrano spesso umori anti-ortodossi, e presentano il conto alla «confessione di Stato» per tutto ciò che di male avviene nel paese, spesso con la sua diretta benedizione.
Parallelamente all’attività ufficiale della Chiesa, soprattutto nel periodo della pandemia, sta crescendo del tutto invisibile all’osservatore esterno il segmento, ancora minuscolo, del «cristianesimo domestico», basato sul modello ben rodato dei tempi ante perestrojka, quando i fratelli di fede si riunivano in cucina per discorrere di cose importanti e percepire il senso di affinità spirituale. Come abbiamo detto, questi incontri attorno a un tavolo possono essere anche delle celebrazioni vere e proprie, ed i partecipanti ne apprezzano molto la sincerità e l’informalità, esattamente ciò che manca loro nelle cattedrali. Qui giocano ormai un ruolo importante i social media, ruolo che non potrà che crescere.
Questa attività è molto difficile da controllare e da proibire (anche se nei confronti dei protestanti ci sono stati dei divieti, e i Testimoni di Geova, com’è noto, sono stati addirittura proibiti in Russia; per incontri del genere gli adepti sono condannati a diversi anni di prigione). Può darsi che nelle prossime tappe della storia russa arriveremo al fatto che la preghiera comunitaria o la lettura della Bibbia senza il permesso del prete verranno puniti con multe o prigione in base a qualche legge demenziale. Ma non potrà durare a lungo.
Molti credenti hanno scoperto con stupore di avere talvolta più punti in comune con persone di altre confessioni che non con i propri confratelli formali. Ad esempio, i creazionisti ortodossi, pur non amando affatto l’America, usano volentieri le argomentazioni dei fondamentalisti protestanti americani, e così in molte altre questioni private.
Di fatto, il cristianesimo extra confessionale che non gira attorno a una comunità ecclesiale ma alla fede personale e alla tradizione culturale era caratteristico dell’intelligencija russa anche nel XX secolo, potremmo ricordare i circoli prerivoluzionari dei «cercatori di Dio» o l’opera di Boris Pasternak. Penso che in Russia continueranno a sorgere e a diffondersi forme diverse di religiosità, non tradizionali e più legate all’identità culturale e alla filosofia personale che non alle forme rituali.
Lo spazio intellettuale sta diventando sempre più simile a un supermercato dove il consumatore sceglie idee e pratiche di suo gusto, senza darsi pensiero che siano conciliabili tra loro.
Un esempio interessante è lo yoga. La sua comparsa nella nostra società, alla fine del secolo scorso, era strettamente legata all’induismo; l’idea che un cristiano praticante potesse frequentare dei corsi di yoga sembrava un’assurdità sia ai predicatori cristiani che agli stessi yogi. Oggi la pratica dello yoga è considerata dalla maggioranza (anche se non da tutti) come un esercizio fisico utile, a prescindere dalla religione e dalla filosofia relative. Mi è capitato di sentire che uno yogi è stato invitato a tenere un seminario per una comunità di monaci, a patto che non nominasse mai la parola «yoga». Lo yogi non ha accettato e il seminario non si è fatto, ma l’idea stessa è significativa.
Un altro tema è l’influenza dell’islam che è presente nella società russa, ma che al momento presente quasi non si vede. Molti considerano l’islam come la fede un po’ ingenua dei migranti dell’Asia Centrale, troppo preoccupati della più elementare sopravvivenza per difendere i propri diritti e predicare la propria fede. Ma non sarà così per sempre.
Un altro campo di grande incertezza è la politica. Oggi come oggi in Russia manca una concorrenza politica pubblica, ma questo non vuol dire che la società non ne senta il bisogno. Molti cristiani dicono di essere «lontani dalla politica», ma poi capita sempre più spesso che le questioni normalmente considerate politiche hanno un’importante dimensione morale, e per i cristiani è sempre più difficile ignorarle. Quando riavremo una concorrenza politica vedremo cose molto interessanti.
I tentativi di creare dei partiti politici indipendenti con elementi cristiani, sul tipo della Germania, non hanno portato alcun risultato apprezzabile negli anni ‘90, e sarà ben difficile che si facciano altri tentativi del genere, a breve. Questo non esclude però che i cristiani possano impegnarsi in vari partiti politici e movimenti, infatti si può fare una politica animata dai valori cristiani anche senza metterci su l’etichetta.
Citerò un solo esempio. Si può simpatizzare o meno per Aleksej Naval’nyj e i suoi sostenitori, e si può credere o meno alla possibilità che torni alla grande politica. Ma vorrei sottolineare un particolare importante. Fino a tempi recenti tutti loro avevano una posizione duramente anticlericale e una retorica chiaramente atea; io pensavo che se fossero andati al potere sarebbero cominciate delle vere persecuzioni contro la Chiesa. Ma dopo che Naval’nyj è finito in prigione ha cominciato a dirsi credente (al di fuori di una precisa confessione), e le sue parole trovano conferma nella sua disponibilità a soffrire, e fors’anche a morire per le proprie idee.
Pare che la cultura russa non abbia altra lingua per esprimere questi significati, né altro fondamento per i suoi valori, che quello evangelico. E questo ci infonde speranza.
7 marzo 2022