Da La bianca Torre di Ecthelion del 02/06/2018. Foto da articolo
La storia di Isaiah Haastrup, un’altra raccapricciante storia di eutanasia contro un bimbo di pochi mesi, è stata raccontata, ma qualcosa non quadra. E adesso è venuta fuori.
Isaiah, nato nel febbraio 2017, è stato ucciso al King’s College Hospital di Londra, lo stesso dove aveva visto la luce, il 7 marzo mediante sospensione della ventilazione assistita. Ammazzato per asfissia, dopo una lenta agonia durata otto ore (e di per sé al di là di ogni più rosea previsione medica), per la sola colpa di essere venuto al mondo attraverso un parto difficilissimo durante il quale ha subito il danneggiamento irreversibile del cervello dopo avere patito una prolungata mancanza di ossigeno. Praticamente il protocollo eutanasico che gli è stato applicato è una forma odiosa della pena del contrappasso applicata a un innocente.
Anche i genitori di Isaiah, Lanre Haastrup e Takesha Thomas, come altri genitori stretti della medesima micidiale situazione, hanno fatto di tutto per salvargli la vita, ricorrendo a tre corti d’appello, poi alla Corte Suprema del Regno Unito, quindi alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la quale però, il 6 marzo, ha giudicato inammissibile la loro domanda. Tutto insomma finito nel più tragico e oramai consueto dei modi, tutto sepolto.
No, non tutto. Il piccolo Isaiah, infatti, una degna sepoltura, almeno quella, non l’ha avuta fino a giovedì 31 maggio, quando è stato inumato nel cimitero del distretto di Camberwell, nella zona sud della capitale britannica, accanto – ha detto il padre – alla nonna materna.
Le circostanze del suo funale le racconta il quotidiano britannico The Guardian, e sono circostanze che aggiungo no tragedia a tragedia.
Il padre di Isaiah ha infatti fatto causa all’ospedale per negligenza. È convinto che il danno cerebrale subito dal piccolo alla nascita sia colpa dei medici e degli ostetrici. Non solo. Le cause esatte della sua morte – ecco un altro elemento che ritorna – non sono, dice l’uomo, state del tutto accertate, e pure di questo si stanno occupando gli avvocati. Sospensione della ventilazione forzata sì, ma a papà Lanre non tutto torna. E non è certo l’estremo, disperato tentativo di un genitore ferito di non arrendersi nemmeno davanti all’evidenza. Troppe cose, infatti, nelle vicende di queste eutanasie infantili, appaiono strane. Più o meno sempre le stesse. E tra l’altro sempre uguale è pure la violenza con cui il personale ospedaliero tiene separati i genitori e i loro piccoli poi eutanasizzati, veri e propri sequestri che in seguito diventano pretesti utilissimi alle corti di giustizia (si fa per dire) per ricamare sulla fiducia tra le parti purtroppo venuta meno e quindi da suggellare con la morte degli unici innocenti per definizione.
Papà Haastrup del resto se ne intende. Lavora in uno studio legale. Non è che, dice l’uomo, Isasiah stesse male e l’ospedale abbia fatto di tutto per aiutarlo, bensì l’esatto contrario. È proprio l’ospedale la causa della malattia di Isaiah. Affermazioni proditorie, esagerazioni strumentali, forse persino vaneggiamenti? Probabilmente sì, se non fosse che ad ammettere tutto, dando ragione ai genitori del piccolo, è proprio il King’s College Hospital. The Guardian riporta la nota diramata dal nosocomio il giorno del funerale di Isaiah, e c’è ben poco da aggiungere. «Come ha concluso un’indagine interna seguita alla nascita» di Isaiah, afferma l’ospedale, «[…] la ragione principale del danno cerebrale» subito dal piccolo è stata dovuta alle «conseguenze» di «[…] una emergenza ostetrica rara e potenzialmente mortale occorsa durante le doglie di sua madre», ma, come sempre quell’indagine interna «[…] ha riconosciuto», «[…] problemi specifici nel monitoraggio durante il travaglio hanno contribuito alla sua condizione. Ce ne scusiamo senza riserve».
La giustizia, se sarà capace, farà il proprio corso, ma, tradotto, il messaggio dell’ospedale parla chiaro. Isaiah è stato rovinato nel fisico dallo stesso ospedale che poi ha pensato bene di toglierlo di mezzo definitivamente. Senza riserve.
Marco Respinti