di Michele Brambilla
Il libro degli Atti degli Apostoli si conclude con la carcerazione di san Paolo nella capitale dell’impero, Roma, dove, ricorda Papa Francesco nel corso dell’udienza generale del 15 gennaio, l’apostolo non smette di predicare la parola di Dio. «Il viaggio di Paolo, che è stato un tutt’uno con quello del Vangelo, è la prova», infatti, «che le rotte degli uomini, se vissute nella fede, possono diventare spazio di transito della salvezza di Dio, attraverso la Parola della fede che è un fermento attivo nella storia, capace di trasformare le situazioni e di aprire vie sempre nuove».
San Paolo non è libero di girare per la città, ma è sottoposto a domicilio coatto perché, in fin dei conti, è un prigioniero che sta chiedendo la grazia all’imperatore. Come è noto, la sentenza di morte non verrà annullata, bensì confermata da Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (37-68 d.C.), tuttavia la narrazione degli Atti degli Apostoli termina prima del fatidico 64, anno del grande incendio di Roma e della contestuale prima persecuzione anticristiana decretata dall’impero.
Il Pontefice rimarca che il respiro della narrazione biblica è molto più ampio di quello che si potrebbe dare ad una semplice narrazione cronologica degli eventi: «la fine del racconto di Luca, imperniato sul viaggio del Vangelo nel mondo, contiene e ricapitola tutto il dinamismo della Parola di Dio, Parola inarrestabile che vuole correre per comunicare salvezza a tutti», tanto che neppure il martirio la può arrestare.
Come ricorda Francesco, «a Roma, Paolo incontra anzitutto i suoi fratelli in Cristo, che lo accolgono e gli infondono coraggio (cfr At 28,15) e la cui calda ospitalità lascia pensare a quanto fosse atteso e desiderato il suo arrivo. Poi gli viene concesso di abitare per conto proprio sotto custodia militaris, cioè con un soldato che gli fa da guardia, era agli arresti domiciliari», misura non inedita nel diritto latino, dacché in età repubblicana era stata applicata agli ostaggi di maggiore riguardo. «Malgrado la sua condizione di prigioniero, Paolo può incontrare i notabili giudei per spiegare come mai sia stato costretto ad appellarsi a Cesare e per parlare loro del regno di Dio». Emerge anche da questo particolare che «Paolo si riconosce profondamente ebreo e vede nel Vangelo che predica, cioè nell’annuncio di Cristo morto e risorto, il compimento delle promesse fatte al popolo eletto».
Il Santo Padre non si sofferma molto sulle resistenze che il fariseo Paolo incontra ancora una volta nei suoi connazionali. Gli interessa, invece, mostrare come l’abitazione in cui è tenuto prigioniero l’apostolo diventi in poco tempo, inevitabilmente, un centro di diffusione del Vangelo: «Questa casa aperta a tutti i cuori in ricerca è immagine della Chiesa che, pur perseguitata, fraintesa e incatenata, mai si stanca di accogliere con cuore materno ogni uomo e ogni donna per annunciare loro l’amore del Padre che si è reso visibile in Gesù». E deve essere così anche oggi: «cari fratelli e sorelle, al termine di questo itinerario, vissuto insieme seguendo la corsa del Vangelo nel mondo, lo Spirito ravvivi in ciascuno di noi la chiamata ad essere evangelizzatori coraggiosi e gioiosi. Renda capaci anche noi, come Paolo, di impregnare le nostre case di Vangelo e di renderle cenacoli di fraternità, dove accogliere il Cristo vivo».
Giovedì, 16 gennaio 2020