di Vladimir Rozanskij da AsiaNews del 18/11/2020
Lo afferma lui stesso in un’intervista sul sito Tut.by di ieri. Le proteste contro i brogli nelle elezioni presidenziali hanno superato i 100 giorni consecutivi. La polizia continua gli arresti anche nelle case private. In arrivo nuove sanzioni economiche contro le aziende statali bielorusse e le ditte più legate a Lukašenko.
Mosca (AsiaNews) – In una intervista di 4 ore con i giornalisti di Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Kazakistan e Russia, pubblicata sul sito Tut.by di ieri, il presidente Aleksandr Lukašenko ha ribadito di non voler rimanere al potere: “Me ne andrò, e basta. La questione non riguarda me, ma loro”, riferendosi ai suoi contestatori. “Voi capite che cosa succederà: si faranno a pezzi tra di loro”, ha dichiarato il batka bielorusso.
Nel corso dell’intervista, Lukašenko ha assicurato di non avere altra preoccupazione oltre al suo popolo: “Ho dato tutti i miei migliori anni per questo Paese, per questo sono attaccato ad esso e cerco di resistere, perché capisco che cosa potrà succedere, e anche voi lo sapete”. Tali affermazioni sono abituali nella retorica del “presidente eterno” della Bielorussia, ma per la prima volta egli ha accennato anche alla possibilità di emigrare: “Tutti hanno capito che non ho intenzione di fuggire, e non lo farò. Quando tutto sarà tranquillo e sereno prenderò l’aereo e me andrò. Andrò proprio in Russia, per vivere e lavorare, grazie a Dio sono ancora in buona salute (“un sano contadino”, zdorovyj muzhik)”, ha dichiarato Lukašenko.
Ma i commenti a queste affermazioni le interpretano come nuove minacce presidenziali, del tipo “me ne vado e vedrete che rovina”, per cercare di disorientare l’opinione pubblica nazionale. In qualche modo, è anche un tentativo di disarmare le proteste, con la promessa di lasciare il Paese entro breve tempo. D’altra parte, il presidente bielorusso dimostra di cercare una via d’uscita per sé stesso e i propri familiari, evitando le possibili ritorsioni di un rovesciamento dello status quo (il figlio Nikolaj studia già in un liceo moscovita).
Lukašenko ha da tempo compreso di aver perso la fiducia del proprio popolo, come hanno dimostrato le visite alle fabbriche in cui è stato apertamente contestato. Dietro tutto questo sta evidentemente la regia russa, che prepara la sostituzione di Lukašenko in tempi ragionevoli, per evitare conseguenze catastrofiche sia per i conflitti interni al Paese, sia per le ritorsioni economiche che provengono dalla comunità internazionale. Una giornalista, Katerina Shmatina, ha commentato ponendo una drammatica domanda: “Che Paese ha creato, se ora dice di volersene andare?”
Le proteste hanno intanto superato i 100 giorni consecutivi dal 9 agosto, giorno delle contestate elezioni presidenziali. Esse non accennano a fermarsi, nonostante siano cominciate le gelate autunnali, tipiche della seconda metà di novembre. Continuano anche gli arresti di massa da parte degli Omon, compresi i fermi di vari giornalisti. La piazza centrale ribattezzata “piazza dei Cambiamenti” è stata nei giorni scorsi teatro di nuove persecuzioni poliziesche, che hanno preso d’assedio anche le case private in cui si sono rifugiati i manifestanti. La piazza è stata presidiata dalla polizia per tutta la giornata di domenica e la notte successiva; l’assedio è stato tolto solo dopo le 9 del mattino di lunedì 16 novembre.
La “presidente in esilio”, Svetlana Tikhanovskaja, ha incontrato il 16 novembre gli ambasciatori di Danimarca, Norvegia, Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Canada, Irlanda e i rappresentanti del “Consiglio dei Paesi settentrionali”. Sono state discusse ulteriori sanzioni economiche contro le aziende statali bielorusse e le ditte più legate a Lukašenko, bloccando i programmi di sviluppo finanziario legati allo Stato e la collaborazione con le banche statali, in particolare la Belarus Bank e la Belagroprom Bank, la Cassa rurale. A giorni i Paesi dell’UE dovrebbero approvare un nuovo pacchetto di sanzioni individuali ed economiche contro la Bielorussia di Lukašenko. La Tikhanovskaja ha dichiarato che dopo la fuoruscita del presidente, la Bielorussia si rivolgerà al Tribunale penale internazionale, per valutare l’accusa di genocidio, di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità.
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