Da La bianca Torre di Ecthelion del 04/01/2018. Foto da articolo
Con Gli ultimi Jedi la saga di Star Wars chiude un ciclo. La morte di Luke Skywalker è una svolta senza ritorno. Il tono è plumbeo. In effetti lo è l’intera terza trilogia, iniziata nel 2015 con Il risveglio della Forza, ma amaro è pure il primo dei racconti autoconclusivi della serie Anthology, ovvero Rogue One: A Star Wars Story del 2016. La materia trattata è infatti adulta.
Rogue One narra l’abnegazione di quel gruppo di ribelli che all’Impero galattico, quintessenza della malvagità totalitaria, trafugò gli schemi dell’arma più terribile di sempre, la Morte Nera, propiziandone la distruzione a prezzo della propria vita.
Il risveglio della Forza narra poi del ritorno dell’ombra, rendendosi conto di quanta verità vi sia nelle parole di T.S. Eliot (1888-1965): «Non vi sono cause perse poiché non vi sono cause vinte». Nella storia, la battaglia finale non lo è mai davvero. Distrutto l’imperatore Palpatine, al suo posto è sorto il Leader Supremo del Primo Ordine, Snoke, persino peggiore, poi spodestato da un male ancora più terribile, Kylo Ren. Il realismo dentro la fantascienza. Kylo Ren altri non è che Ben, il nipote di Luke, figlio del meraviglioso guascone Han Solo e della principessa Leia Organa, a propria volta sorella di Luke e figlia di Anakin Skywalker, il malvagio Darth Vader protagonista di una sublime conversione. Prima Kylo Ren uccide il proprio stesso padre per non avere più alcun legame che lo raffreni, poi abbatte Snoke per sostituirvisi. È allora che sceglie definitivamente il male, rifiutando di convertirsi come ha invece fatto il suo idolo, Darth Vader. Qui la narrazione trafigge il cuore dello spettatore, dimostrando perché la stoffa di Star Wars è quella della grande epica e persino della tragedia classica.
Tutta la vicenda s’impernia sul dramma di una famiglia lungo le generazioni, e l’anima ne sono le donne, le madri. In Star Wars come nella realtà, le donne sono le custodi della memoria e le madri le vere educatrici. Anzitutto la principessa Leia, quindi Padmé Amidala, madre sua e di Luke: sono loro l’equilibrio che rende grandi i guerrieri, sono loro che tengono mentre tutto attorno crolla. Poi c’è Shmi, la povera madre di Anakin torturata e uccisa da una banda di balordi del deserto, su cui s’impernia tutto il risentimento che porterà il giovane cavaliere a mutarsi in Darth Vader. Dunque l’indomita Jyn Erso di Rogue One, fino alle sorelle Paige e Rose Tico più la protagonista Rey: nullità assolute che ne Gli ultimi Jedi appaiano la blasonata Amilyn Holdo, il viceammiraglio dei ribelli che con la propria vita fa da scudo alla loro ultima fuga rivelandosi impavida laddove era stata scambiata per traditrice.
Sono la memoria e l’educazione di un popolo intero, quello dei ribelli che non si arrendono all’apparente ineluttabilità del male. Le eroine di Star Wars esistono perché esistano gli eroi di Star Wars. La natura delle cose è onorata. Di questi tempi è da reazionari.
Ma ne Gli ultimi Jedi c’è molto di più. Anzitutto la libertà. Nessuno è predestinato. I buoni possono diventare, e diventano, cattivi o viceversa. Chi voglia vedervi l’indifferenza tra bene e male guardi il pessimo Maleficent(2014), lo stravolgimento de La bella addormenta nel bosco. Prendiamo invece il protagonista assoluto, Luke. Per tutti è un eroe, ma lui sa benissimo che la verità è altra. Invece di essere la saggezza e la ponderazione che ci aspettiamo è stato temerario. Ha pregiudicato il giovane Ben, cercando persino di ammazzarlo con un processo alle intenzioni. Il rimorso lo consuma, e la paura lo spinge a dimettersi da se stesso. Si estranea persino dalla Forza, l’energia cosmica che tiene assieme l’universo di Star Wars generando quella religione naturale che è la ragion d’essere del suo ordine cavalleresco posto a guardia della galassia, appunto i Jedi. È il momento più buio del film, ma solo perché è l’ora che precede l’alba.
Luke si salva solo quando capisce che la fede non è il blasone dei perfetti, ma il riconoscersi peccatori. Quando si rende conto che la Forza non è la prerogativa di un élite di puri, ma la possibilità di corrispondere a essa che ha ogni essere senziente. Forse allora la Forza è stata equivocata, persino dai Jedi. Serve un cambio di passo. Il titolo del film significa solo questo. Incomprensibilmente, in italiano The Last Jedi è reso al plurale, benché il regista, Rian Johnson, vada ripetendo che va inteso al singolare. L’ultimo Jedi è Luke perché Luke è l’ultimo ad avere frainteso la Forza. In Star Wars la Forza è l’equilibrio tra il bene e il male perché sino a quel momento quell’universo l’ha saputa comprendere così quella religione naturale che tiene assieme tutto e ogni cosa affidandola a pochi eletti. Ora però l’universo di Star Wars attende altro. Un tempo cui la fede è per tutti.
Solo adesso Luke, immolatosi affinché vi sia ancora un domani, può essere ricordato come un eroe, un patriarca, un profeta. Insegna maestro Yoda che forte è colui che impara da quegli errori che tutti commettono, ma che è la radice di ogni male illudersi del contrario. Luke ha peccato gravemente, ma Kylo Ren ha scelto il male da solo, rifiutando la salvezza offertagli. Da una donna. Che ha preservato se stessa, negandosi alle sue brame di possesso. La conversione continua, insomma, è la chiave di Star Wars assieme all’attesa di una nuova, suprema speranza.
Quando la trama sembra ripetere topoi già visti nella stessa saga, lo fa apposta. Perché l’esito è diverso. Uno dei film più intelligentemente cupi di questa serie si chiude con un sole che tramonta mentre un altro sorge. Il sacrificio totale di sé per il prossimo, un sacrificio spesso senza luce, ne è il leit motiv come nelle belle antiche saghe e tragedie pagane, ma la nuova era nasce da una vita donata generosamente per la salvezza degli altri, quella dell’ex opportunista Finn, che all’ultimo istante viene risparmiata grazie al gesto d’amore gratuito con cui l’improbabile Rose si sostituisce a lui per ricevere inaspettatamente in premio la restituzione della propria vita.
Il male minaccia ancora, come sempre, ma una nuova fede sorge da un pugno di sopravvissuti alle stragi riparati sopra una barcaccia alla deriva, il Millennium Falcon, un ferrovecchio che nessuno riesce però a battere e il cui solo nome fa digrignare i denti ai cattivi. La scena più bella è l’ultima. Un bimbetto schiavo nelle stalle di Canto Bright, il pianeta-casinò di quei trafficanti di armi per cui il bene e male sono solo a scopo di lucro, gioca con gli amichetti mimando le avventure del grande eroe Luke Skywalker, l’ultimo Jedi. Il padrone schiavista li interrompe sbraitando e il piccolo, Temiri Blagg, scappa fuori. Alza lo sguardo al cielo stellato e un’astronave che sembra una cometa che però è un’astronave solca la notte. La scopa da sguattero nella sua mano è come la spada di luce degli antichi cavalieri. Al dito, un anello con il sigillo dei ribelli donatogli da Rose. L’ultimo Jedi è il Jedi dei tempi ultimi, un Nano che vive da Gigante, un uomo che una donna ha educato alla memoria.
Marco Respinti