Di Marcello Palmieri da Avvenire del 26/09/2019. Foto redazionale
«Una pronuncia aberrante sotto molti profili». Mauro Ronco, penalista a capo del ‘Centro studi Livatino’, è molto duro nei confronti di quanto deciso dalla Corte.
Perché?
Innanzitutto perché la Consulta si è assunta un ruolo che sarebbe spettato al legislatore.
Eppure, la stessa Corte ha comunque dichiarato «indispensabile» un intervento del legislatore…
Sì, ma solo il Parlamento avrebbe potuto dire a quali condizioni sarebbe stato semmai possibile accedere al suicidio assistito. In questo modo, la Consulta ribalta sull’organo legislativo un compito gravosissimo: definire i dettagli di una disciplina che essa stessa ha già tracciato.
Intanto, però, la Corte chiede ai giudici ordinari di interpretare caso per caso i principi annunciati ieri…
Vede, anche questo significa passare ad altri, in questo caso i giudici territoriali, enormi problemi. E poi, dov’è finito il principio di tassatività della fattispecie penale? Dal mio punto di vista è una decisione costituzionalmente aberrante… qui si rischiano difficoltà applicative insormontabili, e soprattutto grandi vuoti di tutela.
Non sono sufficienti le condizioni poste dalla Consulta?
Non mi sembra, anche perché sono molto annacquate. Basti pensare alle cure palliative: nell’ordinanza 207, si suggeriva al Parlamento di elevarle a prerequisito per l’accesso al suicidio. Ora, invece, si parla più genericamente di «rispetto delle modalità previste dalle norme sulle cure palliative». Se sono state citate per evitare l’inevitabile, posso dire che il riferimento è assolutamente inadeguato.
Cosa significa?
Bisognerà attendere la sentenza integrale. Certo è che la legge sulle cure palliative non è mai stata finanziata, e non esistono reparti attrezzati. Anche per questo, la Corte rischia di generare confusione e arbitrio. Idem per il richiamo alle norme sul consenso informato: la stessa legge 219/2017, quella sulle Dat, non fornisce alcuna tutela sulla genuinità delle volontà espresse.
A questo, potrà porre rimedio il Parlamento?
La situazione è molto aperta: le Camere dovranno valutare le condizioni alle quali sarà possibile accedere al suicidio assistito, ma nel solco tracciato dalla Consulta. Un compito delicatissimo.
C’è poi un altro problema: la Corte non solo apre al suicidio assistito, ma prevede pure la sua medicalizzazione…
Anche sul punto è una decisione che onera altri, in questo caso il Servizio sanitario nazionale, di un problema enorme. Tanto più che non si parla dell’obiezione di coscienza, come invece era avvenuto nell’ordinanza dello scorso anno.
Alla luce di questa pronuncia, quale sarà dunque il destino dell’articolo 580?
Una cosa positiva è che non è stato dichiarato incostituzionale. Dunque continuerà a punire chi aiuta un’altra persona a togliersi la vita.
Però la Consulta ha posto delle eccezioni…
Questo in effetti è il nocciolo del problema. Ma se avesse dichiarato l’incostituzionalità della norma, anche parziale, sarebbe stato molto peggio.
Mi spieghi: come ha fatto la Corte a modificare una norma senza dichiararla incostituzionale?
Anche per questo bisognerà aspettare il deposito della sentenza. Leggendo il comunicato, sembra che abbia utilizzato la categoria della non punibilità. Però vede? Sono tutte azioni che sarebbero spettate al Parlamento, non alla Consulta.
Secondo lei, allora, che tipo di sentenza avrebbe dovuto emettere la Corte?
Avrebbe potuto limitarsi a fare come in altre occasioni, invitando il Parlamento a riesaminare la legge. Ma senza spingersi a tracciare una disciplina specifica. Non poteva e non doveva farlo.
«Preoccupa il riferimento troppo generico alle cure palliative che, per altro, non sono garantite.
Lo stesso per il richiamo alla legge sulle Dat.
Si rischia di generare confusione e arbitrio»