Di Lorenzo Bertocchi da La Verità del 20/09/2021
L’eutanasia è spesso presentata come una«dolce morte», l’atto di amore verso chi soffre. Questo è anche l’argomento principe dei promotori della proposta referendaria avanzata dall’associazione Luca Coscioni, ma il quesito solleva questioni giuridiche che a taluni fanno pensare addirittura allo sdoganamento dell’omicidio. «Siamo di fronte a una frode di etichetta», risponde Alfredo Mantovano, giudice di Cassazione e vicepresidente del Centro studi Livatino. «Viene denominato “referendum per l’eutanasia legale”, ma in realtà il quesito, se approvato, renderebbe non punibile l’omicidio del consenziente, oggi sanzionato dall’art. 579 del codice penale».
Ritiene troppo larghe le maglie del referendum?
«Le sofferenze intollerabili e le malattie inguaribili sono fuori luogo: sono state alla base della sentenza del 2019 della Corte costituzionale sul caso Cappato, ma qui non c’entrano nulla. In un ordinamento come il nostro in cui, con ragione, sono vietati gli atti di disposizione del proprio corpo, e le deroghe sono rigorosamente disciplinate – si pensi alla donazione di un rene fra vivi -, il quesito avrebbe della formalizzazione estrema della disponibilità della vita umana, a condizione che l’altro presti il consenso alla propria uccisione».
Il referendum è in attesa di passare il vaglio di ammissibilità della Corte costituzionale, che peraltro il quesito chiama in causa riferendosi alla famosa sentenza Cappato/dj Fabo, ma è corretto ricondurre la legittimità del quesito a questa sentenza?
«La Consulta ha dichiaratola parziale illegittimità dell’art. 58o cod. pen., e ritiene non punibile chi agevola l’esecuzione del suicidio purché il paziente abbia fruito di cure palliative, sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili. La norma penale di riferimento è diversa da quella sottoposta a referendum e quest’ultimo, essendo abrogativo, ignora le già discutibili condizioni stabilite dalla sentenza del 2019».
Sull’eutanasia, al momento, sul tavolo ci sono due carte: non solo il referendum, ma anche il disegno di legge Bazoli. Una miscela esplosiva o una valida alternativa?
«Il “testo unificato” Bazoli si discosta in più punti dalla sentenza della Corte costituzionale, pur se i suoi sostenitori affermano di voler dare a essa puntuale attuazione: per esempio, fra i requisiti della morte medicalmente assistita, pone in alternativa alla “patologia irreversibile” di cui parla la Consulta, la “prognosi infausta”, di cui invece la Consulta non parla. Ma una patologia a “prognosi infausta” non rinvia obbligatoriamente a condizioni terminali: vi sono pazienti oncologici con “prognosi infausta”, ma le terapie loro praticate nei reparti di oncologia non costituiscono “accanimento terapeutico”: permettono o di rendere tendenzialmente stabile la loro condizione, o comunque di guadagnare anni di vita, nella gran parte dei casi senza alterare in modo completo la qualità della vita. Altre differenze? Il ddl Bazoli non prevede come pre-requisito il ricorso alle cure palliative – ne fa cenno in termini vaghi – e non riconosce valore alla coscienza del medico che intenda sottrarsi a questa tipologia di pratiche, come la Corte impone. È dunque qualcosa di ulteriore rispetto alla sentenza, e sarebbe onesto ammetterlo».
Di fronte a questo panorama, dal punto di vista politico cosa ci si può attendere?
«Va sgombrato il campo da un equivoco. Il Parlamento non è vincolato a dare dettagliata esecuzione alla pronuncia della Consulta. Le norme sono l’esito di una valutazione politica che si svolge nelle aule di Camera e Senato: nulla formalmente impedisce di far seguire alla sentenza del 2019 una differente disciplina dell’art. 58o cod. pen., per esempio distinguendo fra la posizione di chi non ha alcun legame col paziente e coloro che invece da più tempo soffrono col paziente in virtù della costante vicinanza a lui; la seconda posizione è evidentemente diversa e tollera una sanzione meno grave, pur mantenendosi il giudizio negativo dell’ordinamento su ogni condotta di aiuto al suicidio».
Quindi?
«Niente preclude di adeguare le sanzioni alla diversità dei casi concreti, fermo restando il giudizio di disvalore verso la soppressione di una vita umana: è il senso della proposta di legge che reca come prima firma quella di Alessandro Pagano. La nuova disciplina dovrebbe poi rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, come è richiesto dalla Consulta, con la presa in carico del paziente da parte del Servizio sanitario nazionale al fine di praticare un’appropriata terapia del dolore».
Se il combinato disposto del referendum e del ddl Bazoli finiscono per rendere la vita come un bene disponibile, cosa significa per la nostra civiltà?
«Significa questo: che ammiriamo i disabili che partecipano ai Giochi paralimpici, ma l’empatia si affievolisce se il disabile che non brilla nello sport, e quindi è meno attraente e più carico di problemi, si avvicina al cerchio di sicurezza che abbiamo tracciato attorno a noi. Prendiamo in parola l’anziano che, lasciato in compagnia della sua solitudine e della nostra indifferenza, vede accentuati i malanni dell’età e si chiede perché il Signore non lo lasci andare: ho il rimedio per te – gli rispondiamo -, che non è dedicarti qualche minuto di tempo, ma garantirti una fine indolore. Senza comprendere che quella domanda di morte esige in realtà la nostra attenzione e la nostra vicinanza vera, e retrocede se queste ci sono. Non leggiamo la disperazione del familiare che trascorre senza aiuto anni a fianco a quell’anziano, e per questo anche in tv è pronto – non sempre – a sollecitare strumenti che facciano cessare Io strazio: andrebbe allo stesso modo se avesse avuto o se avesse sostegni concreti? Referendum, sentenze e “testi unificati” sono gli strumenti di questa cultura dell’ipocrisia e dello scarto. È l’allontanamento da sé di ciò che vale, e per questo costa. È la rinuncia ad amare».