Alcuni extracomunitari eludono il confine. E che fa il novello Schuman? La lezioncina sulla distinzione fra rifugiati e migranti economici
Dà l’idea del remake gallico di un film già prodotto negli Usa. Neanche tanti anni fa: le prime riprese risalgono al gennaio 2009, e scatenano tanto entusiasmo da procurare al protagonista l’equivalente in politica di quello che per un attore è il premio Oscar. Barack Obama si era appena insediato come capo della prima potenza planetaria, primo presidente di colore, colui nel quale il mondo riponeva le speranze, che – si era a ottobre – otteneva in tempi da record il Nobel per la pace: assegnatogli per i suoi «sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli», secondo la unanime motivazione del Comitato. Era una profezia, visto il tempo limitatissimo trascorso dal giuramento, piuttosto che l’apprezzamento per un lavoro svolto. Nel giugno si era recato al Cairo, all’università Al-Azhar, per proclamare: «Sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; l’inizio di un rapporto che si basi sull’interesse reciproco e sul mutuo rispetto (…). America e Islam si sovrappongono, condividono medesimi principi e ideali, il senso di giustizia e di progresso, la tolleranza e la dignità dell’uomo».
Il film, iniziato bene, è terminato nel peggiore dei modi: a differenza dei classici di Hollywood, che in genere partono in modo tormentato, ma poi la storia si dipana e il bene trionfa. L’Obamamovie è finito all’opposto: gli “sforzi straordinari” di Obama per la pace hanno prodotto il disastro delle cosiddette primavere arabe, si sono tradotti – col concorso attivo di Mrs Clinton – nell’intervento in Libia, in danno di tutta l’area mediterranea, e in particolare dell’Italia, hanno condotto sulle soglie della guerra dalla parte sbagliata in Siria, hanno riportato indietro di un quarto di secolo le tensioni con la Russia, hanno costretto a lasciare i militari Usa in Iraq e in Afghanistan, nonostante le promesse di ritiro, hanno favorito l’espansione Isis, grazie alle armi di provenienza Usa cedute dall’Arabia ai terroristi. Per non dire della politica interna, che qualche problema deve averlo creato, se è vero che Trump ha vinto la campagna elettorale criticandone gli effetti: ma questo appartiene alla filmografia circoscritta agli Usa.
Il Nobel della rinascita europea
Mutatis mutandis – Cannes è pur diversa dalla collina di Hollywood –, l’esordio sulla scena di Emmanuel Macron ha avuto caratteristiche analoghe: il Nobel glielo hanno dato le percentuali, non i numeri assoluti, con i quali ha trionfato al ballottaggio nelle presidenziali e poi alle elezioni legislative, insieme con un consenso mediatico senza precedenti. L’Europa, meglio: le istituzioni dell’Ue, hanno respirato di sollievo grazie a lui. Gli alleati, dentro e fuori l’Unione, hanno fatto a gara per ossequiarlo e tributargli onori e per ignorare quello che, se nelle stesse proporzioni e con tempi così veloci, fosse accaduto a Trump, avrebbe fatto parlare per settimane: Macron ha perduto in blocco un partner del governo appena formato, con relativa pattuglia di ministri, ma che sarà mai, le tout va très bien…
Poi accade qualcosa. Il campione della rinascita dell’Europa, colui che vince perché mantiene saldi i fondamenti dell’Ue, ma al tempo stesso ridà loro l’anima solidaristica originaria, colui che nelle prime dichiarazioni mostra sincero apprezzamento per gli sforzi dell’Italia sull’immigrazione, quale gesto concreto fa per primo? In che cosa si mostra nei fatti in linea con gli impegni solenni di rinascita comunitaria dei popoli europei?
Qualche decina di extracomunitari elude il confine di Ventimiglia: non più di 200, a fronte degli oltre 80.000 sbarcati nei primi sei mesi del 2017 solo in Italia. Che cosa fa la reincarnazione laica di Robert Schuman? Li fa prendere e li fa riconsegnare in Italia, come un Hollande qualsiasi alla ricerca di legittimazione a destra. Peggio: fa la lezioncina sulla distinzione fra rifugiati e migranti economici – sulla quale in Italia qualche minima nozione esiste – come un Sarkozy qualsiasi. Come dire? E come dire ai suoi acritici apologeti italiani e ai teorici del remake europeo di Obama? En retro-marche!
Alfredo Mantovano
Da “Tempi” del 7 luglio 2017. Foto da articolo