Dottore ebreo tannaita (cioè “ripetitore di detti e versetti”) di grande autorità e prestigio, vissuto ai tempi di Gesù. Ebbe il titolo di rabban, cioè di “maestro per eccellenza”. La sua santità venne proclamata, è vero, da una tradizione agiografica tarda; ma la sua figura è ben delineata da due passi degli Atti degli apostoli, i quali è probabile che si riferiscano alla stessa persona. In Atti XXII, 1-22, è riportato un discorso di Paolo ai Giudei nel quale, con loro scandalo, racconta della propria formazione, dell’accanimento con cui perseguitava i cristiani e poi della propria conversione. Qui egli afferma: «Io sono un giudeo nato a Tarso di Cilicia, ma allevato in questa città, istruito ai piedi di Gamaliele nell’esatta osservanza della legge dei nostri padri, zelante della legge come siete voi tutti». È azzardato pensare che l’incontro di Damasco sia stato preparato da quel lontano insegnamento? E altrove (V, 30-39) si legge, a proposito di una riunione del Sinedrio: «Ma uno del consiglio, Gamaliele, fariseo, dottore della legge, onorato da tutto il popolo, ordinò che gli apostoli fossero per un po’ messi fuori. Poi disse: “Uomini di Israele, badate bene a quel che state per fare di questi uomini… Lasciateli andare, perché se il fatto loro è opera di uomo cadrà da sé; ma, se è opera di Dio, voi non potrete distruggerla; e correte il pericolo di combattere contro Dio stesso!”». Il suo invito alla moderazione e all’attenzione fu, purtroppo solo per il momento, accolto. Se visse abbastanza, fece in tempo a vedere, dai frutti, quale delle due alternative prospettate fosse quella valida: non era opera d’uomo, era opera di Dio.
Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,
Pacini, Pisa 2005, pp. 10-11