di Maurizio Milano
Da Matteo Renzi a Silvio Berlusconi, passando per Beppe Grillo, sembrano non esserci dubbi. Quando il gioco si fa duro, entra in campo lo Stato, hegeliana incarnazione dello Spirito. Un tempo ci si domandava: “moriremo tutti democristiani?”. Oggi la domanda è diventata: “moriremo tutti hegeliani?”.
Da sinistra a destra dello schieramento politico, e non solamente in Italia, il giro mentale è sempre lo stesso: “lo Stato dovrebbe…il Governo potrebbe…”. A tal proposito, il filosofo cattolico francese Gustave Thibon (1903-2001) ammoniva: “per dare tutto a tutti bisogna essere Dio, oppure avere solamente il nulla da offrire“. E lo Stato, aggiungiamo noi, non è Dio. Men che meno lo sono i politici.
Lo Stato può certamente “redistribuire” la ricchezza creata dalle famiglie e dalle imprese: da una classe sociale all’altra, da un territorio all’altro, da una generazione all’altra, ma non può “creare” nuova ricchezza. Mai.
Il “reddito di cittadinanza” o, peggio ancora, il “lavoro di cittadinanza“, non fanno crescere le dimensioni della torta; al massimo possono creare consenso attraverso regalìe di Stato che non sono altro che trasferimenti coatti e poco trasparenti di ricchezza da chi la produce a chi la consuma, dai “tax payers” ai “tax consumers“: qualcuno ci guadagna, altri ci perdono. E qualcuno decide per tutti, senza chiedere il permesso a nessuno.
Per di più, le dimensioni della torta non sono indipendenti dal modo in cui questa viene tagliata: papa Leone XIII nell’enciclica Rerum Novarum del 1891, denunciando profeticamente le tragiche conseguenze, anche materiali, del social-comunismo, ebbe a dire che politiche redistributive inique avrebbero portato all'”inaridimento delle fonti stesse della ricchezza” e che “la sognata uguaglianza non sarebbe stata di fatto che una condizione universale di abiezione e di miseria“.
Per tacere degli effetti liberticidi e deresponsabilizzanti di tali politiche statalistiche, in cui la ricchezza prodotta dalle famiglie e dalle imprese viene indebitamente accentrata e gestita secondo criteri politici e clientelari.
Per avere un futuro, lo Stato ha un ruolo essenziale in ordine al bene comune: creare le condizioni favorevoli ad una crescita “dal basso” della vita economica e sociale, secondo il principio di sussidiarietà: regole chiare, tassazione equa, giustizia che funziona.
Come ricorda Leone XIII nella Rerum Novarum, “l’uomo sotto la legge eterna e la provvidenza universale di Dio è provvidenza a se stesso“. Non facciamoci comprare da un piatto di lenticchie: “tanta libertà quanta è possibile, tanto Stato quanto è necessario“.
Non abdichiamo alla nostra libertà e alla nostra responsabilità: per non “morire hegeliani“.