
Di Stefano Vecchia da Avvenire del 27/01/2021
Rapita in casa il 5 gennaio sotto gli occhi della sorella di 11 anni mentre il padre si trovava al lavoro e da allora sequestrata in casa dell’uomo considerato responsabile del crimine insieme a quattro complici. La sorte della 17enne Mashal sembra purtroppo ancora una volta simile a quella di tante giovani di fede cristiana che – come pure quelle di altre minoranze religiose – sono prese di mira da adulti in cerca di una compagna temporanea o stabile, di una “moglie”, e per questo vengono strappate alla famiglia, stuprate e poi costrette al matrimonio con rito islamico.
Una sorte che le “espropria” dalla famiglia d’origine, che raramente riesce a ottenere giustizia e il ritorno a casa della ragazza. Ma sempre di più, nel Paese, la famiglia denuncia. È quanto ha fatto il padre che si è rivolto alla stazione di polizia di Mohallah Raja Sultan Rawalpindi, quartiere con preponderante popolazione musulmana della città di Rawalpindi. Alle richieste accorate di Rafique Masih, i poliziotti hanno risposto tentando di minimizzare il caso e ridicolizzando la famiglia, avviando con ritardo le indagini.
Questo nonostante il presunto responsabile, Muhammad Hamza, sia noto e ci siano testimoni oculari del rapimento. Per questo, lo stesso genitore ha accusato la polizia di ritardare deliberatamente ogni tentativo di togliere la giovane ai rapitori e arrestare i responsabili. Il timore della famiglia è che possa essere stato registrato l’atto di conversione e quindi celebrato il matrimonio sulla base di un consenso che il padre ritiene sia frutto di coercizione.
«Attualmente ci sono diversi casi di sequestri di ragazze cristiane – come quelli di Huma Younus, Arzoo Raja e Maira Shahbaz, tutte giovanissime – che sono stati ripresi anche dai mass media internazionali. Tuttavia in Pakistan i genitori cristiani si sentono indifesi, e per questo si sono rivolti più volte al presidente, al primo ministro e in alcuni casi anche al capo delle forze armate, ma senza risposta», ricorda Nasir Saeed responsabile dell’associazione Claas-Uk che segue diversi casi legali che riguardano atti di prevaricazione o violenza verso i cristiani. «Spesso la polizia evita di registrare le denunce – ricorda Saeed – perché ritiene che possa appannare l’immagine del Pakistan davanti alla comunità internazionale».
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