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Il massimo dottore

6 Febbraio 2019 - Autore: Marco Tangheroni

Nacque nel 347 nelle vicinanze di Aquileia. Apparteneva ad una famiglia agiata dell’aristocrazia provinciale dell’impero romano e ricevette un’accurata formazione letteraria, perfezionata a Roma, ma, battezzato all’età di vent’anni, maturò presto il desiderio di dedicarsi alla vita ascetica. Realizzò questo suo proponimento trasferendosi in Oriente dove visse nel deserto, visitò i luoghi santi, si stabilì a Betlemme fondando un monastero maschile ed uno femminile. Morì il 30 settembre del 420. Le sue reliquie son custodite nella basilica romana di Santa Maria Maggiore. Si conservano di lui un ricco epistolario, opere polemiche, scritti storici e traduzioni. Ma soprattutto decisiva fu la sua opera di traduttore in latino della Bibbia, dall’ebraico e dal greco (com’egli scrisse, dalla graeca fides e dalla hebraica veritas): ne fu frutto buona parte di quella Vulgata mediante la quale per più di un millennio e mezzo generazioni e generazioni di cattolici han conosciuto la parola di Dio. I padri del Concilio di Trento definirono «autentica» questa versione, quale espressione di un uso plurisecolare nella Chiesa. Nel Medioevo fu definito doctor maximus, cioè il più grande interprete della Scrittura. È stato anche uno dei grandi maestri dell’ascetismo cristiano. E come tale l’arte cristiana non si è stancata di raffigurarlo, pur contemporaneamente intento alla sua opera di scrittore e traduttore. Spesso è accompagnato da un leone, cui avrebbe tolto una spina e del quale sarebbe divenuto amico; anacronistico è ovviamente il cappello cardinalizio che sovente gli viene attribuito. La rappresentazione storicamente più fondata è quella in cui appare con la Chiesa in mano, in quanto di essa sostegno ed aiuto. Per i critici laici egli eccedette nelle polemiche, da precursore di quel “fondamentalismo” tanto temuto ed avversato. Per i cattolici, invece, le sue stesse esitazioni tra una cultura “ciceroniana” e una cultura cristiana (egli stesso racconta una visione in cui la fedeltà alla prima gli viene rimproverata) prospettano i reali problemi di una cultura che sappia cristianizzare la pur importante scientifica.

Marco Tangheroni,
Cammei di santità. Tra memoria e attesa,

Pacini, Pisa 2005, p. 47

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