Ricorre quest’anno il 60esimo anniversario della lettera enciclica Mater et Magistra di san Giovanni XXIII, pubblicata nel 1961 per commemorare i 70 anni dalla celebre enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Terminata la fase della ricostruzione post-bellica e intrapreso un sentiero di industrializzazione e di forte crescita economica, il mondo moderno apre nuove sfide, a cui il Magistero pontificio risponde confermando la validità dei princìpi della dottrina sociale della Chiesa, con gli aggiornamenti resi necessari dal mutato contesto sociale, economico e politico
di Maurizio Milano
«Madre e maestra di tutte le genti, la Chiesa universale è stata istituita da Gesù Cristo perché tutti, lungo il corso dei secoli […] trovassero pienezza di più alta vita e garanzia di salvezza», così esordisce l’enciclica Mater et Magistra di S.S. Giovanni XXIII (1958-1963). «Benché dunque la santa Chiesa abbia innanzi tutto il compito di santificare le anime e di renderle partecipi dei beni di ordine soprannaturale, essa è tuttavia sollecita delle esigenze del vivere quotidiano degli uomini, non solo quanto al sostentamento ed alle condizioni di vita, ma anche quanto alla prosperità ed alla civiltà nei suoi molteplici aspetti e secondo le varie epoche» (n.2). Papa Roncalli elogia l’enciclica Rerum Novarum, riconoscendola come «insigne documento di […] dottrina ed azione» (n.5), confermandone la persistente validità anche nei tempi nuovi (n.6) e definendola «una somma del cattolicesimo in campo economico-sociale» (n.9).
In una fase storica caratterizzata dal veloce passaggio da un’economia agricola a una forte crescita industriale, con conseguenti profonde trasformazioni anche a livello sociale, Giovanni XXIII ribadisce la centralità del lavoro, «che deve essere valutato e trattato non già alla stregua di una merce, ma come espressione della persona umana» (n.10), e conferma la centralità della «proprietà privata, anche dei beni strumentali […] un diritto naturale che lo Stato non può sopprimere. Ad essa è intrinseca una funzione sociale, e però è un diritto che va esercitato a vantaggio proprio e a bene degli altri» (n.11). Ribadisce poi la ragion d’essere dello Stato nell’«attuazione del bene comune nell’ordine temporale» (n.12), affinché «i rapporti di lavoro siano regolati secondo giustizia ed equità, e che negli ambienti di lavoro non sia lesa, nel corpo e nello spirito, la dignità della persona umana» (n.13). Il Pontefice ribadisce inoltre il diritto naturale «di dar vita ad associazioni o di soli operai o miste di operai e padroni, come pure il diritto di conferire ad esse la struttura organizzativa che ritengono più idonea a perseguire i loro legittimi interessi economico – professionali e il diritto di muoversi autonomamente e di propria iniziativa all’interno di esse per il proseguimento di detti interessi» (n.14). Princìpi già ripresi e confermati nell’enciclica Quadragesimo Anno promulgata da S.S. Pio XI nel 1931, in occasione del 40esimo anniversario della Rerum Novarum, indicando come «criterio supremo delle attività e delle istituzioni del mondo economico […] la giustizia e la carità sociali» (n.26).
Giovanni XXIII elenca i grandi mutamenti del periodo post-bellico, dalla «scoperta dell’energia nucleare, le sue prime applicazioni a scopi bellici, la successiva crescente sua utilizzazione ad usi civili; le possibilità sconfinate aperte dalla chimica nelle produzioni sintetiche; l’estendersi dell’automatizzazione e dell’automazione nel settore industriale e in quello dei servizi; la modernizzazione del settore agricolo; la quasi scomparsa delle distanze nelle comunicazioni per effetto soprattutto della radio e della televisione; l’accresciuta rapidità nei trasporti» (n.35). Papa Roncalli evidenzia anche le profonde trasformazioni intervenute in campo sociale: «lo sviluppo dei sistemi d’assicurazione sociale, e, in alcune comunità politiche economicamente sviluppate, l’instaurazione di sistemi di sicurezza sociale; il formarsi e l’accentuarsi nei movimenti sindacali di un’attitudine di responsabilità in ordine ai maggiori problemi economico-sociali; un progressivo elevarsi della istruzione di base; un sempre più diffuso benessere; la crescente mobilità sociale e la conseguente riduzione dei diaframmi fra le classi; l’interessamento dell’uomo di media cultura ai fatti del giorno su raggio mondiale. Inoltre l’aumentata efficienza dei sistemi economici in un numero crescente di comunità politiche, mette in maggiore risalto gli squilibri economico-sociali tra il settore dell’agricoltura da una parte e il settore dell’industria e dei servizi dall’altra; fra zone economicamente sviluppate e zone economicamente meno sviluppate nell’interno delle singole comunità politiche; e, su piano mondiale, gli squilibri economico-sociali ancora più stridenti fra paesi economicamente progrediti e paesi economicamente in via di sviluppo» (n.36). E, ancora, in campo politico «la partecipazione in molte comunità politiche alla vita pubblica di un numero crescente di cittadini di diverse condizioni sociali; l’estendersi e l’approfondirsi dell’azione dei poteri pubblici in campo economico e sociale. Si aggiunge inoltre, sul piano internazionale, il tramonto dei regimi coloniali e il conseguimento dell’indipendenza politica dei popoli d’Asia e d’Africa; il moltiplicarsi e l’infittirsi dei rapporti tra i popoli e l’approfondirsi della loro interdipendenza; il sorgere e lo svilupparsi di una rete sempre più ricca di organismi a dimensioni anche mondiali, con tendenza ad ispirarsi a criteri soprannazionali: organismi a finalità economiche, sociali, culturali, politiche» (n.38).
L’obiettivo della Mater et Magistra, precisa Giovanni XXIII, è quello di «ribadire e precisare punti di dottrina già esposti dai nostri predecessori, e insieme enucleare ulteriormente il pensiero della Chiesa in ordine ai nuovi e più importanti problemi del momento» (n.38). Viene ribadito che«il mondo economico è creazione dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, operanti individualmente o variamente associati per il perseguimento di interessi comuni» (n.39), con una funzione dei poteri pubblici ispirata al “principio di sussidiarietà” formulato da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo anno» (n.40): «la presenza dello Stato in campo economico, anche se ampia e penetrante, non va attuata per ridurre sempre più la sfera di libertà dell’iniziativa personale dei singoli cittadini, ma anzi per garantire a quella sfera la maggiore ampiezza possibile nell’effettiva tutela, per tutti e per ciascuno, dei diritti essenziali della persona; fra i quali è da ritenersi il diritto che le singole persone hanno di essere e di rimanere normalmente le prime responsabili del proprio mantenimento e di quello della propria famiglia; il che implica che nei sistemi economici sia consentito e facilitato il libero svolgimento delle attività produttive» (n.42). «L’esperienza infatti attesta che dove manca l’iniziativa personale dei singoli vi è tirannide politica; ma vi è pure ristagno dei settori economici diretti a produrre soprattutto la gamma indefinita dei beni di consumo e di servizi che hanno attinenza, oltre che ai bisogni materiali, alle esigenze dello spirito: beni e servizi che impegnano, in modo speciale, la creatrice genialità dei singoli. Mentre dove manca o fa difetto la doverosa opera dello Stato, vi è disordine insanabile, sfruttamento dei deboli da parte dei forti meno scrupolosi» (n.44).
Si apprezza la crescita dell’articolazione del corpo sociale in termini di maggiore partecipazione e vitalità, una tendenza che «ha dato vita, soprattutto in questi ultimi decenni, ad una ricca gamma di gruppi, di movimenti, di associazioni, di istituzioni a finalità economiche, culturali, sociali, sportive, ricreative, professionali, politiche, tanto nell’interno delle singole comunità nazionali, come sul piano mondiale». Tutto questo è «frutto ed espressione di una tendenza naturale, quasi incontenibile, degli esseri umani: la tendenza ad associarsi per il raggiungimento di obiettivi che superano le capacità e i mezzi di cui possono disporre i singoli individui» (n.46). Affinché tale processo di «socializzazione» porti frutti positivi, «si richiede che negli uomini investiti di autorità pubblica sia presente ed operante una sana concezione del bene comune; concezione che si concreta nell’insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona» (n.51). «Inoltre riteniamo necessario che i corpi intermedi e le molteplici iniziative sociali, in cui anzitutto tende ad esprimersi e ad attuarsi la socializzazione, godano di una effettiva autonomia nei confronti dei poteri pubblici» (n.52).
Sul tema del lavoro e degli squilibri economico-sociali, riafferma la necessità che «ai lavoratori venga corrisposta una retribuzione che loro consenta un tenore di vita veramente umano e di far fronte dignitosamente alle loro responsabilità familiari [e che] si abbia riguardo al loro effettivo apporto nella produzione e alle condizioni economiche delle imprese e alle esigenze del bene comune delle rispettive comunità politiche» (n.58), in modo che «degli incrementi produttivi abbiano a partecipare tutte le categorie di cittadini» (n.60). La prospettiva dovrebbe essere quella «che i lavoratori nelle forme e nei gradi più convenienti possano giungere a partecipare alla proprietà delle stesse imprese» (n.64), in modo che possano «partecipare attivamente alla vita delle imprese, nelle quali sono inseriti e operano», affinché «l’impresa divenga una comunità di persone nelle relazioni, nelle funzioni e nella posizione di tutti i suoi soggetti» (n.78). Giovanni XXIII riafferma il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi, «perché è diritto naturale fondato sulla priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società. Del resto, vano sarebbe ribadire la libera iniziativa personale in campo economico, se a siffatta iniziativa non fosse acconsentito di disporre liberamente dei mezzi indispensabili alla sua affermazione. Inoltre, storia ed esperienza attestano che nei regimi politici, che non riconoscono il diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi, sono compresse o soffocate le fondamentali espressioni della libertà; perciò è legittimo dedurre che esse trovino in quel diritto garanzia e incentivo» (n.96): l’auspicio è quello di «una più larga diffusione della proprietà privata» (102). Con riferimento alla «proprietà pubblica», pur ribadendone la legittimità (n.103), si ribadisce il principio di sussidiarietà «per cui lo Stato ed altri enti di diritto pubblico non devono estendere la loro proprietà se non quando lo esigono motivi di evidente e vera necessità di bene comune, e non allo scopo di ridurre e tanto meno di eliminare la proprietà privata» (n.104): la giustificazione dell’«azione dei poteri pubblici» rimane, come sempre, il bene comune (n.137). Si richiama poi la «gerarchia dei valori», per cui «i progressi scientifico-tecnici, lo sviluppo economico, i miglioramenti nelle condizioni di vita […] non sono né possono essere considerati valori supremi» (n.162), per quanto siano ovviamente importanti e desiderabili.
Con riferimento al preteso «squilibrio tra popolazione e mezzi di sussistenza», a cui si vorrebbe far fronte con «drastiche misure elusive o repressive della natalità» (n.162), Giovanni XXIII ridimensiona le preoccupazioni del tempo e afferma con saggezza che «troppo incerti ed oscillanti sono gli elementi di cui si dispone per poterne trarre conclusioni sincere» (n.175), ricordando che «la soluzione di fondo del problema non va ricercato in espedienti che offendono l’ordine morale stabilito da Dio e intaccano le stesse sorgenti della vita umana, ma in un rinnovato impegno scientifico-tecnico da parte dell’uomo ad approfondire ed estendere il suo dominio sulla natura. I progressi già realizzati dalle scienze e dalle tecniche aprono su questa via orizzonti sconfinati» (n.176): «la vera soluzione si trova soltanto nello sviluppo economico e nel progresso sociale, che rispettino e promuovano i veri valori umani, individuali e sociali […] conformemente alla dignità dell’uomo e a quell’immenso valore che è la vita dei singoli esseri umani; e nella collaborazione su piano mondiale che permetta e favorisca una ordinata e feconda circolazione di utili cognizioni, di capitali, di uomini» (n.179). Si riafferma poi il principio della sacralità della vita umana e della centralità della famiglia fondata sul matrimonio (nn.180-181).
A seguito della sempre maggiore interconnessione della famiglia umana, Papa Roncalli ricorda che «ogni problema umano di qualche rilievo, qualunque ne sia il contenuto, scientifico, tecnico, economico, sociale, politico, culturale, presenta oggi dimensioni soprannazionali e spesso mondiali» (n.186), da cui consegue l’esigenza di una crescente intesa e collaborazione tra le comunità politiche (n.187). Il mancato riconoscimento di un «comune ordine morale» rende ardua la reciproca fiducia tra gli uomini e tra gli Stati»; tale ordine non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra» (n.193).
Si ribadisce la condanna delle «ideologie che dell’uomo considerano soltanto alcuni aspetti e, spesso, i meno profondi. Giacché non tengono conto delle inevitabili imperfezioni umane, come la malattia e la sofferenza; imperfezioni che i sistemi economico-sociali anche più progrediti non possono eliminare. Vi è poi la profonda ed inestinguibile esigenza religiosa che si esprime ovunque e costantemente, anche quando è conculcata con la violenza o abilmente soffocata» (n.198).Condanna l’«assurdo tentativo di voler ricomporre un ordine temporale solido e fecondo prescindendo da Dio, unico fondamento sul quale soltanto può reggere» come «l’aspetto più sinistramente tipico dell’epoca moderna» (n.202).
In conclusione, Papa Roncalli ribadisce la perenne validità della dottrina sociale della Chiesa, che pone i «singoli esseri umani» e non l’”uomo” astrattamente inteso come «il fondamento, il fine e i soggetti di tutte le istituzioni» (n.203), definendola come «parte integrante della concezione cristiana della vita» (n.206), auspicandone lo studio, la traduzione in termini concreti nella realtà e la massima diffusione possibile (nn.207-209). Anche il metodo ha la sua importanza, secondo l’ordine proposto «vedere, giudicare, agire» (n.217), con un ruolo centrale dei fedeli laici: l’avvertenza è che non ci si logori «in discussioni interminabili e, sotto il pretesto del meglio e dell’ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è possibile e perciò doveroso» (n.219), senza però cedere a compromessi sul piano dei «principi e delle direttive della dottrina sociale cristiana». In tal modo si potrà contrastare quel netto contrasto, già denunciato da Papa Pio XII, «fra l’immenso progresso scientifico-tecnico ed un pauroso regresso umano» (n.224), tipico dell’epoca moderna, «percorsa e penetrata da errori radicali, straziata e sconvolta da disordini profondi» (n.238).
A sessant’anni dalla Mater et Magistra, in un mondo che muore, diviene fonte di speranza ricordare, cioè “dare di nuovo al cuore” quei princìpi immortali a cui ispirarsi per l’edificazione di un mondo nuovo, secondo il cuore di Dio.
Venerdì, 05 novembre 2021