Davvero Melania Trump si mostrerebbe più favorevole all’aborto del marito, e per meri calcoli elettoralistici? Analisi dell’ennesimo tentativo, da parte dei “cattolici democratici” italiani, di condizionare la percezione che gli ambienti ecclesiali nostrani hanno della campagna elettorale di Trump. Ma in Italia difetta anche la conoscenza del “diritto costituzionale” americano
di Marco Respinti
Il 5 ottobre, a p. 13, Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, anticipa una “frase bomba” sull’aborto che proverrebbe dal libro di memorie di Melania Trump, consorte dell’ex-presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, il 5 novembre, cercherà di tornare alla Casa Bianca sfidando Kamala Harris. In realtà Avvenire ripete solo quanto pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian e quel che tutta la stampa sta riecheggiando in queste ore.
Già il libro dell’ex-First Lady vi appare come un oggetto misterioso. Nessuno ne cita il titolo: quello esatto compare solo sul sito della sua casa editrice, la Skyhorse Publishing di New York. Il titolo è Melania, scritto tutto maiuscolo in bianco, su campo nero fitto, fine. L’editore non è esattamente un colosso. Lo distribuisce sì un potere forte del mondo librario, la Simon & Schuster, ma la Skyhorse è nota solo per aver tentato di riportate in auge i classici dimenticati. Questo attiene però al “folclore”, forse. La frase ripetuta da tutti, Avvenire compreso, invece no. Questa frase, tradotta in maniera più accurata di quanto faccia il “giornalista collettivo”, recita così: «Perché una persona qualsiasi che non sia la donna stessa dovrebbe avere il potere di decidere cosa fare del proprio corpo? Il diritto fondamentale della donna alla libertà individuale, alla propria stessa vita, le garantisce l’autorità di terminare la gravidanza, se lo desidera».
Niente di originale, quindi: il solito peana e la solita fallacia logica. Ammesso e non concesso davvero che il corpo di una persona appartenga a quella persona, certamente anche una persona che pensi di avere la proprietà del proprio corpo non pensa di avere pure la proprietà del corpo di un’altra persona. Dunque per certo non appartiene a una donna il corpo della creatura che porta in grembo. Anche in base al ragionamento di Melania tale creatura ha la proprietà del proprio corpo e questa non spetta di certo, sempre in base al ragionamento di Melania, alla madre.
«Le sue parole», scrive Avvenire, «irrompono nella campagna presidenziale del marito che, questa è l’idea di molti, ha utilizzato la consorte 54enne per riconquistare l’elettorato femminile ancora arrabbiato per la sentenza della Corte Suprema che, a giugno 2022, ha svuotato di legittimità federale il diritto all’aborto». Vera o no la ricostruzione, un lettore del quotidiano dei vescovi italiani si attenderebbe da esso qualcosa di diverso dallo scrivere che il massimo tribunale degli Stati Uniti avrebbe «svuotato di legittimità federale il diritto all’aborto», quando pochi giorni prima il Papa stesso è tornato a definire l’aborto omicidio e sicari i suoi operatori. Certo, la cronaca vive di presunta “terzietà”, ma l’uso dei vocaboli è da sempre maestro nell’indirizzare il pensiero profondo del lettore e nel far intravedere le simpatie dello scrivente. Come quando, poco più avanti, il quotidiano dei vescovi prosegue così: «L’ex-presidente, lo ricordiamo, si è più volte vantato di aver costruito all’interno del Tribunale Supremo la maggioranza conservatrice che, rottamando la sentenza “Roe v Wade” del 1973, ha stravolto le politiche sull’interruzione volontaria della gravidanza negli Stati Uniti». “Stravolto” è un verbo negativo, e fa davvero male vederlo utilizzare così su una testata di ispirazione cattolica, sotto la direzione dei vescovi del proprio Paese. Ma quel che segue è peggio.
«Quel pronunciamento», continua infatti Avvenire, «si è rivelato per il tycoon un punto debole: le profonde divisioni causate nell’opinione pubblica e la delusione dei repubblicani aperti all’istanza pro-choice lo hanno costretto ad aggiustare le sue posizioni anche a rischio di scontentare il mondo pro-life. Il mantra che domina i suoi comizi è che spetta ai singoli Stati, non al governo federale, decidere sull’aborto». Vera o no anche questa ricostruzione, il punto nodale è che il rimandare agli Stati dell’Unione nordamericana la questione dell’aborto non è una decisione “strampalata” da parte un Trump in retromarcia rispetto a se stesso, bensì esattamente quanto stabilito dalla Corte Suprema, la più conservatrice, pro-life e persino cattolica che gli Stati Uniti abbiano mai avuto (grazie, lo ricordiamo, alle nomine firmate proprio da Trump), attraverso la sentenza nel caso «Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization» del 24 giugno 2022.
L’introduzione negli Stati Uniti dell’aborto il 22 gennaio 1973 avvenne attraverso un’altra sentenza della Corte Suprema (di ben altra composizione), giunta a conclusione del famoso caso «Roe v. Wade», che però – come invece molti erroneamente credono – non varò positivamente una norma che legalizzasse l’aborto per il semplice motivo che negli Stati Uniti, come in qualunque altro Paese dove vige la separazione fra i poteri dello Stato, la magistratura non ha il potere di fare le leggi quando non esistessero. Già allora, com’è stato correttamente detto più volte, la Corte Suprema travalicò il proprio mandato (disse che “nelle penombre” della Costituzione era sancito un “diritto a dare la morte” che non c’è), figuriamoci se avesse davvero varato una norma.
Le leggi le fanno i parlamenti (negli Stati Uniti il Congresso federale di Washington, articolato in Senato e Camera) e non la Corte Suprema. Nel 1973 la Corte Suprema “semplicemente” stabilì non essere illegale abortire, quindi gli Stati dell’Unione, uno dopo l’altro, simultaneamente, quasi in contemporanea, recepirono la decisione, inficiando e bloccando le leggi che vigevano negli Stati a difesa della vita umana nascente.
Negli Stati Uniti non c’è mai stata la legalizzazione dell’aborto, bensì la dichiarazione di non-illegalità dello stesso. Può sembrare lana caprina, ma non lo è. È infatti per questo che l’Amministrazione Biden e Kamala Harris desiderano ardentemente (ma finora sono stati sconfitti) varare una norma scritta che legalizzi esplicitamente l’aborto. Se è lecito auto-citarsi, ho dettagliatamente spiegato la questione in tre articoli pubblicati sul sito del Centro Studi Rosario Livatino, poi confluiti in un saggio per il periodico Cristianità.
Tutto ciò attiene all’architettura federale del Paese, al rule of law, alla separazione fra i poteri. Pubblicare una norma di senso contrario a quello agognato dai “dem” sarebbe l’unico modo per mettere la vita al riparo dalla tirannide del voto, cioè dalla relativizzazione dei princìpi non negoziabili. Proprio per questo molti giovani pro-life americani chiedono che il Congresso legiferi a favore della vita nascente, ma al momento nessuno, pur simpatizzando fortissimamente con loro, li segue sul punto. Nemmeno la Corte Suprema più conservatrice, pro-life e persino cattolica che gli Stati Uniti abbiano mai avuto. Ma sono ragazzi, ci mancherebbe.
Martedì, 8 ottobre 2024