Da Tempi del 26/06/2018. Foto da articolo
Tutti contro tutti. È la sintesi perfetta del pre-vertice europeo sul tema dell’immigrazione che si è tenuto domenica a Bruxelles tra 16 paesi e nel quale non è stato raggiunto alcun accordo. «Che non ci sia neanche un’ipotesi di strada comune da percorrere su un tema così cruciale, che decide le sorti dei governi e delle elezioni nei principali paesi europei, è un fallimento. Dimostra ancora una volta che l’Ue è sicuramente un’unione monetaria, ma non politica. Ognuno pensa esclusivamente ai propri problemi, non esistono intenti comuni». È sconsolato Alfredo Mantovano, magistrato, già sottosegretario di Stato del ministero degli Interni tra il 2001 e il 2006 e tra il 2008 e il 2011. Commentando a tempi.it il summit e la politica del governo giallo-verde sul tema dell’immigrazione dichiara: «Siamo comunque messi meglio di due anni fa. La fermezza di Matteo Salvini è solo un primo passo, ovviamente: crea dissidi e malumori in Europa, ma è necessario».
L’Italia ha proposto di aprire hotspot nei paesi di transito, per verificare chi è un rifugiato politico e chi no, e di redistribuire tra tutti i paesi europei chi ha diritto d’asilo e i pochi che riusciranno ugualmente a sbarcare sulle coste europee con mezzi di fortuna. Cosa pensa di questa soluzione?
Questa era un’ipotesi di lavoro già nel governo di cui ho fatto parte: non è certo una proposta originale, ma è di buon senso. Chi è perseguitato o scappa dalla guerra o da crisi umanitarie deve ottenere protezione e l’ideale è fare una selezione a monte, per poi garantire il trasporto di queste persone nei paesi europei. In questo modo è più semplice fare una ripartizione proporzionale e garantire la sicurezza delle persone, strappandole al controllo degli schiavisti. Ma perché venga realizzata, e perché vengano convinti paesi come Libia o Tunisia, c’è bisogno del peso politico di una Unione Europea compatta, che dovrebbe affrontare in modo unito anche la copertura economica di una simile operazione, che avrebbe un costo importante.
Con la Turchia un accordo simile è stato raggiunto velocemente: perché non è possibile farlo con la Libia?
Chi si imbarca dalla Turchia alla volta della Grecia ha solitamente come obiettivo quello di raggiungere la Germania. È vero che i tedeschi hanno aperto le porte nel 2015, ma le hanno richiuse presto. L’accordo con la Turchia è funzionale soprattutto agli interessi della Germania, che ha un altro peso politico rispetto all’Italia e che è riuscita a far passare l’accordo nonostante i costi ingenti (sei miliardi) e nonostante i rifugiati in Turchia non siano trattenuti in condizioni ottimali.
E per quanto riguarda la Libia?
L’atteggiamento degli altri paesi europei verso l’Italia è sempre lo stesso: sono affari vostri perché Libia e Tunisia sono vostri dirimpettai. Il fallimento del pre-vertice di domenica è il fallimento della mediazione europea.
Intanto il ministro degli Interni, Matteo Salvini, continua a usare la linea dura con le navi delle Ong che caricano i migranti spingendosi troppo vicino alle acque territoriali libiche. È la strategia giusta?
Più che altro direi necessaria. Per quanto il ministro Minniti abbia condotto delle politiche efficaci, trovando un accordo con i capi clan e tribù libici perché contenessero le partenze, ha messo più che altro una toppa. Non si tratta di una soluzione viabile a medio e lungo termine. Negli anni precedenti, i governi hanno sempre lanciato questo messaggio ai paesi del Mediterraneo e al resto d’Europa: non vi preoccupate, tanto ci pensiamo noi. L’Europa si è abituata a considerare questo problema come esclusivamente italiano, perché gli ultimi governi non hanno mai posto seriamente il tema. È normale che ora i nostri partner europei siano irritati davanti al cambio di politica ed è inevitabile che l’Italia richiami al rispetto delle regole.
Quali?
Nessuna persona di buon senso può immaginare che Malta faccia da hotspot europeo, perché ha una superficie territoriale troppo piccola e una popolazione troppo esigua. Però Malta riceve ingenti fondi internazionali per svolgere operazioni Sar (Searche and Rescue) nel tratto di Mediterraneo di sua competenza. Non possono sempre rifiutarsi di accogliere i migranti, incassando con una mano i fondi e con l’altra respingendo i barconi e le navi delle Ong.
Il governo ha fatto bene a vietare all’Aquarius di attraccare nei porti italiani?
Penso di sì. Anche le Ong devono rispettare le regole: un conto è seguire le leggi del mare, che impongono il soccorso a chi è in difficoltà, un altro è caricare direttamente i migranti nelle acque territoriali libiche. Questo non è soccorso, ma concorso nel reato di immigrazione clandestina. È chiaro che il pugno duro può essere solo un punto di partenza, non si può gestire il problema dell’immigrazione solo con i bracci di ferro. Ma da qualche parte bisogna cominciare. Se oggi altri paesi europei, a partire dalla Spagna, si pongono il problema di aprire i porti è solo grazie alla nuova fermezza del governo italiano, sconosciuta in passato.
L’obiettivo è trovare un accordo politico nell’Ue. Ma se, come sembra, sarà impossibile, cosa potrebbe fare il governo?
L’Italia dovrà vedersela da sola e cercare di fare accordi bilaterali con le varie realtà libiche, con la Tunisia e l’Egitto. Potrebbe anche stringere un accordo con il blocco dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo, anche se in questo momento le divergenze politiche con Francia e Spagna mi sembrano molto grandi. L’alternativa è cercare solidarietà dal gruppo Visegrad, anche se loro hanno obiettivi diversi dai nostri. Servirà molta pazienza e determinazione per trovare un accordo. Dal punto di vista degli interessi italiani, però, mi sembra che siamo messi meglio oggi rispetto a due anni fa, quando piegavamo la testa senza neanche alzare la voce. Il confronto aspro di questi giorni è la premessa necessaria al raggiungimento di un accordo.
Leone Grotti