Da La bianca Torre di Ecthelion del 23/10/2018. Foto da articolo
“Si avvisa la gentile clientela che gli aborti in programma oggi sono stati cancellati”. È quello che dal 1° ottobre è capitato alla clinica gestita a Columbia, nel Missouri, dalla Planned Parenthood (PP), il maggior abortificio mondiale. Lo stesso è avvenuto nell’abortificio gestito dalla PP a Kansas City, sempre in Missouri. Come mai? Perché dal 2005 in Missouri c’è una legge che, se applicata, produce questo effetto. La legge è stata bloccata nel 2017, ma adesso è tornata in pieno vigore. Risultato, in Missouri gli abortifici chiudono. Oggi ne resta aperto uno solo, quello gestito dalla PP a St. Louis.
Negli Stati Uniti, infatti, le cliniche dove si praticano aborti debbono possedere (come tutte le altre strutture mediche) il “privilegio di ammissione” a un ospedale. Con “privilegio di ammissione” si indica il diritto di un medico, conseguente al fare parte del personale sanitario di un determinato ospedale, di ammettere i pazienti a un ospedale o a un centro medico che forniscano servizi diagnostici o terapeutici specifici ed evidentemente non disponibili in altra struttura dove il suddetto medico si trovi a operare. Ogni ospedale ha dunque un proprio elenco di operatori sanitari convenzionati con “privilegio di ammissione”. Il criterio è quello di garantire sempre a tutti i pazienti tutta la sicurezza e tutta l’assistenza possibili, anche in casi di urgenza. Può darsi infatti che una certa struttura clinica non disponga di tutte le tecnologie e le risorse che garantiscano il massimo della sicurezza e dell’assistenza ai pazienti, e che dunque, per potere operare secondo la legge, debba appoggiarsi a una struttura esterna meglio equipaggiata. Questo non inibisce affatto le strutture meno attrezzate eppure in grado di offrire servizi sanitari di qualità: esige solo che, per fornire proprio quei servizi di qualità, le cliniche meno attrezzate siano preparate a fronteggiare imprevisti e necessità ulteriori, operando nel pieno rispetto della legge per la tutela completa dei pazienti. Buonsenso puro in nome della trasparenza, dell’efficienza e della tranquillità dei cittadini.
Un caso da manuale sono appunto gli abortifici: strutture in grado di sopprimere i bambini nel ventre delle loro madri, ma non di gestire le emergenze sanitarie perché non dispongono dell’attrezzatura di cui invece dispone un ospedale vero. Per questo la legge impone, a esse come a ogni altra struttura medica, di organizzarsi in modo da garantire tutta la sicurezza e tutta l’assistenza possibili alle madri che sopprimono il figlio che portano in grembo appoggiandosi a centri sanitari maggiori e migliori:
Ebbene, una regola varata per la prima volta dallo Stato del Missouri nel 2005, presente negli Statuti revisionati nel 2005 di quello Stato, Titolo XII, Public Health and Welfare, cap. 188, Regulation of Abortions, § 188.080, Abortion performed by other than a physician with surgical privileges at a hospital, a felony, stabilisce che il “privilegio di ammissione” dei medici abortisti si eserciti tassativamente entro 30 miglia dalla clinica abortista in cui operano. Un altro purissimo e ragionevolissimo criterio sanitario. Se infatti si presentasse la necessità di un intervento d’urgenza, 50 chilometri di distanza sono persino troppi.
Nel maggio 2017, però, il tribunale del Distretto occidentale del Missouri aveva accolto un ricorso della PP e temporaneamente bloccato questa legge di buonsenso vigente nel Missouri. In virtù di essa, la Planned Parenthood of Kansas and Mid-Missouri, oggi Comprehensive Health of Planned Parenthood Great Plains con sede a Overland Park, nel Kansas, cioè la sezione regionale della PP, ha potuto aprire la clinica di Kansas City e rilanciare quella di Columbia. Ovvero, siccome un giudice di un tribunale minore ha stabilito che una madre può subire un aborto senza che le siano garantire tutte le procedure di sicurezza e di assistenza immaginabili, possibili e doverose, la PP ha aperto abortifici dove per definizione le madri non godono affatto di tutta la sicurezza e l’assistenza che, essendo immaginabili, possibili e doverose, sono per definizione ragionevoli, auspicabili e necessarie.
È reagendo contro quest’assurdità, dunque, che, il 10 settembre, la Corte d’appello dell’8° Circuito degli Stati Uniti, un tribunale federale, ha dichiarato decaduto il provvedimento temporaneo del 2017 di modo che il Department of Health and Senior Services (DHSS), cioè il ministero della Salute e dei servizi agli anziani dello Stato del Missouri, potesse nuovamente far applicare la regola degli Statuti del 2005 a partire dal 1° ottobre 2018.
Normative analoghe sono in vigore in altri Stati dell’Unione nordamericana e in tutti gli Stati Uniti la lobby abortista cerca di farle sospendere o abolire perché – in questo hanno perfettamente ragione – sono regole che ostacolano e alla fine bloccano l’aborto. Ma il punto nodale è chiedersi perché queste regole ostacolino e alla fine blocchino l’aborto. La prima a invocare il “privilegio di ammissione” a garanzia delle madri che abortiscono dovrebbe essere infatti proprio la lobby della retorica sulla “salute riproduttiva” e sui “diritti della madre”. Invece sta accadendo l’esatto contrario. La PP punta il dito contro due elementi. Il primo è che la regola delle 30 miglia non serve a garantire alle madri abortiste maggiore sicurezza e tutela. Il secondo è che i medici abortisti non godono del “privilegio di accesso” per i propri pazienti. Ora, la prima obiezione farebbe ridere se non fosse tragica: l’aborto non è una pratica sicura per la madre se non sono disponibili tutte le attrezzature necessarie e gli imprevisti capitano più spesso di quanto si immagini.
Ma poi, davvero la PP si sente in coscienza di dire alle madri che abortiscono di far finta di niente se la clinica dove abortiscono non dispone, per definizione e per evidenza, di tutte le apparecchiature in grado di garantire loro la serenità? Quanto alla seconda obiezione, perché, vista la legge, la lobby abortista semplicemente non si serve di personale in regola? Perché il personale medico di cui si serve la lobby abortista non è in regola. Non un’opinione, ma un fatto. Stante infatti che per garantire a un medico i “privilegi di ammissione” un ospedale verifica le credenziali professionali del medico richiedente, la regolarità delle sue licenze e la storia di malasanità che possa riguardarlo, è la lobby abortista a dover dire al mondo, e alle madri cui mette le mani addosso, perché gli ospedali non garantiscano al personale abortista i “privilegi di ammissione”. Fatti salvi quei casi in cui un ospedale, per esempio gestito o fondato da una realtà religiosa, nega per ragioni morali i “privilegi di ammissione” ai medici abortisti anche se questi sono in regola. Nella stragrande maggioranza dei casi, insomma, i medici abortisti sono incapaci di stare sul mercato e pretenderebbero che il diritto chiudesse un occhio nei loro confronti, condonandone l’incuria e permettendo loro di operare in assenza di tutte quelle garanzie per i pazienti che si richiedono invece a ogni altro loro collega.
Che non siano illazioni partigiane lo dimostra proprio la citata clinica di Columbia, chiacchieratissima, clinica che ha smesso di praticare aborti perché nessun ospedale ha garantito il “privilegio di ammissione” alla dottoressa Colleen Patricia McNicholas, la quale in quella clinica pratica appunto la soppressione dei bimbi nel seno delle proprie madri, è un vera “missionaria” dell’aborto, è il tesoriere della Women in Medicine ‒ un’organizzazione che raggruppa dottoresse e studentesse in medicina rigorosamente tutte lesbiche ‒ e nel marzo 2016 organizzava appuntamenti elettorali in casa propria a favore della candidatura presidenziale di Hillary Clinton assieme all’allora presidente della PP, Cecile Richards. Del resto, quella clinica «[…] non è stata in grado di garantire i privilegi di cui deve godere un medico o di trovarne uno che ne sia in possesso dopo che una commissione medica della University of Missouri Health Care», il sistema accademico-sanitario che, con sede a Columbia, raggruppa cinque ospedali, «ha votato per rifiutarglieli completamente nel 2015». Ed è la stessa clinica che il 26 settembre è stata denunciata dal ministero della Salute del Missouri perché, durante un’ispezione finalizzata al rinnovo della licenza di aborto in scadenza, le macchine per la suzione del feto (una delle tecniche abortive consiste nell’aspirare il bambino dal ventre della madre con una specie di aspirapolvere che lo smembra) che in quella struttura sono usate per operare circa 14 aborti al mese sono state stata trovate in condizioni raccapriccianti: in particolare, una era arrugginita e i suoi tubi aspiratori contenevano muffa e sangue raggrumato rimasto dall’ultimo aborto praticato cinque giorni prima.
Quanto all’unica struttura abortista rimasta in Missouri, quella di St. Louis, ha avuto anch’essa «[…] i suoi problemi tra rapporti di ispezione falliti e un alto numero di donne ricoverate in ospedale a causa di emergenze mediche legate all’aborto», scrive Cheryl Sullenger su LifeSiteNews.
Marco Respinti