Mons. José Guerra Campos, Quaderni di Cristianità, anno I, n. 3, inverno 1985
Nel luglio del 1985 veniva introdotto l’aborto nell’ordinamento giuridico del Regno di Spagna. Di fronte all’avvenimento S. E. Rev. ma mons. José Guerra Campos, vescovo di Cuenca, prendeva posizione con una nota pastorale del 13 luglio (cfr. Aborto praticamente libero, legittimazione di un delitto, in Cristianità, anno XIII, N. 124-125, agosto-settembre 1985).
La polemica nata a proposito del documento del vescovo spagnolo ha avuto seguito in una lettera di chiarificazione dallo stesso presule inviata al quotidiano Ya e da questo non pubblicata. Tale precisazione è quindi comparsa, con il titolo Mora1 católica y monarquia constitucional. La responsabilidad moral del Rey en la sanción de las leyes, in Boletín oficial del Obispado de Cuenca, n. 8,25-7-1985. La traduzione dallo spagnolo è di Giovanni Cantoni.
Morale cattolica e monarchia costituzionale. La responsabilità morale del re nella ratifica delle leggi
Il 19 luglio Ya ha pubblicato un editoriale intitolato El Rey y la ley del aborto. Ho inviato al quotidiano una esposizione complementare, affinché la dottrina morale cattolica non restasse ridotta a semplice liberalismo. Ya non si è degnato di pubblicare tale chiarificazione. E così mi vedo obbligato a renderla pubblica in questo numero del Boletín, aggiungendo a essa un paragrafo conclusivo.
Ya, nel suo editoriale odierno, commenta la mia dichiarazione del 13 luglio relativamente alla ratifica e alla promulgazione della legge. Sottolinea questo punto come una novità. La novità, se vi è, non mi riguarda, dal momento che, nel 1983, un vescovo, molto legato a Ya, ha scritto a proposito del «grave problema di coscienza per molte persone, perché non è lecito collaborare né alla elaborazione, né alla promulgazione, né alla messa in pratica…».
L’articolo di Ya merita di avere un seguito, affinché possiamo affrontare veramente il problema morale che ci preoccupa. Ricorda in primo luogo la nota mancanza di responsabilità giuridica del re secondo la Costituzione, la sua carenza di iniziativa e di libertà per opporsi, la sua funzione puramente nominale, la sua preminenza simbolica e semplicemente rappresentativa come incarnazione sovrapartitica dello Stato.
Nell’ultimo passaggio, in cui tocca il problema, fa due affermazioni. Nella prima riconosce che «la responsabilità morale non si esaurisce nella responsabilità giuridica né delle persone né delle istituzioni». «Può anche darsi contrapposizione tra le due, come può darsi tra la legalità di una norma e la sua moralità». Riconoscimento opportuno, dal momento che il grande problema dopo la promulgazione della legge consiste precisamente nel fatto che numerosi operatori dell’aborto rimangono esenti da responsabilità giuridica, mentre permane la loro responsabilità morale, come autori di quello che la Chiesa qualifica come «abominevole delitto».
La seconda affermazione è applicabile al caso del re. Dice che per «calibrare la sua vera responsabilità morale» è giocoforza tenere conto, come fattori condizionanti, 1° dell’obbligo giuridico di agire in un senso determinato, in ragione della sua carica; 2° della necessità di ponderare, in un caso di difficile discernimento, le gravissime conseguenze di carattere generale che avrebbero potuto derivare dalle sue decisioni.
E qui si arresta l’esposizione di Ya. Che si debba tenere conto di questi fattori condizionanti è evidente, ma non basta per formare un criterio morale. Ci lascia in una ipotesi indeterminata. In primo luogo, consta che il re abbia l’obbligo giuridico di ratifica quando la legge si oppone alle garanzie esigite dalla Corte Costituzionale? E posto il fattore condizionante, esso elimina semplicemente e in ogni caso la responsabilità morale? Non si richiede nessun’altra condizione, almeno come proposito de futuro?
Una risposta comoda sarebbe che il re, in virtù del sistema costituzionale, è esente da responsabilità morale quando ratifica con passività costante e automatica tutto quanto produca tale sistema, anche nel caso che questo lo trasformi nel simbolo di uno Stato che conculca valori inviolabili.
Nel nostro caso è giocoforza non dimenticare che, finché dura la legge dell’aborto, quella che si produce non è soltanto una situazione insoddisfacente rispetto a opinioni oppure a forme costituzionali. Succede che si sta distruggendo in modo mostruoso la vita di bambini innocenti. Questo condiziona seriamente la valutazione delle conseguenze che avrebbero potuto derivarne evitandolo (è evidente che siano realmente più gravi?). Inoltre, come ha insegnato la Santa Sede, non è applicabile al caso il criterio del pluralismo democratico, perché «la vita di un bambino è più importante di tutte le opinioni; non si può invocare la libertà di pensiero per strappargliela». Non si può invocare nessuna concezione di costituzionalisti. Se una legge attacca questa vita, un re costituzionale non può dimenticare che la legge esiste con la sua ratifica e non esiste senza di essa.
Credo che Ya vorrà riconoscere che questo, anche supponendo che non predetermini in ogni momento e in modo assoluto l’agire del re, costituisce anch’esso un gravissimo condizionamento. Esclude qualsiasi immobilismo motivato dall’ordinamento costituzionale. Il criterio morale del comportamento regio deve subordinarsi alla difesa efficace dei valori inviolabili, senza trascurare di «tenere conto» di una situazione passeggera, che non potrebbe in nessun modo essere canonizzata. Questo — e non il silenzio né le generalizzazioni evasive — è l’unico comportamento degno della coscienza morale, dei fini che giustificano un ordinamento costituzionale, della istituzione monarchica e della persona che ha la titolarità della Corona. Non è comportamento degno quello di evitare un problema profondissimo e di risparmiarsi preoccupazioni; ancora meno, a costo di vite innocenti.
Ebbene, questo è quanto ho indicato — nell’attesa che altri lo sviluppassero con maggiore chiarezza — nei miei scritti del 1983 e del 1985. Trascrivo alcuni passaggi; non senza premettere che, se il re «manca di libertà per opporsi» nel quadro della Costituzione, il nostro re, tanto nell’ordine storico come in quello della responsabilità morale, è anteriore alla Costituzione e si è liberamente inserito in essa.
«Indubbiamente, la situazione oggettiva o istituzionale del monarca, che “simboleggia l’unità e la continuità dello Stato”, ha anche un alto valore morale; e questo aumenta nella stessa misura in cui supera le sue preferenze soggettive per servire la convivenza da una posizione sovrapartitica, che sanziona le preferenze soggettive legittimamente apportate dai rappresentanti della nazione. È evidente, così come è evidente che, per salvaguardare un bene superiore — l’equilibrio stabile della nazione —, l’“istanza neutrale” del re deve talora sanzionare decisioni sconvenienti, tollerate come un male minore».
«Non è meno evidente che questa neutralità vale soltanto nell’ambito di “preferenze soggettive” subordinato a determinati valori inviolabili. Senza questo riferimento morale non si giustifica nessun sistema né istituzione. Se questi portano a violarli, non è possibile accettare la loro validità. La funzione oggettiva di un capo di Stato non è di natura meccanica; si realizza attraverso la sua soggettività profonda, che decide in quali condizioni può accettare l’importantissima missione di essere “istanza neutrale” di modo che, rinunciando alle proprie preferenze soggettive, serva il bene comune. Non potrebbe accettare di essere come la chiave di volta di una costruzione che agisse come un ariete che scalza le fondamenta di quello stesso bene. Quando si colpiscono le fondamenta, trincerarsi in una normativa vigente ricorderebbe pericolosamente le ragioni addottate dagli accusati di Norimberga … Sarebbe offensivo per i collaboratori di Ya spiegare l’inconsistenza morale di questo ricorso alla legalità».
«È contraddittorio dare come buono un sistema che porti legittimamente a effetti inammissibili. Non è possibile in coscienza insediarsi tranquillamente in esso, senza fare il necessario per orientarlo e per scindere la propria responsabilità da quelle che non si possono condividere».
Secondo la dottrina immutabile della Chiesa, qualunque sia la «divisione delle funzioni istituzionali dell’autorità politica», l’esercizio di essa, «sia nella comunità in quanto tale che nelle istituzioni rappresentative, deve sempre realizzarsi all’interno dei limiti dell’ordine morale per cercare il bene comune … secondo l’ordine giuridico legittimamente stabilito o da stabilire» (Costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et spes, nn. 74-75). Non si può dare come buono nessun ordine costituzionale per cui la suprema magistratura si veda obbligata a sanzionare leggi assolutamente immorali. E questo vale anche per la monarchia parlamentare.
Pertanto, se la dottrina cattolica non deve essere sostituita da un liberalismo amorale: a. una ragione di esenzione, quando si ratifica una «gravissima violazione dell’ordine morale», se vi è, si produrrà piuttosto per condizioni soggettive che per cause oggettive, e potrà essere soltanto «eccezionalissima e, in ogni caso, transitoria»; b. come condizione permanente per la liceità morale della funzione del re o del capo dello Stato, è necessario:
– o che il re abbia facoltà di non vedersi obbligato a ratificare gravissime trasgressioni di valori assolutamente inviolabili,
– oppure che operi all’interno di una Costituzione che garantisca in modo efficace questi valori.
† José, vescovo di Cuenca
19 luglio 1985
Molte persone e istituzioni di tutta la Spagna mi hanno comunicato la loro soddisfazione di credenti per la nota pastorale del 13 luglio sulla legge dell’aborto. Non ho ricevuto nessuna comunicazione contraria. Ringrazio tutti.
Tuttavia, su alcuni giornali e presso alcune emittenti — che avevano osato nascondere al popolo la notizia della legge —, certe penne e certe voci si sono abbandonate all’insulto, con tanta rabbia quanta ignoranza. Non hanno mostrato di essere capaci di un’analisi ponderata dello scritto pastorale. Ho già detto che alle sassate e agli sputi non si risponde: si schivano. Ma come è triste la condizione di una causa che si difende con tali armi!
La luce di Dio ci illumini tutti.