Da La bianca Torre di Ecthelion del 24/01/2018. Foto da articolo
Licenziato Steven K. Bannon, Donald J. Trump lo sostituisce con Stephen Miller. In realtà, Miller è in circolazione da tempo. Era nella squadra che curò la transizione, il discorso inaugurale pronunciato dal presidente il 20 gennaio 2017 lo ha scritto lui e alla Casa Bianca è un consigliere politico ascoltato. La novità è piuttosto che adesso il boccino sulla questione immigrazione lo tiene lui. Del resto è un suo cavallo di battaglia da sempre. È stato lui, e non Bannon, l’ispiratore degli ordini esecutivi con cui Trump ha cercato di limitare l’immigrazione da certi Paesi a rischio: per motivi di sicurezza, ma la grancassa dei media anti-Trump (la maggioranza) ha sempre ciurlato nel manico chiamandoli inopinatamente “muslim ban”. Per di più, se uno fosse una linguacc
ia, insinuerebbe pure che Miller rasenta il razzismo. Quando studiava Scienze politiche alla Duke University di Durham, in North Carolina (si è laureato nel 2007), organizzò un dibattito sull’immigrazione assieme a Robert B. Spencer invitando anche Peter Brimelow: Spencer è poi diventato il re dei suprematisti bianchi e Brimelow, oriundo inglese, un tempo lontano firma di lusso di National Review, sguazza volentieri in acque simili. Miller giura che tutto finì lì, ma per i maliziosi ce n’è d’avanzo.
Nato nel 1985 in una famiglia ebraica liberal della California, Miller è diventato di destra leggendo il famosissimo Guns, Crime, and Freedom (1994) di Wayne LaPierre, CEO della National Rifle Association, che se uno è affetto da tic di sinistra apostrofa “lobby delle armi”. Politicamente, si è fatto le ossa nei quartieri “duri e puri” dell’ultima stagione del conservatorismo: prima servendo nello staff della deputata Michele Bachmann, la passionaria dei Tea Party, poi in quello dell’allora senatore Jeff Sessions, oggi ministro della Giustizia. Però non basta. Oggi, in piena “guerra civile” tra conservatori, il senatore Lindsay Graham, Repubblicano di destra ma da sempre avversario di Trump, considera Miller una iattura.
Ora, se fosse giusta la tesi secondo cui la defenestrazione di Bannon sarebbe da ascrivere al palmarès del suo acerrimo nemico, Jared Kushner, genero di Trump e anima dell’“ala globalista” delle due che si contendono la Casa Bianca, la promozione di Miller assomiglierebbe a una rivincita dell’altra ala, quella “populista”. Una rivincita dunque voluta da Trump in persona. Le somiglianze tra Miller e Bannon sono infatti molte per dire il meno. Il che spinge a chiedersi: Trump è davvero deluso da Bannon oppure è un minuetto per confondere i nemici? Nel secondo caso vorrebbe dire che il nemico in casa, il genero Kushner, è così potente da inibire persino l’esuberante suocero. L’aspetto più ironico di tutto comunque è che, tecnicamente, il capo del Miller anti-Kushner è niente meno che Kushner.
Marco Respinti