Cade la moschea simbolo dello Stato islamico, Raqqa è circondata, però la minaccia del terrorismo jihadista rimane ancora forte: la maggior parte dei finanziamenti proviene dai simpatizzanti che vivono in Occidente
Tre anni esatti dopo la sua nascita, l’Isis batte in ritirata. Cadono una dopo l’altra le sue roccaforti tra l’Eufrate e il Tigri. Ma ora la bandiera nera sventola in direzione dell’Europa.
Da ieri le forze governative irachene hanno il controllo sulle rovine della moschea Al Nuri e del minareto Al Habda di Mosul. A Bagdad esultano: «Il loro Stato fittizio è caduto». Proprio da quel luogo di preghiera e proprio il 29 giugno 2014, Abu Bakr Al Bagdadi aveva fondato il Califfato e se n’era attribuito la guida, prendendo il nome apocalittico di Ibrahim.
Di lui non si hanno più notizie, da quando i russi lo hanno dato per «probabilmente morto» in un bombardamento di fine maggio. Se anche fosse riuscito a rifugiarsi in Siria, a Raqqa, l’altra capitale dello Stato islamico, avrebbe comunque le ore contate perché le unità delle Forze democratiche siriane ieri hanno tagliato l’ultima strada di fuga dalla città. Il territorio conquistato nelle ultime ore è la riva sud dell’Eufrate, che i jihadisti utilizzavano per inoltrarsi ancora più a sud del Paese devastato dalla guerra civile.
Perduta ormai gran parte del territorio occupato e delle proprie infrastrutture, l’ Isis tuttavia non si trova a corto di armamenti e munizioni, che produceva con l’aiuto di esperti militari russi e del Caucaso. Si approvvigiona comodamente in Turchia, spiega lo studio, di prossima pubblicazione, «Il finanziamento dell’Is», a cura della direzione generale per le politiche estere del Parlamento europeo. Infatti il gruppo «rimarrà in grado di dispiegare attacchi terroristici a basso costo per colpire civili in Medio Oriente e in Europa», sostengono gli autori, convinti che «lo Stato islamico di domani» sia «un’organizzazione che riesce ad autofinanziarsi», anche se le sue disponibilità di denaro «sono sottoposte a una considerevole pressione». Per circa il 70-80% «le fonti di guadagno del gruppo non sono cambiate e continuano a dipendere da processi che si originano da idrocarburi, estorsione e “contributi”».
Sapevano di non poter reggere a lungo da soli contro tutto il mondo. Così sono corsi al riparo prima della sconfitta militare e hanno diversificato le loro entrate. Tanto da riuscire a incassare la bellezza di circa 20 milioni di dollari al mese dalle speculazioni sui mercati azionari del Medio Oriente. Dall’Iraq, afferma la sottocommissione britannica Affari Esteri, i contabili del Califfo hanno trasferito denaro liquido su conti bancari in Giordania, da dove hanno iniziato a giocare in Borsa e a investire in valuta, in particolare sul dollaro americano.
Poi quei fondi sarebbero tornati con le relative plusvalenze nelle zone controllate dall’Isis.
Sul fronte della lotta al riciclaggio del denaro e al finanziamento alla guerra santa, tuttavia, l’ impegno della comunità internazionale non sembra intenso quanto lo sforzo bellico. È un terreno di scontro meno visibile, ma altrettanto difficile quanto il campo di battaglia. Bloccata una via d’ accesso, i terroristi islamici ne cercano un’ altra.
La più sicura, finora, sono le donazioni dalla rete dei cosiddetti foreign fighters: i jihadisti stranieri «usano i loro contatti in Europa per inviare denaro all’organizzazione attraverso i loro conti correnti bancari europei».
Dopo gli attentati a New York dell’ 11 settembre 2001, le autorità statali hanno creato comitati, gruppi di studio e di intervento, hanno stabilito linee guida e modificato le loro legislazioni in materia, ma il nemico sembra sempre più rapido nelle decisioni e nei mutamenti di strategia.
Le autorità politiche sono ancora incerte sull’ opportunità di far cessare l’attività di società come Western Union o MoneyGram, che consentono l’invio di somme da uno Stato all’ altro. Potrebbe invece essere conveniente anche monitorarne i movimenti di denaro per consentire la raccolta di dati utili per l’intelligence. Nel frattempo, prolifera il fenomeno della hawala, il sistema informale – e praticamente impossibile da tracciare – di scambio di lettere di credito in uso in Asia e in Africa. Solo nel febbraio 2016 la Commissione europea ha reso noto un piano per regolamentare i metodi di trasferimento di denaro esterni al sistema bancario, a partire dalle carte di credito prepagate e anonime. Le contromisure dovrebbero essere operative entro la fine del 2017.
Gli esperti prevedono che comunque una riduzione dell’ attività economica dell’Isis potrà far sviluppare forme alternative di ricerca di denaro, come i sequestri di persona, che potrebbero avere come obiettivo giornalisti e operatori umanitari, mentre potrebbero rinsaldarsi i legami con le organizzazioni mafiose. Si sarà anche chiuso un fronte di guerra, ma qui in Europa rimaniamo in trincea.
Andrea Morigi
Da “Libero” del 30 giugno 2017. Foto da The Independent