
Da Avvenire del 31/03/2021
Intervista al Demografo francese Gérard-François Dumont
«La demografia è anche una questione di volontà politica». Per il noto demografo francese Gérard-François Dumont, professore alla Sorbona e alla guida della rivista Population et Avenir, si tratta ormai d’un principio consolidato in Europa, che anche l’Italia potrebbe adottare con convinzione per contrastare l’inverno demografico.
La Francia viene presentata come l’eccezione demografica fra i grandi Paesi Ue. È ancora vero?
La Francia è stata a lungo un’eccezione, possedendo una politica familiare che definirei globale, poiché aiutava le coppie a conservare pienamente la libertà d’avere dei figli. Purtroppo, a partire dal 2012, abbiamo conosciuto una legislatura, sotto il presidente socialista Hollande, che ha ridotto sensibilmente la politica familiare ad ogni livello, con un conseguente calo della natalità. La situazione si è considerevolmente deteriorata, anche se la Francia conserva ancora il livello di natalità più alto nell’Europa dei grandi.
Questa recente flessione sembra in ogni caso nuovamente confermare, sia pure in negativo, lo stretto legame fra politiche familiari e livello di natalità.
In effetti è così. In precedenza avevo studiato l’evoluzione parallela della fecondità in Francia e delle politiche familiari lungo 50 anni. La Francia aveva conosciuto anche altre fasi di calo della fecondità, ma in ogni caso è stato confermato lo stretto legame fra i due aspetti.
La situazione demografica italiana suscita da tempo preoccupazione. Come la inquadrerebbe sulla scena europea?
Occorre riferirsi a quegli studi comparati che mostrano da una parte il tasso di fecondità e dall’altra l’importanza dei fondi destinati alla politica familiare. In queste ricerche, la correlazione è quasi perfetta. I Paesi con le politiche familiari più generose hanno visto la loro fecondità calare molto meno degli altri. A partire da questo schema, l’Italia emerge come uno dei Paesi che scontano ancor oggi, in termini di tasso di fecondità, il volume limitato degli aiuti alle famiglie, indicato nelle statistiche europee sotto la voce ‘ budget figli-famiglie’. Purtroppo, la situazione attuale in Italia non è sorprendente.
A quali opzioni efficaci ormai consolidate potrebbe ispirarsi l’Italia?
Nell’attuale contesto, per il successo di una politica familiare, occorre innanzitutto una forte diversificazione degli strumenti impiegati. Certo, offrire degli assegni è una buona cosa, da un punto di vista finanziario. Ma al contempo, occorre sviluppare un sistema efficace d’accoglienza dei più piccoli, così come includere pure delle facilitazioni fiscali. Inoltre, lo Stato deve saper coinvolgere i Comuni, le Province e le Regioni per applicare una politica davvero favorevole ai nuclei, anche in termini di aiuti e agevolazioni per la casa. È questo ventaglio articolato d’azioni che instaura un livello sufficiente di fiducia, sulla permanenza negli anni d’una politica familiare relativamente stabile. Del resto in Francia, durante la crisi del 2008, è stata questa fiducia delle famiglie ad evitare un contraccolpo demografico negativo su grande scala. Non è stato così in Italia, Spagna e Grecia.
Da luglio, le famiglie italiane riceveranno un assegno universale per i figli. Un buon inizio?
Per il primo figlio, i fattori davvero cruciali sono la politica per assicurare un alloggio e la creazione di strutture d’accoglienza per i più piccoli. Un Paese come la Germania, ad esempio, ha adottato un sistema che investe molte risorse già per il primo figlio, ma ciò è stato seguito da scarsi effetti in termini di fecondità, nonostante un ammontare totale molto elevato delle risorse statali tedesche per le famiglie. In altri termini, per accrescere l’efficacia del sistema, occorre fare attenzione a non investire troppe risorse dirette sbilanciate sul primo figlio. Il caso tedesco potrebbe ispirare l’Italia. Concentrare una porzione eccessiva di risorse per il primo figlio, senza allargare il ventaglio delle altre misure, può rivelarsi insufficiente. Possono esistere dunque politiche familiari non ben calibrate.
Un quoziente familiare fiscale alla francese potrebbe rappresentare in Italia uno strumento efficace?
Sì, perché il quoziente ribalta lo svantaggio fiscale delle famiglie con figli. Ma in realtà, tutto il sistema fiscale, a livello nazionale così come locale, dovrebbe essere favorevole alle famiglie: occorrerebbe sempre prendere in considerazione il numero dei figli per calcolare l’ammontare di ogni imposta.
Lo Stato italiano dovrebbe essere spalleggiato pure dagli enti locali?
Senz’altro, e soprattutto dai Comuni, così strategici per le strutture d’accoglienza dei più piccoli. Spetta a loro la creazione d’un sistema locale efficace, anche se sono benvenuti pure dei fondi di sostegno da Province e Regioni.
Occorre pure rimuovere gli ostacoli a una buona conciliazione fra famiglia e vita professionale delle donne?
Certamente, perché la fecondità è sempre una questione multifattoriale. In Francia, questo fattore è divenuto cruciale. C’è stata pure un’evoluzione delle mentalità, nel senso che una giovane madre che riprende la propria attività professionale rischia oggi molto più raramente di essere stigmatizzata.
In Italia occorrerà del tempo per poter sperare di superare l’inverno demografico?
Delle buone misure ben calibrate di politica familiare possono avere effetti anche rapidi. A volte possono bastare pochi anni per invertire una tendenza al declino, ritrovando la fiducia delle famiglie. Non bisogna affatto scoraggiarsi. Ma, fra gli altri ingredienti necessari, vi è pure quello di un relativo consenso sulla questione fra le opposte famiglie politiche. Un consenso pure nel rifiuto d’un certo malthusianesimo di ritorno che circola in Europa.
L’Europa, così impegnata oggi nel rilancio dell’economia, è rimasta un po’ troppo passiva sul fronte delle politiche familiari?
Direi di sì e si può qui additare anche un particolare orientamento ideologico. A mio avviso, la Commissione ha finito per considerare la natalità non molto importante, ritenendo fra l’altro che la demografia potrà comunque essere sempre sostenuta dall’apporto migratorio. Ma ciò finisce per trasformarsi in un approccio molto egoistico, soprattutto quando s’incentiva l’arrivo in Europa d’ingegneri, medici e altri lavoratori qualificati che sarebbero invece così indispensabili per lo sviluppo dei propri Paesi d’origine. Un cambio d’approccio sarebbe tanto più necessario oggi, sullo sfondo della pandemia, dato che a frenare la natalità, oltre all’insufficienza delle politiche familiari, sono pure le difficoltà economiche e gli ostacoli concreti, pratici e sociologici, per la costituzione di nuovi nuclei familiari.
Foto da articolo